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quelli cittadini non si fa cosa si laudabile, che in contrario non si reputi e non si biasimi. Gli uomini vi si uccidono; il male per legge non si punisce; ma come il malfattore à degli amici, e può moneta spendere, così è liberato dal malificio fatto.

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O iniqui cittadini, che tutto il mondo avete corrotto e viziato di mali costumi e falsi guadagni! Voi siete quelli che nel mondo avete messo ogni malo uso. Ora vi si ricomincia il mondo a rivolgere addosso: lo Imperadore con le sue forze vi farà prendere e rubare per mare e per terra."

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< Che non s'interpreti sinistramente e si biasimi. ›

Illeciti, Disonesti »: cfr. I, 1, 13. 5 Cioè, ora che l'Imperatore è per venire contro di voi. . Ma mentre Dino e Dante minacciavano, Firenze s' armava.

"L'Imperatore, col suo esercito, e con l'autorità sua universale, e in tutte quante le maniere (per mare e per terra), v'infliggerà il meritato gastigo nelle persone (prendere) e negli averi (rubare). Potrebbe anche vedersi in queste parole un' allusione ai preparativi che contro ai Fiorentini facevano (per terra) l'Imperatore medesimo, e contro a re Roberto, alleato e protettore di Firenze, i Genovesi e re Federigo di Sicilia (per mare): ma la prima interpretazione qui proposta la credo preferibile, perchè di quella locuzione per mare e per terra (cfr. anche III, xxxv, 6) s'incontrano altri

esempi antichi, pure in senso generico. Del resto, la crudezza delle minacce di Dino, uguale, o sol di poco superiore, a quella contenuta nel confronto (II, 1) fra la sperata restaurazione de' Bianchi e la rivincita di Mario sopra Silla, è con più fiero compiacimento colorita da Dante nella vi delle sue Epistolae: Dantes Allagherias ⚫ florentinus, et exul immeritus, sce, lestissimis Florentinis intrinsecis ; della quale vedi specialmente il § Iv. Ma alle facili speranze dei poveri Bianchi si preparavano rapidi disinganni: il 31 ottobre di quello stesso anno 1312 Arrigo, dopo un mese mezzo d'assedio, si levava da Firenze e ritraevasi a San Casciano; due mesi dopo, nel gennaio del 13, a Poggibonsi, poi a Pisa: di là ripartito l'8 agosto per muover contro re Roberto, moriva il di 24 a Buonconvento nel. territorio senese.

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FINE DELLA CRONICA.

LA CANZONE MORALE

DEL PREGIO

DI

DINO COMPAGNI.

In questa Canzone morale Dino dà i precetti e insegna i meli dello acquistar pregio», secondo la respettiva condizione sociale: cosi i precetti risguardano l'Imperatore, il Re, il Barone, il Rettore (Potestà, Capitani, Vicari), il Cavaliere, il Donzello (o Aspirante alla cavalleria), il Giudice (Dottor di legge), il Notaio, il Medico, il Mercatante, l'Orafo. A tutti costoro il poeta addita, con tuono severo a un tempo e amorevole, la via dell' onore e della virtù. Il « pregio », la « lode », il << valore », erano i nomi co' quali i nostri rimatori avevano appreso a rappresentare, in genere, la perfezione morale, l'onore, da' trovatori provenzali: nelle cui rime le bellezze della donna amata spesso cedono il posto, talvolta anche sono scala, ai vanti del « fin pretz », del « bon pretz », del « bon laus », della « fina valor», del « verais pretz e bona lauzors »; e spesso ancora, come in una poesia del mantovano Sordello, al rimpianto del « pretz qu'es mesprezatz », e agli esortamenti che gli uomini dabbene si studino d'essere « valens » e «prezatz ». La parola era poi da quello dei trovatori passata al linguaggio comune. De' grandi antichi baroni, rappresentanti le congiunte tradizioni del trono di Cesare e della Chiesa di Dio, il popolo « riconfortava il nome e 'l pregio con annue supplicazioni nelle badie da essi fondate; e Dante quelli annuali e quel sentimento, e la parola in che s'era improntato, eternava nel verso: Dante, che nei discendenti da Currado Malaspina conferma «< il pregio della borsa e della spada »; e pregio» chiama l'ambita gloria poetica; e in

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famando in Fulcieri da Calvoli i rettori che si prestarono alle ferocie dei Neri, dice aver essi tolta a molti la vita, a sè « il pregio ». Così come nella Cronica di Dino se lo conquistano sul campo di battaglia i cavalieri di Francia combattenti per Parte Guelfa, e lo pagano con la vita.

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Nell'opera mia maggiore su Dino Compagni, ebbi occasione ed agio di notar molte, ed altre potrebbersi, rassomiglianze e relazioni che Serventesi e Insegnamenti provenzali, e poesie di rimatori nostri, hanno con questa sua Canzone, nella quale la vita reale del medio evo è ritratta in un quadro così animato e compiuto. Ivi stesso espressi il mio avviso, che la Canzone del Pregio, quale l'abbiamo, come nelle due prime stanze ha qualche irregolarità schematica, così anche non sia intera, e che in altre Stanze dovessero, probabilmente, succedere ai precetti, contenuti nell'ultima, sull' Arte dell' Orafo, quelli concernenti le altre Arti Minori, dopo essere nelle antecedenti quasi esaurita la serie delle Maggiori. Il che sarebbe stato quasi una poetica apoteosi delle Arti: concetto degno dell'alto cuore onde usciva la Cronica, e che, se verseggiato da più valente poeta, avrebbe dato ai trionfi della democrazia fiorentina dell'82 e del 93 il loro proprio epinicio. Al qual proposito è notevole, come in fronte ad una Pratica di mercatura del secolo XIV, che è una specie di Manuale del nostro antico commercio, si legga trascritta la Stanza sul pregio del Mercatante. Trascritta senza nome d'autore: ma noi riconoscendovi quello di Dino Compagni, riconosciamo altresì in questi versi la voce sua, e questa sentiamo sempre sonare la stessa: voce di alta moralità, ammonimento severo, rimprovero di cattivi, ispira zione a rettitudine.

1 Parad. xvi, 128-129: Purg. vin,

129; XXVI, 125; XIV,

63.

2 I, x (vedi la nota 17), descrivendo la battaglia di Campaldino.

3 Sulle Arti fiorentine, e sulla loro distinzione in Arti maggiori e Arti minori, e sui respettivi nomi, vedi la Cronica, I, Iv, 13.

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