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si rendono ridicoli e infelici in vecchiezza, volendo vivere da giovani; ovvero, come accade più spesso, che la natura vince, e che i giovani, vivendo da giovani in dispetto dell'educazione, si fanno ribelli agli educatori, i quali se avessero favorito l'uso e il godimento delle loro facoltà giovanili, avrebbero potuto regolarlo, mediante la confidenza degli allievi, che non avrebbero mai perduta.

Qui è anche implicito un biasimo per la madre; ma direttamente ed esplicitamente Giacomo si guardò bene dal prenderla mai di mira. Nelle opere a stampa, dico; chè nel suo Zibaldone si è poi trovata questa pagina, che rattrista. La signora Adelaide vi è ritratta al vivo, in tutta la rigidità e glacialità delle sue forme disseccate (Pensieri ecc., I, 411-13):

Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa, ma saldissima ed esattissima nella credenza cristiana e negli esercizi della religione. Questa non solamente non compiangeva quei genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl'invidiava intimamente e sinceramente, perchè questi eran volati al paradiso senza pericoli e avean liberato i genitori dall'incomodo di mantenerli. Trovandosi più volte in pericolo di perdere i suoi figli nella stessa età, non pregava Dio che li facesse morire, perchè la religione non lo permette, ma gioiva cordialmente; e vedendo piangere o affliggersi il marito, si rannicchiava in sè stessa e provava un vero e sensibile dispetto. Era esattissima negli uffizi che rendeva a quei poveri malati, ma nel fondo dell'anima desiderava che fossero inutili, ed arrivò a confessare che il solo timore che provava nell'interrogare o consultare i medici era di sentirne opinioni o ragguagli di miglioramento. Vedendo ne' malati qualche segno di morte vicina, sentiva una gioia profonda, che si sforzava di dissimulare solamente con quelli che la condannavano; e il giorno della loro morte, se accadeva, era per lei un giorno allegro ed ameno, nè sapeva comprendere come il marito fosse sì poco savio da attristarsene.

Il qual marito, nella trepidazione per la malattia. d'uno dei figliuoli e poi nell'angoscia per averlo perduto, era capace di scriver frasi come queste (Lett. a G. L., 246, 247-49, 252-54):

Piaccia al Signore di accordare un esito uguale alla malattia di Luigi, la quale mi dà infinita pena, perchè di petto, e

finora resistente ai rimedi. Sapete quanto amo tutti voi, e quanto mi trafigge ogni vostro male e pericolo; ma Iddio che vede il mio cuore, non lo lascerà senza consolazione.

Il giorno della Santa Croce fu quello, in cui si vide che la perdita era irreparabile, e il giorno seguente, in cui quest'anno per essere domenica avevamo trasferita la festa, fu quello in cui si spezzò la corona delle giovani olive, che erano l'allegrezza e decoro della mia mensa; in cui l'angelo della morte passò sopra la nostra casa, inalberandoci lo stendardo del pianto, e in cui rimasi per sempre desolatissimo padre. Giacomo, figlio mio, voi sapete quanto sia sviscerato il mio amore per tutti voi miei figli, e potete immaginare una parte del mio immenso cordoglio. Il mio cuore non trova pace, non distinguo più i giorni dalle notti, le lagrime mi hanno affievolita la vista, et noluit consolari quia non sunt.... Lascio, perchè il mio cuore si spezza. Forse non dovevo ferire il vostro, ma non ricuserete di unire le vostre lagrime a quel mare di dolore e di pianto, in cui siamo stati e siamo immersi. Non vi dirò niente di vostra madre. Nulladimeno, grazie a Dio, sta piuttosto bene.

Questa mattina ricevo la carissima delli 26, e ne sento molto conforto. Il mio cuore ne è bisognoso all'estremo, e l'arrecarmelo è un atto di vera pietà. Il gran colpo, con cui il Signore ha voluto visitarci, mi ha sbalordito, e non so se io penso o vaneggio. Sapevo che vivevamo in una valle di pianto, ma in verità non credevo che i poveri figli di Adamo fossero capaci di tanto dolore. Voi, Giacomo mio, piangerete un giorno per la morte dei vostri genitori, ma la previdenza di queste lacrime le renderà meno inconsolabili. Quelle però di un padre per la morte di un figlio sono imprevedute, terribili, inesauste, e lo accompagneranno al sepolcro. Soltanto i figli che restano possono infondere qualche balsamo in questo mare di amarezza; e voi lo fate caramente con l'amorosa e pietosissima vostra, che ho già letta più volte e baciata con tenerezza. Iddio ve ne benedica!... Il rivedervi mi sarà dolcissimo, anzi vi dico in verità che il mio cuore non sa prevedere un momento d'ilarità, se non attraverso di questi mesi che debbono tuttora separarci. Nulladimeno non anticipate e non precipitate le vostre mosse, e fate che io vi riveda sano, come dite di stare adesso con mia somma consolazione.... Tutti vi abbracciano e vi accarezzano. Non dubitate, figlio mio, che il mio cuore, quantunque ferito acerbamente e insanabilmente, sia chiuso ad ogni altro sentimento fuori che al suo immenso dolore. Pur troppo è spezzato per sempre il bel serto della mia gloria, ma sento tutto il prezzo delle gemme che me ne restano.

E torniamo, per poco ancora, a quella tal “madre di famiglia, conosciuta "intimamente,, dal poeta.

Considerava la bellezza come una vera disgrazia, e vedendo i suoi figli brutti o deformi ne ringraziava Dio, non per eroismo, ma di tutta voglia. Non procurava in nessun modo di aiutarli a nascondere i loro difetti, anzi pretendeva che in vista di essi rinunziassero intieramente alla vita nella loro prima gioventù: se resistevano, se cercavano il contrario, se vi riuscivano in qualche minima parte, n'era indispettita, scemava quanto poteva colle parole e coll'opinion sua i loro successi (tanto de' brutti quanto de' belli, perchè n'ebbe molti), e non lasciava passare, anzi cercava studiosamente l'occasione di rinfacciar loro e far loro ben conoscere i loro difetti e le conseguenze che ne dovevano aspettare e persuaderli della loro inevitabile miseria, con una veracità spietata e feroce. Sentiva i cattivi successi de' suoi figli in questo o simili particolari con vera consolazione e si tratteneva di preferenza con loro sopra ciò che aveva sentito in loro disfavore. Tutto questo per liberarli dai pericoli dell'anima, e nello stesso modo si regolava in tutto quello che spetta all'educazione dei figli, al produrli nel mondo, al collocarli, ai mezzi tutti di felicità temporale. Sentiva infinita compassione per li peccatori, ma pochissima per le sventure corporali o temporali, eccetto se la natura talvolta la vinceva. Le malattie, le morti le più compassionevoli de' giovanetti estinti nel fior dell'età, fra le più belle speranze, col maggior danno delle famiglie o del pubblico ecc., non la toccavano in verun modo. Perchè diceva che non importa l'età della morte, ma il modo: e perciò soleva sempre informarsi curiosamente se erano morti bene secondo la religione, o, quando erano malati, se mostravano rassegnazione ecc. E parlava di queste disgrazie con una freddezza marmorea.

Quando, nel 1847, uno dei tanti ammiratori del sommo poeta si recò in pellegrinaggio a Recanati per visitarne la casa, nella camera dov'egli era nato, “innanzi un gran letto „, vide “ritta in piedi la madre sua: maestosa della persona, austera, coi capelli candidissimi „. Il visitatore proruppe: "Benedetta colei che 'n te s'incinse! „, Ma la matrona non diè segni di commozione. Soltanto levando gli occhi al cielo esclamò: Che Dio gli perdoni!, (F. ZAMBONI, Roma nel Mille, Firenze 1875, p. 408). Avesse almeno detto: Che Dio gli abbia perdonato! Quell'altra vittima,

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Paolina, quando novella gli giunse che le era morto il fratello grande e infelice, segnò nelle sue note il funereo giorno, aggiungendo sotto: Addio, Giacomino mio ci rivedremo in paradiso!, (CARDUCCI, Degli spiriti ecc., pag. 30). 1

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VII.

Non intendo rifar passo per passo la storia di quella giovinezza impaziente e sconsolata. Qualcosa

1 Può qui trovar posto il curioso e caratteristico aneddoto raccontato dal D'Ovidio (nel " Corriere della sera, del 12-13 gennaio 1898). "Il mio rimpianto amico Ippolito Amicarelli,, egli narra (l'ottimo Amicarelli, che finì preside del r. Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, è l'autore del libro Della lingua e dello stile italiano), che fu deputato per la sua nativa Agnone al primo Parlamento italiano, viaggiando una volta nell'Italia centrale si trovò per un tratto di ferrovia da solo a solo con una signora attempata. Attaccarono discorso, la signora disse esser di Recanati; egli cominciò a tempestarla di domande circa il Leopardi, le chiese della sorella Paolina. La Paolina, chè era proprio lei e in quello scompartimento era salita appunto perchè ci aveva visto lui prete, commossa a quelle domande e scorgendo la commozione del suo interlocutore, gli chiese subito se a parer suo Giacomino fosse potuto andare in paradiso. L'Amicarelli che, patriotta ardente, era però insieme credente sincero e assai più fervido che generalmente non paresse, si trovava d'essersi posto tante volte anche lui quel problema; poichè del Leopardi era, non occorre dirlo, ammiratore grande, e non lo leggeva nè vi pensava mai senza lacrime. Fattagli ora quella domanda, e da quella Paolina lungamente cara a lui di riverbero come a tutti i lettori del Leopardi, e conosciuta lì per lì la prima volta e quasi ingenuamente supplicante da lui la celeste beatitudine del fratello adorato, si sentì nell'animo una persuasione più chiara, una speranza più sicura che non avesse mai avuta, e con focosa parola dimostrò, spiegò, assicurò in quattr'e quatr'otto che il povero Giacomo era andato in paradiso di volo: con tutte le scarpe, come diciam noi Meridionali. La Paolina si stemperò in pianto, e per gratitudine a quella sommaria sentenza di canonizzazione si fece a forza promettere dall'Amicarelli una visita a Recanati. La promessa, com'egli soleva fare di tutte quelle di simil genere, non la mantenne; ma nemmeno, credo, avrebbe mantenuti tutti gli argomenti che, nell'impeto di una duplice compassione, aveva snocciolati con opportuna facilità a quella nobile donna, a cui toccò il singolar destino, come d'esser celebre per nozze che non ebbero mai luogo, così di rimaner a struggersi per la memoria d'un fratello di cui aveva in tanto orrore le dottrine,.

di più particolare dovrò dirne illustrando le poesie, che son come maravigliosi fiori di passione sbocciati in quell'inamabile deserto. Qui mi contenterò di un rapido cenno, avendo soprattutto a guida l'Epistolario, ch'è di per sè stesso uno squisito romanzo psicologico. (Con brani di lettere appunto i proff. G. Piergili e C. Annovi son riusciti a mettere insieme l'uno la Vita di G. L. scritta da esso, Firenze, Sansoni, 1899; l'altro una Biografia di G. L., Per la storia di un'anima, Città di Castello, Lapi, 1898).

Nell'autunno del 1822, a Giacomo, più che mai malandato in salute, fu finalmente concesso d'uscire dal borgo odiato, per recarsi a Roma, a passarvi l'inverno in casa degli zii. Vi giunse il 23 novembre. Ma quale disinganno! Il 25 scriveva al fratello (I, 360-2):

Se tu credi che quegli che ti scrive sia Giacomo tuo fratello, t'inganni assai, perchè questi è morto o tramortito, e in sua vece resta una persona che a stento si ricorda il suo nome.... Delle gran cose che io vedo non provo il menomo piacere, perchè conosco che sono maravigliose, ma non lo sento, e t'accerto che la moltitudine e la grandezza loro m'è venuta a noia dopo il primo giorno.... Durante il viaggio ho sofferto il soffribile.... In somma io sono in braccio di tale e tanta malinconia, che di nuovo non ho altro piacere se non il sonno: e questa malinconia, e l'essere sempre esposto al di fuori, tutto al contrario della mia antichissima abitudine, m'abbatte ed estingue tutte le mie facoltà in modo ch'io non sono più buono da niente, non ispero più nulla, voglio parlare e non so che diavolo mi dire, non sento più me stesso, e son fatto in tutto e per tutto una statua... Senti, Carlo mio, se potessi esser con te, crederei di potere anche vivere, riprenderei un poco di lena e di coraggio, spererei qualche cosa, e avrei qualche ora di consolazione. In verità io non ho compagnia nessuna: ho perduto me stesso; e gli altri che mi circondano, non potranno farmi compagnia in eterno. Scrivimi distesamente.... Amami, per Dio. Ho bisogno d'amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita: il mondo non mi par fatto per me; ho trovato il diavolo più brutto assai di quello che si dipinge. Le donne romane alte e basse fanno propriamente stomaco; gli uomini fanno rabbia e misericordia.

E scrivendo alla Paolina, il 3 dicembre, completava codesto fosco quadro (364-6):

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