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I.

Ai giovani, poichè per le scuole io qui ristampo (sulla lezione ormai suggellata dal manoscritto più antico) la Cronica di Dino, e compendio il Commento col quale la illustrai, ai giovani sia detto, prima d'ogni altra cosa, che in queste pagine essi hanno ciò che è più assai d'uno scrittore: un uomo. Nel Divino Poema Dante è altresì l'uomo del tempo suo, ma sollevato a una idealità schiva e superba. In questa istoria, che fu scritta di que' medesimi anni, e co' medesimi affetti, e fra gli stessi dolori e rammarichi, è la realtà di quella figura ideale; la realtà di tutto quello per che Dante operò, amò, disdegnò, pati, fortemente, fra gli studi e in palagio, nelle scuole e fra gli uomini, partigiano ed esule, cittadino e poeta. Il retorico e convenzional paragone del Compagni a Sallustio è altresi abusivo ed equivoco: perchè nella Cronica la rappresentazione della realtà è inconsapevole di sè medesima; e per ciò stesso, meravigliosa. Le esteriori rassomiglianze con quella od altre manifestazioni della grande arte antica, non sono esse la nota caratteristica di questo scrittore essenzialmente medievale, cioè rude e schietto significatore del proprio sè e della vita civile a lui circostante.

1 Raccolgo in poche pagine cose da me già largamente svolte nel libro Dino Compagni e la sua Cronica; Firenze, Successori Le Monnier, 1379-97.

Vedi specialmente il cap. XVII, per ciò che concerne la Cronica e gl'intendimenti, i criteri, la materia, di

essa.

!

II.

2

Dino Compagni, popolano fiorentino, e uno degl'iniziatori del reggimento democratico che nel 1282 ebbe sua forma col magistrato artigiano de' Priori, e nel 93 con gli Ordinamenti della Giustizia la sua più recisa espressione, scrisse questo libro fra il 1310 e il 1312; mosso a ciò dalla discesa in Italia di Arrigo VII, cui egli, come Dante, sperò « addirizzatore d'Italia » 1 in ciascun suo Comune lacerata dalle discordie dagli eccessi appunto di quelle guelfe democrazie. Guelfo Dino, come guelfo Dante; questi venuto da' Grandi, e quello dal Popolo; Guelfi, ma rimasti sopraffatti dal prevalere delle guelfe ambizioni e violenze, si trovarono, con gli altri « giusti,» sospinti verso parte ghibellina; e accolsero « come fusse uno agnolo di Dio » 3 quel Cesare germanico, che, circondato dal fascino del gran nome di Roma, scendeva nel « giardino dell'Imperio,» annunziando se pacificatore delle parti, restauratore della giustizia, che « Guelfi o Ghibellini non volea udire ricordare,» ma tutti « amare e onorare » o battere e gastigare, come tutti egualmente suoi uomini. » 5 Il libro di Dino non è una cronica, nel senso in che questa forma di narrazione si distingue dalla storia propriamente detta: e se egli stesso, come non è da dubitare, lo ebbe così intitolato, si avverta che la parola Cronica fu allora, ed anche per assai tempo appresadoperata siccome equivalente di Storia nel senso suo largo e generico. Del resto la Cronica del Compagni è proprio la Storia d'un fatto determinato e speciale, cioè la Divisione di Parte Guelfa in Firenze tra Bianchi e Neri; storia nella quale spiccano, in modo rilevatissimo, gli antecedenti il mezzo e la conclusione; e dove inoltre la partecipazione dell' Autore in

so,

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