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pardi non c'è che l'umano e il naturale. La sua donna si compiace delle lodi, ragiona d'amore con le compagne, parla all'amante dalla finestra, si adorna a festa, ha sul seno il fiore, pensiero dell'amante. E non è perciò men bella e men pura e meno ideale. È un ideale umano che nasce dalla morte e dall'amore, i due grandi motivi di ogni poesia. La morte imprime sulla faccia di Silvia quel carattere muto e sparente che rende tutta la sua vita fuggevole, incorporea. L'amore empie di luce i sepolcri e vi risuscita i morti. Ciò che nei nostri antichi era effetto di fede, era realtà, qui è effetto dell' immaginazione poetica, consapevole di essere immaginazione. La vita è un'immaginazione; la realtà è il morire. L'idealismo antico aveva a fondamento la realtà dell'altro mondo. L'idealismo di Leopardi è una creazione del suo spirito; la sua donna è lui, è il suo riflesso, perchè la vita fu per lui un fantasma. Questi fantasmi bisogna guardarli di lontano. Se troppo vi avvicinate, li violate. Voi disputate se Nerina era figlia di un cocchiere o di un cappellaio. Ohimè! mi avete uccisa Nerina. La verità è che Leopardi rimaneva come incantato innanzi a ciascuna donna, perchè vedeva in ciascuna non questa o quella, ma la donna, anzi la donna sua. .....Il sentimento reale della donna lo ha colui che, uscito dalla prima immaginazione giovanile e acquistata potenza di affetto, ama la tale donna: questo è amore, questo è il sentimento della donna. Leopardi poetizzava la donna, la trasformava, la faceva una sola creatura, e questa creatura della sua immaginazione gli fuggiva innanzi come un fantasma, come gli fuggiva la vita.

Quanto alla canzone Alla sua donna, il Leopardi medesimo, nel Preambolo alla ristampa delle Annotazioni alle dieci canzoni stampate in Bologna nel 1824, pubblicate nel “Nuovo Ricoglitore „ del 1825, avvertiva (Scritti letterari, II, 284-5):

La donna, cioè l'innamorata, dell'autore, è una di quelle immagini, uno di que' fantasmi di bellezza e virtù celeste e ineffabile, che ci occorrono spesso alla fantasia, nel sonno e nella

veglia, quando siamo poco più che fanciulli, e poi qualche rara volta nel sonno, o in una quasi alienazione di mente, quando siamo giovani. Infine è la donna che non si trova. L'autore non sa se la sua donna (e così chiamandola, mostra di non amare altra che questa) sia mai nata finora, o debba mai nascere: sa che ora non vive in terra, e che noi non siamo suoi contemporanei; la cerca tra le idee di Platone, la cerca nella luna, nei pianeti del sistema solare, in quei de' sistemi delle stelle. Se questa Canzone si vorrà chiamare amorosa, sarà pur certo che questo tale amore non può nè dare nè patir gelosia, perchè fuor dell'autore, nessun amante terreno vorrà far all'amore col telescopio.

(Per questa canzone, e non per questa soltanto, son da vedere gli accurati, sobrii, cospicui studi del prof. FRANCESCO COLAGROSSO, che del Leopardi è antico e arguto illustratore: Studi sul Tasso e sul Leopardi, Forli 1883; Studi critici, Napoli 1884; Questioni letterarie, Napoli 1887; Altre questioni letterarie, Napoli 1888).

CONSALVO, ASPASIA,

IL SOGNO, AMORE E MORTE,
IL PENSIERO DOMINANTE,
A SE STESSO.

I.

..

Del Consalvo potrebbe ripetersi, con una leggiera ma sostanziale inversione, quel che il Parini ebbe a dire ad altro proposito, che cioè esso sia stato “troppo lodato e troppo a torto biasmato Fra i detrattori, solo autorevole è il Carducci (Studi saggi ecc., p. 245 ss.); fra quelli che han consentito al giudizio della grandissima maggioranza dei lettori, sono, per non citare che gli autorevolissimi, il De Sanctis, lo Zumbini, il D'Ovidio. E in verità, quando un componimento poetico ha in se medesimo tanta virtù da commuovere intere generazioni, e non solo sospirosi giovanetti e fanciulle sentimentali, io critico diffiderei della mia impressione se per caso essa fosse sfavorevole. Che abbia le traveggole io, mi domanderei, che non riesco a vedere quel che tanti, quel che tutti vedono? Non già che le maggioranze abbian sempre ragione e che non convenga qualche volta prenderle di fronte; ma negli apprezzamenti artistici di solito il pubblico così detto grosso porta un'ingenuità d'impressioni che al critico non è più concessa. Questi è spesso turbato da preoccupazioni teoriche; abituato ad analizzare e disciplinare i suoi sentimenti e le sue

impressioni, spesso è inetto a gustare nuove e disusate espressioni d'arte, riluttanti a sistemi troppo presto determinati.

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Quando il Carducci, per ribattere quell'opposizione che ragionevolmente immagina debba suscitare il suo giudizio sfavorevole: ma il Consalvo piace alle donne e ai giovani! soggiunge: certo: perchè i giovani e le donne in certe poesie leggono più di quel che ci sia, leggon sè stessi; e alle signore arride e arriderà sempre la missione di consolatrici, salvo poi a tormentare, e alle signorine dee parere adorabile quel Consalvo che si contenta di un bacio, e ai giovani non possono dispiacere i baci delle belle bocche „; egli dà bensì una nuova e cospicua prova d'esser quell'insigne scrittore che tutti ammiriamo, ma di serenità critica non mi pare. Se una poesia, o una diversa rappresentazione artistica, vale a destare o a ridestare negli altri una folla di pensieri e di sentimenti soavi; se essa riesce a toccare certe corde del cuore, per cui e le donne e i giovani, i meglio desiderati ascoltatori del poeta cioè (e Dante della sua donna voleva parlare,

Donne e donzelle amorose, con vui,
Chè non è cosa da parlarne altrui),

si sentono vivamente commossi; se sa farsi interprete gentile d'intere generazioni di lettori, siano pur tutti malati di spirito: merita forse per questo il dileggio del critico che nel poeta vuole ammirare una compostezza classica che qui o manca davvero o egli non vede? Non attinge il suo fine la poesia quando riesce a produrre effetti simili a' musicali accordi? E si oserebbe forse biasimare l'episodio della Francesca, dacchè anche i lettori, come il passionato poeta, chinano il viso tristi e pietosi, ripensando a chi sa quali altri dolci sospiri e a quali desii?

Il Consalvo si stacca per molte ragioni dagli altri canti leopardiani. Lirico nella sostanza, ha la forma d'una novella o d'una scena drammatica: rassomiglia, in minori proporzioni, a uno dei poemetti del Byron,

al Corsaro, per esempio, o alla Parisina. E non è, forse, una somiglianza casuale; chè il Leopardi ammirò ben per tempo lo scrittore inglese, che egli, in una lettera al Puccinotti del 5 giugno 1826, ebbe a chiamare (II, 141): uno dei pochi poeti degni del secolo, e delle anime sensitive e calde Anzi, già nell' Appressamento della morte (c. II, v. 115), aveva inserito l'episodio di Ugo e Parisina; nel quale, meglio ancora che il Petrarca non avesse fatto in quel di Massinissa, ei ricalca, con ingenuità ed inesperienza affatto giovanili, l'episodio della Francesca (Scritti letter., II, 193):

I' fea contesa e forse ch'i' vincea,

Ma un dì fui sol con quella in muto loco,
E bramava ir lontano e non volea,

E palpitava, e 'l volto era di foco,

E al fine un punto fu che 'l cor non resse,
Tanto ch'i' dissi: t'amo; e 'l dir fu roco.
Vergogna allor sul ciglio mi s'impresse,
E la donna arrossar vidi e gir via
Senza far motto, come lo sapesse.

Il timido giovanetto, arrossato in volto più di Parisina, non ha osato farle richiedere il colpevole bacio: questo lascerà egli poi fare a Consalvo, stretto dalla morte imminente. E allora ripeterà anche lui, a proposito del novello suo eroe, l'esclamazione del poeta inglese a proposito di Ugo (cfr. ZANELLA, Paralleli letterari, Verona 1884, p. 256):

And what unto them is the world beside,
With all its change of time and tide?

1 Così venni argomentando e deducendo in un articolo sul Consulvo, che pubblicai nella " Nuova Antologia, del 1o luglio 1898, ricorrendo il primo centenario della nascita del poeta. Ma ora lo Zibaldone offre prove copiose della conoscenza che questi ebbe dei poemetti del Byron (Pens. I, 101-2, 323-4 e 325 dove tocca del Corsaro ch'ei leggeva in una traduzione, 334, 351, 369; II, 318; III, 402; V, 214-5, 411 e v. più sù p. 238, 415). E apprendo dal Mestica (Il L. davanti alla critica, p. 20) come il Puccinotti narrasse avere il nostro conosciuto di persona il poeta inglese, nel primo soggiorno a Roma. Pei rapporti del Pellegrinaggio d'Aroldo con la Ginestra, cfr. CESAREO, Nuove ricerche su la vita e le opere di G. L., Torino 1893, p. 105 ss.

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