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ciute e nascoste molte miserie; in ispecie quando nel padre c'è un' innata e cavalleresca deferenza verso la signora della sua casa se non del suo cuore, e nei figli quel naturale trasporto di parteggiare per la madre. Potrebbe quindi Monaldo essere stato non il vero tiranno lui, anzi il ministro responsabile di tirannie di cui egli per il primo era vittima. Non saremo perciò tacciati d'indiscrezione se, per accertarci della verità, verremo frugando nell'archivio domestico di questa curiosa e caratteristica famiglia; dove tutti avevan notevoli qualità di scrittori, e tutti par che vivessero con la penna in mano, pronti a fissare in carta o un avvenimento o un apprezzamento, una impressione fuggitiva o un pensiero che balenasse loro alla mente. L'invidiato onore d'aver dato al mondo un poeta sommo può bene far sopportare in pace la petulanza dei critici!

Certo, la marchesa Adelaide aveva qualità di mente salde e virili. Non appena essa mise il piede nella nuova casa, un sol pensiero s'impadroni di lei: risanare quel patrimonio dissestatissimo. Oramai tutto crollava sotto l'enorme peso dei debiti; ma i Leopardi non se ne davan conto. La contessa madre sperperava in inezie gli ultimi avanzi della ricchezza sfumata; e i fratelli di lei lasciavan beatamente le redini nelle mani di Monaldo. Il quale questo solo di bene fece: che non vendette nulla; ma a' vecchi debiti veniva riparando con nuovi, che contraeva a condizioni sempre più gravi con ebrei di Perugia, di Milano, della Marca. Non c'era un momento da perdere. Da fidanzata, l'Adelaide aveva proibito allo sposo di spendere in gioielli; da moglie, mandò a vendere quelli che ancora trovò in casa. (Per tutto ciò è da vedere le Note biografiche, dianzi citate, della T. Teja; e si cfr. anche EMMA BOGHEN-CONIGLIANI, La donna nella vita e nelle opere di G. L., Firenze 1898). Pure, non sarebbe riuscita a domare il ribelle e prodigo marito, se questi non le avesse offerto tutto il fianco scoperto.

A Monaldo sorrideva l'idea di ristorar la sua fortuna con qualche speculazione audace: è “l'idea

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pazza, (questa volta è proprio Monaldo che la chiama così!) di tutti quelli che si trovano dissestati, i quali, sentendosi incapaci di riequilibrarsi coi mezzi che possiedono, immaginano di poterlo fare con quelli che non hanno, e comunemente cadono in rovina maggiore Nell'anno stesso che il povero Giacomo veniva in questo brutto mondo, egli, almanaccando che il prezzo del grano dovesse crescere, ne comperò una cospicua quantità, parte a credito, parte con la dote della moglie. S'intende: il prezzo invece precipitò; e lo speculatore malpratico ci rimise mille scudi. E non fu tutto; chè, per via d'un contratto di vendita in cui era immischiato il comandante militare di Ancona, dovè costituirsi (ed ottenne per grazia non esservi accompagnato con la forza!) nella fortezza di questa città. Rivangando quegli avvenimenti, narrava più tardi con aria da scapato impenitente:

Alla mia buona moglie tacqui la causa del mio viaggio per non angustiarla, ed ella si contentò di non so quale pretesto le addussi, ancorchè mi vedesse partire con un tempo orribile e con un ghiaccio nelle strade che faceva paura. In quegli anni giovanili il persuaderla era facile; adesso mi leverebbe le lettere dalle tasche, mi farebbe un processo, metterebbe a rumore tutto il paese se io le tacessi la causa di un sospiro, e in fine del conto saprebbe quello che le giova d'ignorare.

La Contessa assunse lei l'amministrazione; ma i creditori premevan d'ogni parte, e nel maggio 1803 bisognò impetrare dal papa che nominasse un curatore, con pieni poteri, e accordasse al fallito l'immunità dal carcere, fino a che non si liquidassero tutte le vertenze. Pio VII rimise tutto nelle mani di monsignor Alliata, governatore di Loreto; il quale, validamente coadiuvato dalla signora Adelaide, riuscì a far stipulare un concordato decoroso, che salvò i Leopardi da certa e imminente ruina. Si pensi : il debito ammontava a 48 mila scudi, le rendite annue a 6000, gl'interessi annui sui debiti a 5.833! Monsignor Alliata detrasse subito 15 mila scudi dai 48, perchè frutto di usura: qualche creditore pretendeva il 24

per cento! Mercè il concordato, ogni debito sarebbe stato estinto fra 40 anni, corrispondendosi ai creditori un interesse dell'8 per cento. Questi numeri gettano, o m'inganno, una gran luce sulla squallida fanciullezza del solitario di Recanati: innocente vittima della goffa e fatua spreconeria giovanile del padre, ch'egli scambiava per taccagno, e della rigida amministrazione della madre, che aveva mente calcolatrice ma gretta, cuore scarso e inetto a ogni slancio, vista corta e velata da ubbie d'ogni genere.

Mandare il primogenito fuori di casa, essa non volle, per non accrescer le spese; ma, sia stato par boria nobilesca o per buona politica, non volle nemmeno che si smettessero le carrozze e i cavalli o si licenziassero i famigli superflui. E si che a Recanati le carrozze eran necessarie! Codesta cittaduzza non aveva e non ha se non una strada sola (“ una strada lunga quasi due miglia, fiancheggiata da qualche vico breve ed ignobile, la descrive così Monaldo in persona! Cfr. C. A.-TRAVERSI, Studj su G. L., Napoli 1887, p. 172), su cui tutti gli edifizi sono allineati come soldati in parata, per una lunghezza di non più che due miglia. E meno male se nella passeggiata i signori l'avessero percorsa tutta! Ma l'etichetta imponeva di farne e rifarne solo un breve tratto. Una delle vecchie zie era rimasta famosa tra i nipoti, perchè, quando li menava a spasso, soleva ordinar solennemente al cocchiere di fare i soliti sei giri „. E Carlo narrava che si facevano attaccare i cavalli per andare in casa Antici, lì a due passi! Nobili miserie, alle quali fu sacrificata la felicità d'una delle anime più elette e sensitive dei tempi nostri!

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La mano dell' Adelaide era di ferro, e pesava su tutti. Quando ebbe sottoscritta l'istanza al Papa, per ottenere l'amministrazione giudiziaria, Monaldo comprese d'aver segnata la propria sentenza di morte. In virtù di quell'atto la moglie divenne l'uomo di casa, ed egli n'indossò le gonne. Mordeva il freno e ogni tanto gli dava una strappata; ma la domatrice accorciava ancor più le redini. Una volta che, nel giugno

"27, c'era non so quale grandioso spettacolo al teatro d'Ancona, e "tutt'i Recanatesi „, v'andavano, ei dove starsene a casa; onde la Paolina riferiva a Giacomo: "E anche a babbo, se non fosse stato tanto impicciato nella sua gonnella, era venuto voglia d'andarci; ma niente! „, Spietati i figli con lui; ma gli è che della sua interdizione essi o non seppero mai nulla, o solo molto tardi. E quando lo accusavano dell'avarizia non sua, ei preferiva tacere, o biascicare parole oscure, alla confessione, che gli ripugnava, d'esser pupillo della moglie. Solo da vecchio, nel '38, pensando con raccapriccio alla morte di Giacomo, si permetteva di scrivere, con profetica amarezza, all'altro figliuolo Pierfrancesco: “Tutto si metterà al mio debito, giacchè l'interno delle case non si vede, e quello che fa la casa, si stima fatto dal capo!,, E si che alle accuse de' figli avrebbe potuto rispondere come lo Stazio dantesco a Virgilio:

Or sappi che avarizia fu partita
Troppo da me!

Povero tiranno da commedia, che si sfogava poi col cognato imprecando alle "prepotenze delle mogli italiane e dando dell'" arciforestica, al prototipo di esse ch'era toccato proprio a lui!

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Con Giacomo, che, debole e infermiccio, s'ostinava a voler vivere fuori di casa, in climi freddi, egli si strugge di non poter largheggiare. Nel natale '22 riesce a mandargli a Roma qualcosa di più che la scarna benedizione paterna, e gli ride quasi la penna in mano dalla gioia: Perchè poi „, gli scrive," le rugiade celesti non vadano disgiunte da qualche stilla di pinguedine terrena, riscuoterete dalla posta scudi 10 che vi ho francati, e vi faranno ricordare il giubilo infantile, con cui si suole nella prima età vedere il ritorno di queste lietissime feste „. Nel carnevale successivo scova tra le cartacce una “ pagella „, di credito d'otto scudi, donde forse qualche amico romano avrebbe potuto cavare un zecchino, e l'invia al figli

uolo perchè possa" convertire il zecchino in confetti „,. E quando, in fin dell'aprile, Giacomo, sulle mosse di tornare a casa, gli domanda consiglio circa le mance da lasciare, egli risponde con premuroso imbarazzo: "Spero che oggi otterrò da mamma scudi 12 per infrancarveli, ma, se non fosse così, supplirete voi, e li avrete all'arrivo. Penso meglio, e vi accludo un biglietto per Visconti, che ve li pagherà a vista Avrebbe anche voluto invogliare il figlio ad invitare qualche valentuomo a passare un po' di giorni a Recanati; “la mamma vostra potrà talora imbruttirsene „,, soggiunge," ma può darlesi questo piccolo dispiacere; e altronde chi vuole al mondo essere ben accolto, bisogna che sia buono e cordiale accoglitore „.

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Più tardi, sulla fine del novembre '25, Monaldo sa che a Bologna suo figlio è infermo. Bramerebbe correre e non può; gli manda intanto scudi 25, "che gradirete scrive, come un segno di quello che vorrei fare, e che non posso, con acerbissimo dolore del mio cuore E poi, una scatoletta di tabacco, un bariletto d'olio, una scatola di fichi, fin del cacio pecorino: tutte cose inutili, è vero, per Giacomo, ma forse vi serviranno „, spera il padre amorevole, " per far conoscere ad altri i prodotti del nostro territorio „. Sicuro: tutto poteva valere ad innalzar Recanati nella estimazione degli uomini: i versi di Giacomo e il cacio pecorino! Ingrandisci dunque la stima per le nostre contrade inculcava quel burlone di Carlo al fratello, e fa apprezzare i suoi prodotti fisici, dopo che dei morali hai mostrato in te un fenomeno

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V.

E qui trova posto un curioso episodio della vita di Giacomo. Morto nel dicembre del 1825 il buon zio Ettore, ch'era canonico e godeva di non so quanti beneficii ecclesiastici, Monaldo avrebbe voluto che di qualcuno di questi godesse Giacomino. Ma occorreva

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