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Bella Morle, piétosa

Tu sola al mondo dei terreni affanni,
Se celebrata mai

Fosti da me, s'al tuo divino stato
L'onte del volgo ingrato
Ricompensar tentai,

Non tardar più, t'inchina
A disusati preghi,

Chiudi alla luce omai

Questi occhi tristi, o dell'età reina.
Me certo troverai, qual si sia l'ora
Che tu le penne al mio pregar dispieghi,
Erta la fronte, armato,

E renitente al fato,

La man che flagellando si colora

Nel mio sangue innocente

Non ricolmar di lode,

Non benedir, com'usa

Per antica viltà l'umana gente;

Ogni vana speranza onde consola

Sè coi fanciulli il mondo,

Ogni conforto stolto

Gittar da me; null'altro in alcun tempo

Sperar, se non te sola;

Solo aspettar sereno

Quel di ch'io pieghi addormentato il volto

Nel tuo virgineo seno.

XXVIII.

A SE STESSO.

Or poserai per sempre,

Stanco mio cor. Peri l'inganno estremo, Ch'eterno io mi credei. Peri. Ben sento, In noi di cari inganni,

Non che la speme, il desiderio è spento.

Posa per sempre. Assai

Palpitasti. Non val cosa nessuna

I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia

La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera

L'ultima volta. Al gener nostro il fato

Non dono che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto

Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.

XXIX.

ASPASIA.

Torna dinanzi al mio pensier talora
Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo
Per abitati lochi a me lampeggia
In altri volti; o per deserti campi,
Al di sereno, alle tacenti stelle,
Da soave armonia quasi ridesta,
Nell'alma a sgomentarsi ancor vicina
Quella superba vision risorge.

Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
Mia delizia ed erinni! E mai non sento

Mover profumo di fiorita piaggia,

Ne di fiori olezzar vie cittadine,

Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno Che ne vezzosi appartamenti accolta,

Tutti odorati de' novelli fiori

Di primavera, del color vestita

Della bruna viola, a me si offerse

L'angelica tua forma, inchino il fianco

Sovra nitide pelli, e circonfusa

D'arcana voluttà; quando tu, dotta
Allettatrice, fervidi, sonanti

Baci scoccavi nelle curve labbra De' tuoi bambini, il niveo collo intanto Porgendo, e lor di tue cagioni ignari Con la man leggiadrissima stringevi Al seno ascoso e desiato. Apparve Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio Divino al pensier mio. Cosi nel fianco Non punto inerme a viva forza impresse Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto Ululando portai finch'a quel giorno Si fu due volte ricondotto il sole. Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà. Simile effetto Fan la bellezza e i musicali accordi, Ch'alto mistero d'ignorati Elisi Paion sovente rivelar. Vagheggia Il piagato mortal quindi la figlia Della sua mente, l'amorosa idea, Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude, Tutta al volto ai costumi alla favella Pari alla donna che il rapito amante Vagheggiare ed amar confuso estima. Or questa egli non giả, ma quella, ancora Nei corporali amplessi, inchina ed ama. Alfin l'errore e gli scambiati oggetti Conoscendo, s'adira; e spesso incolpa La donna a torto. A quella eccelsa imago Sorge di rado il femminile ingegno; E ciò che inspira ai generosi amanti La sua stessa beltà, donna non pensa, Ne comprender potria. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. E male Al vivo sfolgorar di quegli sguardi Spera l'uomo ingannato, e mal richiede Sensi profondi, sconosciuti, e molto Più che virili, in chi dell'uomo al tutto Da natura è minor. Che se più molli E più tenui le membra, essa la mente Men capace e men forte anco riceve. Nè tu finor giammai quel che tu stessa

Inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
Che smisurato amor, che affanni intensi,
Che indicibili moti e che deliri

Movesti in me; nè verrà tempo alcuno
Che tu l'intenda. In simil guisa ignora
Esecutor di musici concenti

Quel ch'ei con mano e con la voce adopra
In chi l'ascolta. Or quell'Aspasia è morta
Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto
Della mia vita un di: se non se quanto,
Pur come cara larva, ad ora ad ora
Tornar costuma e disparir. Tu vivi,
Bella non solo ancor, ma bella tanto,
Al parer mio, che tutte l'altre avanzi.
Pur quell'ardor che da te nacque è spento:
Perch'io te non amai, ma quella Diva
Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.
Quella adorai gran tempo; e si mi piacque
Sua celeste beltà, ch'io, per insino
Già dal principio conoscente e chiaro
Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi,

Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi, Cupido ti seguii finch'ella visse, Ingannato non già, ma dal piacere Di quella dolce somiglianza un lungo Servaggio ed aspro a tollerar condotto. Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni L'altero capo, a cui spontaneo porsi L'indomito mio cor. Narra che prima, E spero ultima certo, il ciglio mio Supplichevol vedesti, a te dinanzi Me timido, tremante (ardo in ridirlo Di sdegno e di rossor), me di me privo, Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto Spiar sommessamente, a' tuoi superbi Fastidi impallidir, brillare in volto. Ad un segno cortese, ad ogni sguardo Mutar forma e color. Cadde l'incanto,

E spezzato con esso, a terra sparso
Il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni
Di tedio, alfin dopo il servire e dopo
Un lungo vaneggiar, contento abbraccio
Senno con libertà. Che se d'affetti
Orba la vita, e di gentili errori,

È notte senza stelle a mezzo il verno,
Già del fato mortale a me bastante

E conforto e vendetta è che su l'erba
Qui neghittoso immobile giacendo,

Il mar la terra e il ciel miro e sorrido.

XXX.

SOPRA UN BASSO RILIEVO ANTICO

SEPOLCRALE,

DOVE UNA GIOVANE MORTA

È RAPPRESENTATA IN ATTO DI PARTIRE,

ACCOMIATANDOSI DAI SUOI.

Dove vai? chi ti chiama

Lunge dai cari tuoi.

Bellissima donzella?

Sola, peregrinando, il patrio tetto

Si per tempo abbandoni? a queste soglie
Tornerai tu? farai tu lieti un giorno
Questi ch'oggi ti son piangendo intorno?
Asciutto il ciglio ed animosa in atto,
Ma pur mesta sei tu. Grata la via

O dispiacevol sia, tristo il ricetto
A cui movi o giocondo,

Da quel tuo grave aspetto

Mal s'indovina. Ahi ahi, nè già potria
Fermare io stesso in me, nè forse al mondo

S'intese ancor, se in disfavore al cielo

Se cara esser nomata,

Se misera tu debbi o fortunata.

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