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espresso concetti molto diversi da quelli di Giobbe e di Salomone!

Tuttavia, è innegabile che di quei tempi pur a Napoli c'era come un promettente rifiorire di una nuova cultura: insigne documento ne rimane nella rivista Il progresso, che si cominciò a pubblicare nel 1832. Vi collaboravano il Galluppi, il Tenore, il Troya, il Pilla, l'Avellino, il Pisanelli, Michele Ruggiero. “È facile argomentare qual alto posto ci avesse in ispecie la storia, mercè l'opera di quel Troya, che, come altri sommi preparatori del nostro risorgimento scientifico e nazionale, oggi par quasi generalmente dimenticato; ma che, anche come quelli, risplende più vivo che mai alla vista di quanti sanno volgersi al passato con tutto l'amore e la reverenza che sempre gli sono dovuti „. Con codesta rivista si tentava di compiere anche nel Mezzogiorno quanto era stato già fatto in altre regioni d'Italia, massime in Toscana con l'Antologia : affratellare gl'ingegni e gli animi, affinchè (sono parole del proemio stesso) colla maggiore efficacia potessero adoperarsi a pro della patria nostra, a pro della patria italiana „.

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Di quegli anni poi a Napoli prosperava lo Studio del marchese Puoti; e al maestro e ai discepoli tornava gradito dimostrare al prodigioso ospite la maggiore stima e simpatia. Un di quei giovani, che di lì a poco sarebbe stato il maggiore apostolo della grandezza del nuovo poeta, Francesco De Sanctis, narra nelle sue Memorie (La giovinezza di F. d. S., frammento autobiografico pubbl. da P. VILLARI, Napoli 1894, p. 99-102):

Una sera il Marchese ci annunziò una visita di Giacomo Leo pardi; lodò brevemente la sua lingua e i suoi versi. Quando venne il dì, grande era l'aspettazione. Il Marchese faceva la correzione di un brano di Cornelio Nipote da noi volgarizzato ; ma s'era distratti, si guardava all'uscio. Ecco entrare il conte Giacomo Leopardi. Tutti ci levammo in piè, mentre il Marchese gli andava incontro. Il Conte ci ringraziò, ci pregò a voler continuare i nostri studi. Tutti gli occhi erano sopra di lui. Quel colosso della nostra immaginazione ci sembrò, a primo sguardo, una meschinità. Non solo pareva un uomo come gli altri, ma al

disotto degli altri. In quella faccia emaciata e senza espressione, tutta la vita s'era concentrata nella dolcezza del suo sorriso. Uno degli Anziani di Santa Zita [così scherzosamente il Puoti chiamava i discepoli più segnalati e più antichi] prese a leggere un suo lavoro. Il Marchese interrogò parecchi, e ciascuno diceva la sua. Poi si volse improvviso a me: E voi cosa ne dite, De Sanctis? C'era un modo convenzionale in questi giudizi.... Parlai una buona mezz'ora, e il Conte mi udiva attentamente, a gran soddisfazione del Marchese, che mi voleva bene. Notai, tra parecchi errori di lingua, un onde con l'infinito. Il Marchese faceva sì col capo. Quando ebbi finito, il Conte mi volle a sè vicino, e si rallegrò meco, e disse che io aveva molta disposizione alla critica. Notò che nel parlare e nello scrivere si vuol porre mente più alla proprietà de' vocaboli che all'eleganza: una osservazione acuta, che più tardi mi venne alla memoria. Disse pure che quell'onde coll'infinito non gli pareva un peccato mortale, a gran maraviglia o scandalo di tutti noi. Il Marchese era affermativo, imperatorio, non pativa contraddizioni. Se alcuno di noi giovani si fosse arrischiato a dir cosa simile, sarebbe andato in tempesta; ma il Conte parlava così dolce e modesto, ch'egli non disse verbo. Nelle cose della lingua, disse, si vuole andare molto a rilento, e citava in prova Il torto e il diritto del padre Bartoli. Dire con certezza che di questa o quella parola o costrutto non è alcuno esempio negli scrittori, gli è cosa poco facile. Il Marchese, che, quando voleva, sapeva essere gentiluomo, usò ogni maniera di cortesia e di ossequio al Leopardi, che parve contento quando andò via. La compagnia dei giovani fa sempre bene agli spiriti solitari. Parecchi cercarono di rivederlo presso Antonio Ranieri, nome venerato e caro; ma la mia natura casalinga e solitaria mi teneva lontano da ogni conoscenza, e non vidi più quell'uomo che avea lasciato un così profondo solco nell'anima mia.

Nei primi giorni dell'aprile 1834 il Leopardi fu anche conosciuto, nella Napoli adorata, da Augusto Platen (n. ad Ansbach in Franconia il 24 ottobre 1796; m. a Siracusa il 5 dicembre 1835), il grande artista del verso, a cui mancò per esser poeta quella facoltà che soprabbondava nel nostro, l'amore. Nel suo Diario, sotto la data del 5 settembre 1834, notava (cfr. DE LOLLIS, A. Platen-Hallermünde, Roma 1897, dalla "Nuova Antologia, p. 64-5):

Il primo aspetto del Leopardi, presso il quale il Ranieri mi

condusse il giorno stesso che ci conoscemmo, ha qualche cosa di assolutamente orribile, quando uno se l'è venuto rappresentando secondo le sue poesie. Leopardi è piccolo e gobbo, il viso ha pallido e sofferente, ed egli peggiora le sue cattive condizioni col suo modo di vivere, poichè fa del giorno notte e viceversa. Senza potersi muovere e senza potersi applicare, per lo stato dei suoi nervi, egli conduce una delle più miserevoli vite che si possano immaginare. Tuttavia, conoscendolo più da vicino, scompare quanto v'è di disaggradevole nel suo esteriore, e la finezza della sua educazione classica e la cordialità del suo fare dispongon l'animo in suo favore. Io lo visitai spesso.... Il Leopardi è in peggiori rapporti (che non il Ranieri), se questo è possibile, col proprio padre, il quale, essendo anch'egli scrittore, vede con invidia suo figlio, ed è conosciuto in Italia come il più gran sostenitore del Papato e dell'assolutismo. A quel che pare, egli lascia il figliuolo privo di qualsiasi sostegno. Peggiore ancora dev'essere sua madre.

E in una lettera da Firenze all'amico Fugger, del 25 novembre, il Platen soggiungeva (questo e altri brani di lettere e di poesie tradusse e illustrò EUGENIO MELE in un buon articoletto, A. von Platen in Napoli e la sua amicizia col L., del " Corriere di Napoli „, 2 ottobre 1898):

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Il Leopardi è un eccellente poeta lirico, e probabilmente tu avrai letto qualche cosa di lui. È di Recanati: è malamente cresciuto e mal ridotto in salute, e ne deriva che anche l'immaginazione contribuisce a fare in modo ch'egli non possa per niente applicarsi. Infatti egli siede tutto il giorno nella sua stanza da letto, si spaventa a ogni minimo colpo d'aria, e non piglia nemmeno un libro in mano. La sua conversazione è altamente erudita e piacevole. Per il modo in cui vive non esisterebbe più, se non avesse trovato un amico che si sacrifica per lui e tutto fa per lui.

Il Platen, forse esagerando con buone intenzioni le confidenze indiscrete e già esagerate, avute dal Ranieri, asseriva che il poeta vivesse in casa dell'amico "probabilmente del tutto a sue spese „. Il che non era e non fu mai: i due sodali contribuirono presso che ugualmente alle spese della casa e del mantenimento; e tutt'al più, in qualche momento, codesto dispendio comune potè sembrare, come con l'usata

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arguzia ebbe a dire il D'Ovidio, un distico in cui Giacomo facesse la parte del pentametro „. Certo, a Napoli, le condizioni finanziarie del povero ammalato, inetto oramai a qualunque applicazione, non potevano esser floride; ed egli si vedeva costretto a far continue tratte sul padre. (I postumi denigratori del Ranieri non mi pare che facciano il debito conto di quella schietta dichiarazione ch'egli ebbe a fare al padre dell'amico e fratello suo appena dodici giorni dopo la costui morte. Ora m'avanza a dirle un'altra parola per sua tranquillità „, scrisse, e questa m'esce dal più profondo della mia sviscerata amicizia; ed io la scongiuro di accettarla con quel sentimento affettuoso di consolazione al cuore d'un padre che me la detta. Questa parola è, che Giacomo non è vissuto in grande strettezza Nuovi documenti, p. 249). Umiliato e rattristato, ei prometteva prossimo un definitivo ritorno a casa; ma in verità codesto passo gli riusciva troppo amaro: tanto amaro, che poco è più morte. Il dolce clima partenopeo gli era cortese di vita; come decidersi a incamminarsi verso l' inamabile Recanati, suo Averno, anzi il Tartaro addirittura? Il 2 maggio 1835 scriveva alla Tommasini (III, 13-4):

La mia salute, o per benefizio di questo clima, o del luogo salubre che abito, o per altra cagione, è migliorata straordinariamente; e quest'inverno ho anche potuto un poco leggere, pensare e scrivere.

E al De Sinner, il 3 ottobre (19), mandandogli l'edizione napoletana dei suoi Canti, soggiungeva:

Io, dopo quasi un anno di soggiorno in Napoli, cominciai finalmente a sentire gli effetti benefici di quest' aria veramente salutifera ed è cosa incontrastabile ch'io ho ricuperato qui più di quello che forse avrei osato sperare. Nell' inverno passato potei leggere, comporre e scrivere qualche cosa; nella state ho potuto attendere (benchè con poco successo quanto alla correzione tipografica) alla stampa del volumetto che vi spedisco; ed ora spero di riprendere ancora in qualche parte gli studi, e condurre ancora innanzi qualche cosa durante l'inverno... Io sono a Napoli sempre, come io era a Firenze, in un modo precario, ma sempre senza alcuna veduta nè alcun disegno positivo di cambiamento.

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Pare che in quel tempo vagheggiasse anche una gita a Parigi. Sapete,, scriveva il 21 luglio '35 Tommaso Gargallo a nn amico di laggiù, che anche il conte Leopardi verrebbe volentieri a trattenersi un sei mesi costi per un corso di eloquenza [nell'Università], come si suol fare da vari professori in Parigi? „ (MESTICA, Il L. davanti alla critica, Palermo, Sandron, 1898, p. 7). Perchè poi non andasse, non sappiamo; ma a Palermo, nel 1834, era stata ristampata l'edizione fiorentina dei Canti, e l'editore G. B. Ferrari s'era messo a trattare, presentato dal Gargallo, col poeta, per un'edizione siciliana delle sue Opere.

Con la primavera del 1836 il miglioramento diventò ancora più sensibile; così che questi potè scrivere il 5 marzo alla sua amica di Parma (28):

Io da un anno e mezzo non posso altro che lodarmi della mia salute, ma soprattutto da che, circa un mese fa, sono venuto ad abitare in un luogo di questa città quasi campestre, molto alto, e d'aria asciuttissima, e veramente salubre. Vengo scrivacchiando, non quanto, per mio passatempo, vorrei; perchè debbo assistere ad una raccolta che si fa qui delle mie bagattelle.

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Ma ben presto la Censura, per “mal fondati scrupoli, diceva il Ranieri a Monaldo (N. docum., 253), proibì la stampa di codesta raccolta delle sue Opere, dopo il secondo volume; anzi neanche questo lasciò vendere. “La mia filosofia osservava amaramente Giacomo (39, e cfr. 30, 46), “ è dispiaciuta ai preti, i quali e qui ed in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto Intanto, nell'autunno, scoppiò terribile in Napoli l'epidemia colerica: la peste, chiamata per gentilezza del secolo cholera „,; e il poeta della Ginestra si rifugiò, con l'amico Ranieri, in una villetta posta sulle falde del "formidabil monte „. Pur troppo, non ostante l'umidità del luogo, vi dovè rimanere quasi tutto l'inverno; giacchè chiunque arrivava in città dopo una lunga assenza, rimaneva "immancabilmente vittima della peste, (36-7). Tornarono alla fine di febbraio, il Leo

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