Deh! fossi tu men bella, o almen più forte, 2 3 T' amasse men 1 chi del tuo bello ai rai Pugnar col braccio di straniere genti, In morte della Regina di Svezia. Piangesti, Roma, e in te si vide espressa Di se stessa l'eccidio, ed in se stessa E d' ugual gioja i nostri guai fur seme. Lucrezia uccisa, e a me l' uccisa speme La Providenza Divina. Qual madre i figli con pietoso affetto Mira, e d'amor si strugge a lor davante, E mentre agli atti, ai gemiti, all' aspetto A questi un guardo, a quei dispensa un detto, 1 Altra lezione: più. 2 Che or giù. 3 vedrem. : Tal per noi Providenza alta, infinita Veglia, e questi conforta, e a quei provvede, E se niega talor grazia e mercede, O niega sol, perchè a pregare ne invita, CANZONE. A Giovanni III, Re di Polonia. Re grande, e forte, a cui compagne in guerra Io, che l' età futura Voglio obbligarmi, far giustizia al vero, E mostrar, quanto in te s' alzò natura: Oso entrar, che tua mente in se rinserra. Soffri Signor, che da sì chiara face, Più di Prometeo audace, Una favilla gloriosa io prenda, E questo stil n' accenda, Questo stil, che quant' è di me maggiore, Tanto è, rincontro a te, di te minore. Non perchè Re sei tu, sì grande sei, Ma per te cresce, e in maggior pregio sale Apre sorte al regnar più d' una strada, Tu a te medesmo, e a tua virtude il dei. Voto fortuna a tuo favor non diede, Non palliata fede, Non timor cieco; ma verace affetto, Fatto avean tue prodezze occulto patto Teco bensì ragiono: Nè ammiro in te quel, ch' anco ad altri è dato, Chi può di rime armato Dir quante in guerra, e quante in pace hai sparte Vecchio ragion veruna. Qual' è alle vie del Sol sì ascosa piaggia, Di tue vittorie, o dove il giorno ha cuna, O dovo Sirio latra, o dove scuote Il pigro dorso a' suoi destrier Boote? E tante a lui rapite insegne, e spoglie, S' aprir di Giano, che tu spada, e scudo Dar tutte in guardia alle Castalie Dive? Forte è lo spirto, che a più alte prove E quei, che a venti le grand' ale impenna, Seccar col labbro, e non bastaro a quella Real Donna dell' Austria in van di fidi A indegno ferro il piede: il sacro busto Parea tronco giacer del capo scemo; E il cenere supremo Volar d' intorno, e gran cittadi, e ville Tutte fumar di barbare faville. Dall' ime sedi vacillar già tutta Pareami Vienna, e in panni oscuri, ed adri Le spaventate madri Correre al tempio, e detestar degli anni L'ingiurioso dono i vecchi padri, Della misera patria arsa, e distrutta E incendj, e sangue, e gemiti, e ruine Invitto Re, di tue vittorie il seme: Di tante accolte insieme Furie, ond' ebbe a crollar dell' Austria il soglio, (Soffra, ch' io 'I dica, il ciel) più non mi doglio. Della tua spada al riverito lampo Abbagliata già cade, e già s'appanna L' empia Luna Ottomanna: Ecco rompi trinciere, ecco t' avventi; Tal fai macello sull' orribil campo, Ecco spoglie, e bandiere a un tempo togli: Sì sì vincesti, Campion forte, e pio, Se colà non atterra impeto folle Il cener sacro, e non lo sparge al vento: Se diroccate ed arse Moli, e rocche giacer tra sterpi, e dumi, Se d'abbattuti eserciti, e di sparse Ossa gran monti alzarse Non vede intorno, e se dell' Istro in riva S' ascriva a te, se'l pargoletto in senno Latte non bee col sangue. S' ascriva a te, se inviolate, e caste Nè in se puniscon l' altrui fallo osceno: Per te di santo amor pegni veraci Giustizia, e pace, e la già spenta e morta E, tua mercè, l' insanguinato solco Vorranno il campo alla tenzon prescritto Ove pugnasti, ove in sanguigno gorgo Là ruppe 'l vallo, e quà le schiere aperse, Quà monti e valli, e là torrenti e fossi Quì ripose la spada, e qui s' astenne Dall' ampie straggi, e 'l gran destrier ritenne. Che diran poi, quando sapran che i fianchi D' acciar vestisti, non per tema, o sdegno, Non perchè eterno inchiostro a te lavori E al suo gran Nome adorator non manchi; Per salvar l' altrui Regno, il tuo lasciasti; Che 'l campo tuo donasti Per la fè, per l'onore al gran periglio. El figlio istesso, il figlio Della gloria, e del rischio a te consorte, Teco menasti ad affrontar la morte? Secoli, che verrete, io mi protesto, Che al ver fo ingiuria, e men del vero è quello, Ch' io ne scrivo, e favello. Chi crederà l' eroico dispregio Di prudenza, e di fe, che assai più bello Fa di tue palme il pregio? Chi crederà, che a te medesmo infesto, |