Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,

Sospirando il mattin.

E non aveva madre, padre, codesto povero bambino, lasciato così solo ed al buio, in preda ai terrori della sua immaginazione? E la casa avita era resa una prigione a chi "per cieco malor, condotto della vita in forse, si vedeva costretto a piangere "la bella giovanezza, e il cadente fiore dei suoi poveri dì, e a poetare "dolorosamente alla fioca lucerna, all'ore tarde, assiso sul conscio letto „?

Il carceriere, i lettori lo imparano fremendo, era Monaldo; carceriere severo e, per di più, taccagno. Al Giordani, Giacomo scriveva il 5 dic. 1817 (112):

Sappiate che io non ho un baiocco da spendere; ma mio padre mi provvede di tutto quello che io gli domando, e brama e vuole che gli domandi quello che desidero. E io tra il non avere e il domandare scelgo il non avere, eccetto se la necessità de' miei studi o la voglia troppo ardente di leggere qualche libro non mi fa forza. E dico la voglia di qualche libro, perchè niente altro che libri gli ho domandato mai, fuor solamente un paio e mezzo di cavalli di posta, ch'egli non mi dà, perchè s'è persuaso d'una cosa che non mi sono persuaso io, cioè che io abbia a fare il galantuomo in casa sua.

66

In casa sua! E a vent'anni, Giacomo, insofferente della prigionia, tentò fuggirne. Chiese al Perticari se a Roma avrebbe potuto trovar da guadagnar tanto da non morir di fame. Gli fu risposto che " tutto il buono a Roma era per li preti „; se mai, gli si poteva dare qualche consiglio per spendervi meno. Ed egli ripicchiava impazientito (190):

Ma quando eziandio costasse il meno che si possa immaginare, questo non è il caso mio, cercare il dove, ma il come. Mio padre è stradeliberato di non darmi un mezzo baiocco fuori di casa, vale a dire in nessun luogo, stantechè neppur qui mi dà mai danaro, ma solamente mi fornisce del necessario come il resto della famiglia. Mi permette sibbene ch' io cerchi maniera d'uscir di qua senza una sua minima spesa; e dico mi permette, giac

ch'egli non muove un dito per aiutarmi; piuttosto si moverebbe tutto quanto per impedirmi.... Il fatto sta che qualunque luogo mi dia tanto da vivere mediocrissimamente sarà convenientissimo per me, nè io penso di poter uscire di questa caverna senza spogliarmi di molte comodità che non mi vagliono a niente senza l'aria e la luce aperta.

I malanni, che col sopravvenire dell' estate del '19 divennero più gravi, affrettarono l'audace risoluzione. Scriveva al Giordani il 26 luglio (208):

Nell'età che le complessioni ordinariamente si rassodano, io vo scemando ogni giorno di vigore, e le facoltà corporali mi abbandonano a una a una. Questo mi consola perchè mi ha fatto disperare di me stesso, e conoscere che la mia vita non valendo più nulla posso gittarla, come farò in breve, perchè non potendo vivere se non in questa condizione e con questa salute, non voglio vivere, e potendo vivere altrimenti bisogna tentare. E il tentare così come io posso, cioè disperatamente e alla cieca, non mi costa più niente, ora che le antiche illusioni sul mio valore e sulle speranze della vita futura e sul bene ch'io potea fare, e le imprese da togliere e la gloria da conseguire mi sono sparite dagli occhi, e non mi stimo più nulla, e mi conosco da meno di tanti miei cittadini, ch'io disprezzava così profondamente.

Domanda, di nascosto, un passaporto al conte Broglio in Macerata, pel regno lombardo-veneto, mentendo, nella lettera, i saluti particolari di suo padre: " il quale,., soggiunse (210), vi sarà tenuto ancor egli del favore ch'io vi domando „! Ma la gherminella fu facilmente sventata, e il passaporto, invece che nelle sue, capitò nelle mani di Monaldo. Che (par di vederlo!) con viso ed atteggiamento gravi e dignitosi, presentò al figliuolo ribelle la lettera e il documento sequestrati, collocando questo, come ha lasciato scritto egli medesimo, "in un canterano aperto e dicendo a Giacomo “che poteva prenderlo a suo comodo „. Così tutto fini conchiude il Conte padre; ma, com'al solito, ei fece troppo assegnamento sulle sue abilità d'uomo di mondo. Giacomo, scontento degli altri e di sè stesso, riscrisse al Broglio scusandosi pel tranello tesogli e denunziando fieramente il presunto suo persecutore. E confessa (222-3):

66

[ocr errors]

La risoluzione ch'io aveva presa non era nè immatura nè nuova. Io l'aveva fissata già da un mese, e l'avea concepita fin da quando conobbi la mia condizione e i principii immutabili di mio padre, cioè da parecchi anni. Io non sono nè pentito nè cangiato. Ho desistito dal mio progetto per ora, non forzato nè persuaso, na commosso e ingannato. Persuaso non poteva essere, come nè anche persuadere, perchè le nostre massime sono opposte, e perciò fuggo ogni discorso su questa materia, giacchè il discorso non può esser concorde quando i fondamenti sono discordi. Se mi opporranno la forza, io vincerò, perchè chi è risoluto di ritrovare o la morte o una vita migliore, ha la vittoria nelle sue mani. Le mie risoluzioni non sono passeggere come quelle degli altri, e come mio padre stimo che si persuada per dormire i suoi sonni in pace, come suol dire. Io non voglio vivere in Recanati. Se mio padre mi procurerà i mezzi di uscire, come mi ha promesso, io vivrò grato e rispettoso, come qualunque ottimo figlio, se no, quello che doveva accadere e non è accaduto, non è altro che differito. Mio padre crede ch'io da giovinastro inesperto non conosca gli uomini. Vorrei non conoscerli, così scellerati come sono. Ma forse sono più avanti ch'egli non s'immagina. Non creda d'ingannarmi, che la sua dissimulazione è profonda ed eterna; sappia però ch'io non mi fido di lui, più di quello ch'egli si fidi di me. [In una copia di questa lettera, di mano della Paolina, si legge anche peggio: "Se la sua dissimulazione è profonda ed eterna, sappia però ch'io non mi fido di lui, più che mi fiderei d'un nemico „.] Si vanti, se vuole, d'avermi ingannato, dicendomi a chiare note ch'egli, non volendomi forzare in nessunissima guisa, non facea nessun passo per intercettarmi il passaporto. Mi parve di vedergli il cuore sulle labbra, e feci quello che non avea fatto da molti anni gli prestai fede, fui ingannato, e per l'ultima volta.

La requisitoria non si ferma qui. Giacomo accusa principalmente Monaldo di non averlo mai compreso. E continua (225-6):

Domando se questo è il premio che mi doveva aspettare; domando se c'è un altro padre nella stessa Recanati, in circostanze molto più incomode del mio, che avendo un figlio delle speranze ch'io dava, non avesse fatti tutti gli sforzi possibili per procurargli quello che a chiunque mi conosce è sembrato naturale e necessario, fuorchè a mio padre.... E se mio padre, aborrendo ogn'idea di grande e di straordinario, si pente d'avermi lasciato studiare, si duole che il cielo non m'abbia fatto una talpa, e in ogni modo, non solamente non mi concede niente

di straordinario, ma mi nega quello che qualunque padre in qualunque luogo si fa un dovere di concedere a quei figli che mostrano un solo barlume d'ingegno, e vuole risolutamente ch'io viva e muoia come i suoi maggiori, sarà ribellione di un figlio il non sottoporsi a questa legge?

La letteratura italiana ha poche pagine di prosa che possano stare a fronte di questa del malaticcio giovanetto di ventun anni, per calore, energia, forbitezza, trasparenza. Sarebbe bastato molto meno per metter dalla parte del grande figliuolo i lettori, già ben disposti dai versi immortali. E invece la lettera, ch'è lunghissima e d'una dialettica sempre calda e serrata, ha una chiusa ancor più angosciosa. Disfogata la piena dell'amarezza, il giovanetto infelicissimo si ripiega in una commovente stanchezza (227-8):

Io non vorrei mai scordarmi de' miei doveri, io vorrei essere infelice io solo; e vi giuro che se qualche cosa mi turbava nella risoluzione ch'io aveva formata, non erano nè i pericoli a cui m'esponeva, nè i biasimi altrui, de' quali non fo nessun conto, nè la morte che i disagi e la povertà m'avrebbero procurata ben presto con mia consolazione, ma il solo pensiero di dar disgusto ai mici genitori. Io ho sempre amato mio padre e l'amerò; c mi duole che voglia trattarmi come gli altri uomini, e creda l'inganno più vantaggioso con me della schiettezza, mentre mi sembra d'aver dato prove sufficienti del contrario. Ripeto ch'io non desidero se non d'essergli sempre riconoscente e rispettoso, e certamente sarò tale nel fatto, se non potrò anche nelle apparenze. Io non mi pento della condotta passata, nè bramo cangiarla. Solamente prego che voglia aver qualche riguardo alle inclinazioni mie, che ora non sono più mutabili naturalmente, e contrariate mi faranno infelice fin ch'io viva, e forse peggio ch' infelice. 1

1 Questa lettera, per riguardi verso la famiglia superstite, non fu compresa nelle prime edizioni dell' Epistolario. Apparve primamente nella N. Antologia del 15 febb. 1879, con un breve commento del prof. G. Piergili. Ricomparve poi più tardi, nel 1880, per cura dello stesso editore, nell'opuscoletto: Le tre lettere di G. L. intorno alla divisata fuga dalla casa paterna (Torino e Roma, Loescher). Il Piergili l'aveva ritrovata fra le più riposte carte che furono sempre gelosamente serbate in famiglia di carattere della Paolina, la quale solea scrivere pel fratello, malato d'occhi e di stomaco; ove si veggono ancora le

Tra i preparativi per la fuga, Giacomo aveva pensato anche a scrivere una lettera di addio al padre e un'altra al fratello Carlo. In quella, non è il figlio che prende congedo, bensì il conte Giacomo che chiede ragione al conte Monaldo dell'uso da lui fatto della potestà paterna. Comincia: “ mio signor padre va avanti facendo uno spietato esame di quanto costui avrebbe avuto il dovere di fare e non avea fatto. Accenna a un certo " piano di famiglia, che Monaldo avrebbe immaginato, e, alludendo anche al fratello più diletto, continua (I, 215):

e

Io sapeva bene i progetti ch'ella formava su di noi, e come per assicurare la felicità di una cosa ch' io non conosco, ma sento chiamar casa e famiglia, ella esigeva da noi due il sacrifizio, non di roba nè di cure, ma delle nostre inclinazioni, della gioventù, e di tutta la nostra vita.

Se avesse avuto visceri di padre, avrebbe dovuto comprendere che quei disegni erano inattuabili, e che a lui Giacomo l'aria e la vita di Recanati riuscivan micidiali.

Non tardai molto ad avvedermi che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere [leggi: caparbietà!], coperta da una costantissima dissimulazione e apparenza di cedere [leggi: ipocrisia!], era tale da non lasciar la minima ombra di speranza.... Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero. So che sarò stimato pazzo, come so ancora che tutti gli uomini grandi hanno avuto questo nome. E perchè la carriera di quasi ogni uomo di gran genio è cominciata dalla disperazione, perciò non mi sgomenta che la mia cominci così. Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire

correzioni di mano di lui „. Dopo, venne in luce anche l'originale, posseduto dai Broglio di Macerata, che differisce in qualche punto dalla minuta; e questo ora è ristampato nell'ultima edizione dell'Epistolario.

« ÖncekiDevam »