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AD ANGELO MAI.

I.

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In fronte a un esemplare della prima edizione di questa canzone, che è tra le carte napoletane, è scritto di mano del poeta: Opera di dieci o dodici giorni, gennaio 1820, pubblicata i primi di luglio „ (CARDUCCI, Degli spiriti, 191). In una lettera al Giordani, del 20 marzo '20, il Leopardi disse (I, 261) essergli "uscita per miracolo dalla penna in questi ultimi giorni „; e in una al Mai, dell'ottobre (302): "La canzone fu scritta nei primi giorni di quest'anno, mentre ferveva la fama del Suo magnifico ritrovato ciceroniano „. Pensò di stamparla subito: essa gli parera“ adattata al momento e sarebbe stato perciò opportuno farla “ uscire mentre era calda la fama dell'ultima e più strepitosa scoperta, del Mai (264). La mandò al Brighenti, con le altre due Per donna inferma e Sullo strazio di una giovane (vedi più sù, p. 253); ma il padre, che venne a saperlo, mise il suo veto assoluto per l'ultima, condizionato per le altre. Giacomo, fremente di rabbia, scriveva all'editore (268):

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Il titolo della seconda inedita si è trovato fortunatamente innocentissimo. Si tratta di un Monsignore. Ma mio padre non s'immagina che vi sia qualcuno che da tutti i soggetti sa trarre occasione di parlar di quello che più gl'importa, e non sospetta

punto che sotto quel titolo si nasconda una canzone piena di orribile fanatismo.

Cosi questa venne alla luce essa sola: " Canzone di Giacomo Leopardi ad Angelo Mai. Bologna. MDCCCXX. Per le stampe di Jacopo Marsigli. Con approvazione „. Portava in fronte questa dedicatoria:

Giacomo Leopardi

al conte Leonardo Trissino

Voi per animarmi a scrivere mi solete ricordare che la storia de' nostri tempi non darà lode agl'Italiani altro che nelle lettere e nelle scolture. Ma eziandio nelle lettere siamo fatti servi e tributari; e io non vedo in che pregio ne dovremo esser tenuti dai posteri; considerando che la facoltà dell'immaginare e del ritrovare è spenta in Italia, ancorchè gli stranieri ce l'attribuiscano tuttavia come nostra speciale e primaria qualità, ed è secca ogni vena di affetto e di vera eloquenza. E contuttociò quello che gli antichi adoperavano in luogo di passatempo, a noi resta in luogo di affare. Sicchè diamoci alle lettere quanto portano le nostre forze, e applichiamo l'ingegno a dilettare colle parole, giacchè la fortuna ci toglie il giovare co' fatti, com'era usanza di qualunque de' nostri maggiori volse l'animo alla gloria. E voi non isdegnate questi pochi versi ch'io vi mando. Ma ricordatevi ch'ai disgraziati si con viene il vestire a lutto, ed è forza che le nostre canzoni rassomiglino ai versi funebri. Diceva il Petrarca, ed io son un di quei che 'l pianger giova. Io non posso dir questo, perchè il pianger non è inclinazione mia propria, ma necessità de' tempi e volere della fortuna.

La quale poi, nell'edizione del 1824, fu rifatta così:

Voi per animarmi a scrivere siete solito d'ammonirmi che l'Italia non sarà lodata nè anco forse nominata nelle storie de' tempi nostri, se non per conto delle lettere e delle sculture. Ma da un secolo e più siamo fatti servi e tributari anche nelle lettere: e quanto a loro io non vedo in che pregio o memoria dovremo essere, avendo smarrita la vena d'ogni affetto e d'ogni eloquenza, e lasciataci venir meno la facoltà dell'immaginare e del ritrovare, non ostante che ci fosse propria e speciale, in modo che gli stranieri non dismettono il costume d'attribuircela. Nondimeno restandoci in luogo d'affare quel che i nostri antichi adoperavano in forma di passatempo, non tralasceremo gli studi,

quando anche niuna gloria ce ne debba succedere; e non potendo giovare altrui colle azioni, applicheremo l'ingegno a dilettare colle parole. E voi non isdegnerete questi pochi versi ch'io vi mando. Ma ricordatevi che si conviene agli sfortunati di vestire a lutto, e parimente alle nostri canzoni di rassomigliare ai versi funebri. Diceva il Petrarca: ed io son un di quei che 'l pianger giova. Io non dirò che il pianger sia natura mia propria, ma necessità de' tempi e della fortuna.

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La prima copia dell' opuscolo giunse a Recanati verso la metà di luglio; e il poeta se ne dichiarò soddisfattissimo, (I, 274, 281, 282. Quella stampa è stata riprodotta da C. A. - TRAVERSI in Canti e versioni di G. L., 255 ss. Il Piergili, nei Nuovi documenti 210 ss., ha altresì pubblicato il manoscritto autografo recanatese, con le correzioni successive del Leopardi).

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I revisori di Bologna, ch'eran preti, non fecero molto caso delle massime liberali promulgate con tanta eloquenza nella canzone; ma vi badarono i censori austriacanti del Lombardo - Veneto. "Questa poesia odora di quello spirito di liberalismo, che pare abbia accecato qualche infelice regione del nostro suolo osservò uno di essi; e il pericoloso opuscolo venne proibito, e perquisite le copie ch'erano in circolazione,,. (D'ANCONA, Il L. e la polizia austriaca, nel Fanfulla della domenica 29 novembre 1885; F. LAMPERTICO, La canzone di G. L. ad A. M. e la censura, Vicenza 1888; CARDUCCI, Degli spiriti ecc., p. 206 ss.). "La qual cosa „, confessa Giacomo (I, 402), "insieme colla canzone ho tenuto sempre nascosta a tutti i miei parenti, che hanno opinioni ed inclinazioni molto diverse dalle mie „.

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Con Angelo Mai (questo valentuomo nacque a Schilpario in Val di Scalve, nel bergamasco, il 7 marzo 1782; fu dei dottori dell'Ambrosiana dal 1811 al 1819, quando venne chiamato a Roma quale primo Custode della Vaticana; nel 1838, dopo d'aver percorsa una lunga via di onori, fu creato Cardinale insieme col Mezzofanti; mori l'8 settembre 1854 a Roma. Cfr. B. PRINA, Biografia del card. A. M., Bergamo 1882) il giovanetto recanatese era entrato ben presto in rela

zioni epistolari. A metà del 1816 gli mandava tradotte le Opere di Frontone, che il Mai allora allora aveva scoperte (I, 24; Scritti letterari, Il, 49 ss.); nel '17, il saggio di versione dell'Eneide (I, 37), e il volgarizzamento delle Antichità romane di Dionigi d'Alicarnasso, i cui frammenti erano stati poco prima ritrovati e pubblicati dal famoso scopritore (81, 93-4; e cfr. 107, 117, 124); nel '19, le due prime canzoni (171). Quando poi gli giunse notizia della scoperta del De Republica, così, pieno d'entusiasmo, gli scrisse il 10 gennaio 1820 (243-5):

Il grido delle nuove maraviglie che V. S. sta operando non mi lascia più forza di contenermi, nè mentre tutta l'Europa sta per celebrare la sua preziosa scoperta, mi basta il cuore d'essere degli ultimi a rallegrarmene seco lei, e dimostrare la gioia che ne sento, non solo in comune con tutti gli studiosi, ma anche in particolare per la stima e rispettosa affezione che professo singolarmente a V. S. Ella è proprio un miracolo di mille cose, d'ingegno, di gusto, di dottrina, di diligenza, di studio infaticabile, di fortuna tutta nuova ed unica. In somma V. S. ci fa tornare a' tempi dei Petrarca e dei Poggi, quando ogni giorno era illustrato da una nuova scoperta classica, e la maraviglia e la gioia de' letterati non trovava riposo. Ma ora in tanta luce d'erudizione e di critica, in tanta copia di biblioteche, in tanta folla di filologi, V. S. sola, in codici esposti da più secoli alle ricerche di qualunque studioso, in librerie frequentate da ogni sorta di dotti, scoprir tesori che si piangono per ismarriti senza riparo sin dal primo rinascimento delle lettere, e il cui ritrovamento non ha avuto mai luogo neppure nelle più vane e passeggere speranze de' letterati, è un prodigio che vince tutte le maraviglie del trecento e del quattrocento. È gran tempo ch'io avea preparato con grande amore e studio i materiali d'alcune lettere per dimostrare, in maniera se non bella nè buona, almeno mia propria, le vere ed intime utilità e pregi delle sue scoperte, con una quantità di osservazioni critiche sui particolari di ciascheduna. Ma la mia salute intieramente disfatta, e da nove mesi un' estrema imbecillità de' nervi degli occhi e della testa, che fino in'impedisce il fissar la mente in qualunque pensiero, m'ha levato il poter dar effetto ai miei disegni. A ogni modo, perchè lo strepito e lo splendore dell'ultima sua scoperta è tale da risvegliare i più sonnacchiosi deboli, mi sono sentito anch'io stimolare dal desiderio di non restar negligente in un successo così felice.

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Gli mandò poi la Canzone (302), e una lettera abbastanza lunga sopra l'Eusebio (309). Ma nel fortunato erudito non ebbe, pare, a trovare altresì un amico e un protettore zelante, quali poi gli si dimostrarono il Niebuhr, il Bunsen, il De Sinner. I 30 marzo '21 scriveva al Perticari (323-4):

S'è domandato per me al Segretario di Stato il luogo ora vacante di professore di lingua latina nella Biblioteca Vaticana. Ma S. E. non mi conosce se non per quell' uomo oscurissimo e sconosciutissimo ch'io sono effettivamente. Mi accertano che se monsignor Mai facesse un motto in mio favore al Segretario di Stato, il negozio succederebbe. Io scrivo a monsignor Mai che da qualche tempo conosco per lettere. Ma parimente mi dicono (e m'era parso già di vederlo) ch'egli è persona d'animo freddo, e bisognoso di forti stimoli a prendersi briga per chi si voglia.

E scrisse di fatto (325-7), e fece parlare da altri (331); ma appunto, non pare che monsignore si riscaldasse molto. Quando poi Giacomo fu a Roma e lo avvicinò, ei non gli fini di piacere (373):

Monsignor Mai è tutt'altro da questa canaglia; è gentilissimo con tutti, compiacentissimo in parole, politico in fatti; mostra di voler soddisfare a ciascuno, e fa in ultimo il suo comodo; ma quanto a me, non solo non ho che lagnarmene, anzi debbo dire che m'ha compiaciuto realmente in ogni mia domanda, e che mi tratta quasi con rispetto. Dopo il mio arrivo è uscita la sua Republica, la quale è una bella cosa, e molto lodata da chi la capisce, come biasimata dal partito contrario al Mai.

E anche la scoperta, in sostanza, gli sembrò via via di minore importanza. Il 20 dicembre 1822 rispondeva al padre (377):

Non ho comprato la Repubblica del Mai (la quale ho avuta in prestito e la sto leggendo); e se il mio giudizio è di niun valore, io la consiglio a non prenderla. Il prezzo, in carta infima, è di paoli trentatrè; la materia non ha niente di nuovo, e le stesse cose dice il medesimo Cicerone in cento altri luoghi. Di modo che l'utilità reale di questo libro non vale il suo prezzo. Se si trattasse di completare una biblioteca o una collezione, non direi così: ma noi non siamo nel caso.

E il 10 gennaio '23 potè soggiungere, scrivendo al

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