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Amor mi sforza e mi sprona valere
A pro di chi valor pugna valente; 2
Chè vuol nessun sia vile e negligente
A cui abbella buon pregio seguire.3
5 Chè pregio è un miro di clartà gioconda,
Ove valor s' agenza e si pulisce;

E chi sè mira ad esso sè nudrisce

Di ricche laude, e di gran pregio abonda.
Ma non s'à per retaggio

10 Nè antiquo legnaggio,

Nè si dona di bada 5 o vende o 'mpegna,

1 Che Amore sia colui che ispira al Poeta i versi sullo acquistar pregio, sebbene questi non risguardino propriamente materia d'amore, è lo stesso concetto (cioè che amore è virtù, prima ispiratrice d'ogni bellezza spirituale e morale) a cui s'informa e donde ha titolo il libro di FRANCESCO DA BARBERINO, Documenti d'Amore; il quale fu già notato non essere, come il titolo sembra promettere, un'opera amorosa, ma un Trattato di filosofia morale diviso in dodici parti, in ciascheduna delle quali si ragiona di qualche virtù o de' premi ad essa destinati. Cfr. a questo principio della Canzone di Dino il principio di essi Documenti: Somma virtù del nostro

Sire Amore Lo mio intelletto novamente accese *.

211 valere a pro di chi pugna (per] valor valente, è uno dei bisticci provenzaleschi, che piacevano ai nostri rimatori prima dei maestri del dolce stil nuovo. Così BONAGIUNTA DA LUCCA: E la valensa avete in più valere

D'alto valor; però tanto valete. > Pugnare, com'è qui (e nel verso 110) usato da Dino, è affino ad un pugnar > meritar onore di GUITTONE D'AREZ

zo; e a quest'altro pur di antico rimatore, Pugnan dunque valer forzo

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samente ».

3 Rima per assonanza, come alcun'altra nella Canzone: se pur non si voglia legger seguere, che sarebbe forma antica di seguire (seguette, in DANTE, Inf. xxv, 40).

Il verbo agenzare (dal provenzale agenzar, agensar) ricorre frequentissimno, specialmente come neutro passivo, nei nostri rimatori. Con imagine molto simile a questa del luogo presente, nell' Intelligenza (st. 9): .... specchio è di mirabile clartate.... Allo splendordi sua ricca bontate Ciascuna donna e donzella s'agenza; e nelle Lettere di GUITTONE (lett. v): < perchè fuste specchio e miradore, ove

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> si provedesse e agenzasse ciascuna valente e piacente donna e prode uomo, schifando vizio e seguendo virtù.

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5 Dino qui riproduce tal quale la maniera avverbiale de' Provenzali de bada (o de badas o en bada en vain, invano; aut. franc., en bades); anzi può dirsi la traduca letteralmente da un trovatore: « Non vi crediate valore > venga di bada; anzi è assai molta

che ne' tempi dello carestie serrava il suo grano, dicendo: « O

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aronne tal pregio, o non si venderà mai. » Molto trattava male i Bianchi e i Ghibellini sanza niuna piatà, per due cagioni: la prima, per essor meglio creduto da quelli che reggevano; l'altra, perchè non aspettava mai di tal fallo misericordia. Molto era aoperato in ambascerie, perchè era buono oratore: familiare fu assai con papa Bonifazio; con messer Napoleone Orsino cardinale, quando fu Legato in Toscana, fu molto dimestico, e tennelo a parole," togliendoli ogni speranza di mettere pace tra i Bianchi e' Neri di Firenze.

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Questo cavaliere fu in gran parte cagione della morte di messer Corso Donati; 7 e a tanto male s'era dato; che non curava nè Dio nè 'l mondo, trattando accordo co' Donati, scusando sè e accusando altri. Un giorno," giucando a scacchi, due giovani de'Donati con altri loro compagni vennono a lui da casa sua, e fedironlo di molte ferite per lo capo, per modo lo lasciarono per morto: ma un suo figliuolo fedi un figliuolo di Biccicocco, per modo che pochi di ne visse. Messer Betto alquanti dì stette per modo che si credea campasse; ma dopo alquanti dì, arrabbiato, sanza penitenzia o soddisfazione a Dio e al mondo, e con gran

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sieme, e negando la propria partecipazione. È da credere che tra gli accusati per tal modo da lui fosse messer Pazzino, poichè vediamo questo aver parte nella uccisione di Betto. Lo dice l'AMMIRATO (Storia fior., II, 23), il quale nota come cosi quelli scellerati venivano distruggendosi l'un l'altro..

• Fu sulla fine del febbraio 1311,

e nell'occasione che facendosi una mostra o rassegna di milizie cittadine, le case erano rimaste sguernite.

All'uscita di febbraio facendosi la ⚫ mostra de' cavalieri delle cavallate ⚫ di Firenze nel Prato d'Ognissanti, fu morto a ghiado (cioè, di coltello o di spada). messer Betto > de' Brunelleschi, che giucava & scacchi; e ucciselo Pagno di Sinibaldo de' Donati », ossia un nipote di Corso. SIMONE DELLA Tosa, Annali. 10. A casa sua, cioè di Betto. 11 Cioè uno della brigata dei Donati, venuti ad assalir Betto; e figliuo lo di Biccicocco dei Donati.

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12 Cioè senza pentirsi di cuore »;

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[r. 418-419] disgrazia di molti cittadini, miseramente mori: della cui morto molti se ne rallegrorono, perchè fu pessimo cittadino.

XL. Qualità e

fine di Pazzino

gennaio ....).

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Messer Pazzino de' Pazzi, uno de' Hj principali de'Pazzi. (1312; governatori della città, cercò pace co' Donati per sè e per messer Pino, benchè poco fusse colpevole della morte di messer Corso, perchè era stato gran suo amico, e d'altro non si curava. Ma i Cavalcanti, che era potente famiglia, e circa LX uomini erano da portare arme, aveano molto in odio questi sei cavalieri governatori, i quali aveano stretto Folcieri podestà a tagliare la testa a Masino Cavalcanti, e sanza dimostrazione alcuna il sopportavano.

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Un giorno, sentendo il Paffiera Cavalcanti, giovane di grande animo, che messer Pazino era ito sul greto d' Arno da Santa Croce con uno falcone " e con un solo famiglio, montò a cavallo con alcuni compagni, e andoronlo a trovare. Il quale, come gli vide, cominciò a fuggire verso Arno; e seguitandolo, con una lancia li passò 12 le reni, e caduto nell'acqua gli segorono le vene, e fuggirono verso Val di Sieve. 13 E così miseramente mori.

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I Pazzi e' Donati s'armorono, e corsono al palagio: gonfalone della giustizia, è con parte del popolo, corsono in Mercato Nuovo a casa i Cavalcanti, e con stipa misono fuoco in tre loro palagi: e volsonsi verso la casa di messer Brunetto, credendo l'avesse fatto fare.

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Messer Attaviano Cavalcanti soccorso fu dai figliuoli di messer Pino e da altri suoi amici: e feciono serragli, e con cavalli e pedoni s'afforzorono, per modo niente feciono; chè dentro al serraglio era messer Gottifredi e messer Simone dalla Tosa, il Testa Tornaquinci " e alcuni loro consorti, e alcuni degli Scali, degli Agli e de' Lucardesi, e di più altre famiglie, che francamente li difesono, fin che constretti furono di disarmarsi.

Quietato il popolo, i Pazzi accusorono i Cavalcanti, de' quali ne furono condannati XLVIIj nell' avere e nella persona. Messer Attaviano si rifuggi in uno spedale, a fidanza de' Rossi; " di poi n' andò a Siena.

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Di messer Pazino rimasono più figliuoli: de' quali due ne furon fatti cavalieri dal popolo, e due loro consorti; e dati furono loro fiorini ijm, e XL moggia di grano.

XLI. Morti atrocemente i principali capi de' Neri, rimane a triste vita un d'essi, Geri Spini. (1312).

In quanto poco spazio di terreno sono morti cinque crudeli cittadini, dove la giustizia si fa e punisconsi i malifattori di mala morte!' quali furono messer Corso Donati, messer Niccola de' Cerchi, messer Pazino de' Pazi, Gherardo Bordoni, e Simone

14 Intendi, a chieder giustizia contro gli uccisori. Cosi in II, xv: Ven> nono al palagio de' Priori. »

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19 Ricordato in III, III.

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Riparò, scampò, in uno spedale, aiutato a ciò dai Rossi, segretamente e sotto la loro guarentigia. Gli spedali, che a que' tempi erano spesso accanto a monasteri, fornivano in simili casi asilo sicuro.

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di messer Corso Donati: e di mala morte, messer Rosso dalla Tosa e messer Betto Brunelleschi: e de' loro errori furono puniti. 2

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Messer Geri Spini sempre dipoi stette in gran guardia,* perchè furono ribanditi i Donati e i loro sequaci e i Bordoni con grande onore, a cui poco innanzi furono le case disfatte dal popolo con gran vergogna loro e danno.

XLII. Conchiusione. *

Cosi sta la nostra città tribolata! così stanno i nostri cittadini ostinati a malfare! E ciò che si fa l'uno di, si biasima l'altro. Soleano dire i savi uomini: « L'uomo > savio non fa cosa che se ne penta. › E in quella città e per

nati (III, xx1) fu ucciso a San Salvi; Niccola de' Cerchi e Simo Donati (cfr. I, xx, 36), sul Ponte ad Affrico; Pazzino (III, XL), sul greto d'Arno da Santa Croce; Gherardo Bordoni (III, xx), alla Croce a Gorgo: ora tutti questi luoghi sono nella pianura fuor di Porta alla Croce, a levante della città, dove nel luogo detto Campo di Fiore, tra i torrenti Affrico e Mensola, si giustiziavano allora i condannati. De' cinque nominati, il solo messer Niccola de' Cerchi non era de' Neri: ma lo inchiuderlo che l' A. fa tra essi, non toglie che ai Neri principalmente egli abbia la mira. Questo Cerchi fu ucciso da quel Simone Donati suo nipote, il quale pur mori delle ferite riportate. Questa con chiusione morale somiglia a quella che SVETONIO fa alla Vita di Giulio Cesare: Per› cussorum autem fere neque triennio quisquam amplius supervixit, neque sua morte defunctus est. Damnati > omnes, alius alio casu periit: pars naufragio, pars proelio, nonnulli semet eodem illo pugione, quo Cae› sarem violaverant, interemerunt. » 2 E di morte pur violenta (vedi III, XXXVIII, XXXIX), sebbene non, come i detti cinque, presso quel luogo infame, son morti messer Rosso e messer Betto, anch'essi gastigati per tal modo delle loro colpe. »

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gli altri. La stessa sospettosa paura che vedemmo (xxxvi, 6) travagliare la vecchiezza di Rosso della Tosa.

5 Collegando questa proposizione causale col precedente avverbio dipoi, e spiegandola storicamente, intendi:

Messer Geri Spini è stato e sta (stette) in gran guardia dal 1311 in poi, quando (vedi III, xxx, 10), per la riforma di Baldo d'Aguglione, furono ribanditi, cioè tratti di bando, con gli altri guelfi, i Donati e i Bordoni, e loro seguaci; quei medesimi Donati e Bordoni, a cui, pochi anni prima, nel 1308 (vedi III, xx, xx1), erano state disfatte le case ec. per opera della fazione di Rosso, alla quale apparteneva anche lo Spini.

* Puniti personalmente i Neri da Dio, resta che anche il trionfo della loro fazione si annienti: e ciò è prossimo ad accadere e sicurissimo, per la venuta da Roma dell' Imperatore. Lo avvicinarsi di questo gran giudice e quasi divino ministro è la più compiuta conchiusione che Dino possa immaginare alla sua istoria (cfr. le parole introduttive, pag. 3). Per la forma data a questo ultimo cap., cfr., al solito, I, I, 1.

1 Sottintendi in questo momento, nel quale io cesso di scrivere, cioè nell' estate del 1312, quando Arrigo s' apparecchiava a venire contro Firenze.

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