E menti che fur mai, sono e saranno, Dottore, emendator, lascia, mi disse, I propri affetti tuoi. Di lor non cura Questa virile età, vôlta ai severi Economici studi, e intenta il ciglio Nelle pubbliche cose. Il proprio petto Esplorar che ti val? Materia al canto Non cercar dentro te. Canta i bisogni Del secol nostro, e la matura speme. Memorande sentenze! ond'io solenni Le risa alzai quando sonava il nome Della speranza al mio profano orecchio Quasi comica voce, o come un suono Di lingua che dal latte si scompagni. Or torno addietro, ed al passato un corso Contrario imprendo, per non dubbi esempi Chiaro oggimai ch'al secol proprio vuolsi Non contraddir, non repugnar, se lode Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente Adulando ubbidir: cosi per breve Ed agiato cammin vassi alle stelle. Ond'io, degli astri desioso, al canto Del secolo i bisogni omai non penso Materia far; chè a quelli, ognor crescendo, Provveggono i mercanti e le officine Giá largamente; ma la speme io certo Dirò, la speme, onde visibil pegno Giá concedon gli Dei; già, della nova Felicità principio, ostenta il labbro De' giovani, e la guancia, enorme il pelo. O salve, o segno salutare, o prima Luce della famosa età che sorge. Mira dinanzi a te come s'allegra La terra e il ciel, come sfavilla il guardo Delle donzelle, e per conviti e feste Qual de' barbati eroi fama giả vola. Cresci, cresci alla patria, o maschia certo Moderna prole. All'ombra de' tuoi velli Italia crescerà, crescerà tutta Dalle foci del Tago all' Ellesponto Europa, e il mondo poserà sicuro. XXXIII. IL TRAMONTO DELLA LUNA. Quale in notte solinga, Sovra campagne inargentate ed acque, E rami e siepi e collinette e ville; Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno Scende la luna; e si scolora il mondo; Spariscon l'ombre, ed una Oscurità la valle e il monte imbruna; Orba la notte resta, E cantando, con mesta melodia, Saluta il carrettier dalla sua via; Tal si dilegua, e tale Lascia l'età mortale La giovinezza. In fuga Van l'ombre e le sembianze Dei dilettosi inganni; e vengon meno Ove s'appoggia la mortal natura. Resta la vita. In lei porgendo il guardo, Del cammin lungo che avanzar si sente Meta o ragione; e vede Ch'a sé l'umana sede, Esso a lei veramente è fatto estrano. Troppo felice e lieta Nostra misera sorte Parve lassù, se il giovanile stato, Dove ogni ben di mille pene è frutto, Troppo mite decreto Quel che sentenzia ogni animale a morte, S'anco mezza la via Lor non si desse in pria Della terribil morte assai più dura. D'intelletti immortali Degno trovato, estremo Di tutti i mali, ritrovȧr gli eterni La vecchiezza, ove fosse Incolume il desio, la speme estinta, Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene. Voi, collinette e piagge, Caduto lo splendor che all'occidente Inargentava della notte il velo, Orfane ancor gran tempo Non resterete, chè dall'altra parte Tosto vedrete il cielo Imbiancar novamente, e sorger l'alba: Alla qual poscia seguitando il sole, E folgorando intorno. Con sue fiamme possenti, Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi. Ma la vita mortal, poi che la bella D'altra luce giammai, nè d'altra aurora. Segno poser gli Dei la sepoltura. XXXIV. LA GINESTRA, O IL FIORE DEL DESERTO. Και ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς. E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce. GIOVANNI, III, 19. Qui su l'arida schiena Del formidabil monte La qual null'altro allegra arbor nẻ fiore, Odorata ginestra, Contenta dei deserti. Anco ti vidi De' tuoi steli abbellir l'erme contrade Che cingon la cittade. La qual fu donna de' mortali un tempo, Par che col grave e taciturno aspetto Di ceneri infeconde, e ricoperti Che sotto i passi al peregrin risona; Dove s'annida e si contorce al sole Cavernoso covil torna il coniglio; E biondeggiar di spiche, e risonaro Fur giardini e palagi, Gradito ospizio; e fur città famose, Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi All'amante natura. E la possanza Anco estimar potrà dell'uman seme, Poco men lievi ancor subitamente Annichilare in tutto. Dipinte in queste rive Son dell'umana gente Le magnifiche sorti e progressive. 12 Qui mira e qui ti specchia, Secol superbo e sciocco, Che il calle insino allora Dal risorto pensier segnato innanti E procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti |