Morte ti chiama; al cominciar del giorno L'ultimo istante. Al nido onde ti parti,' Non tornerai. L'aspetto De' tuoi dolci parenti Lasci per sempre. Il loco A cui movi, è sotterra: Ivi fia d'ogni tempo il tuo soggiorno. Forse beata sei; ma pur chi mira, Seco pensando, al tuo destin, sospira. Mai non veder la luce Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo Che reina bellezza si dispiega Nelle membra e nel volto, Ed incomincia il mondo Verso lei di lontano ad atterrarsi; Appar felice, invade D'alta pietade ai più costanti il petto. Madre temuta e pianta Dal nascer già dell'animal famiglia, Che per uccider partorisci e nutri, Immaturo perir, come il consenti Se ben, perchè funesta, A chi si parte, a chi rimane in vita, Misera ovunque miri, Misera onde si volga, ove ricorra, Piacqueti che delusa Fosse ancor della vita La speme giovanil; piena d'affanni Ponesti all'uman corso. Ahi perchè dopo Le travagliose strade, almen la meta Portiam sempre, vivendo, innanzi all'alma, Colei che i nostri danni Ebber solo conforto, Velar di neri panni, Cinger d'ombra si trista, E spaventoso in vista. Più d'ogni flutto dimostrarci il porto? Già se sventura è questo Morir che tu destini A tutti noi che senza colpa, ignari, Sente de' cari suoi. Che se nel vero, Il vivere è sventura, Grazia il morir, chi però mai potrebbe, Quel che pur si dovrebbe, Desiar de' suoi cari il giorno estremo, Per dover egli scemo Rimaner di se stesso, Veder d'in su la soglia levar via La diletta persona Con chi passato avrà molt'anni insieme, Per la mondana via; Poi solitario abbandonato in terra, Guardando attorno, all'ore ai lochi usati Rimemorar la scorsa compagnia? Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre Di strappar dalle braccia All'amico l'amico, Al fratello il fratello, La prole al genitore, All'amante l'amore: e l'uno estinto, Tanto dolor, che sopravviva amando Che nostro male o nostro ben si cura. XXXI. SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA. Tal fosti: or qui sotterra Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango Muto, mirando dell'etadi il volo, Sta, di memoria solo E di dolor custode, il simulacro Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, Par, come d'urna piena, Traboccare il piacer; quel collo, cinto Senti gelida far la man che strinse; Visibilmente di pallor si tinse, Ed ossa sei: la vista Vituperosa e trista un sasso asconde. Qual sembianza fra noi parve più viva Quale splendor vibrato Da natura immortal su queste arene, Di sovrumani fati, Di fortunati regni e d'aurei mondi Dare al mortale stato: Sozzo a vedere, abominoso, abbietto Quasi angelico aspetto, Desiderii infiniti E visioni altere Crea nel vago pensiere, Per natural virtù, dotto concento; Quasi come a diporto Ardito notator per l'oceáno: Fere l'orecchio, in nulla Torna quel paradiso in un momento. Natura umana, or come, Se frale in tutto e vile, Se polve ed ombra sei, tant'alto senti? Se in parte anco gentile, Come i più degni tuoi moti e pensieri Da si basse cagioni e desti e spenti? XXXII. PALINODIA AL MARCHESE GINO CAPPONI. Il sempre sospirar nulla rileva PETRARCA. Errai, candido Gino; assai gran tempo, Da Marrocco al Catai, dall' Orse al Nilo, |