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SONETTO CXXVI.

Tormentato da Amore, vuol frenarlo colla ragione e mal suo grado nol può.

Amor mi sprona in un tempo ed affrena,
Assecura e spaventa, arde ed agghiaccia,
Gradisce e slegna, a sè mi chiama e scaccia,
Or mi tene in speranza ed or in pena;
Or alto or basso il mio cor lasso mena;
Onde 'l vago desir perde la traccia,
E'l suo sommo piacer par che li spiaccia;
D' error sì novo la mia mente è piena.
Un amico pensier le mostra il vado,

Non d'acqua che per gli occhi si risolva,
Da gir tosto ove spera esser contenta:
Poi, quasi maggior forza indi la svolva,
Conven ch'altra via segua, e mal suo grado
Alla sua lunga e mia morte consenta.

SONETTO CXXVII.

Ei placa Laura colla sola umiltà, e così esorta un amico a far con la sua donna.

Geri, quando talor meco s'adira

La mia dolce nemica, ch'è sì altera,
Un conforto m'è dato, ch' i' non pera,
Solo per cui vertù l'alma respira.
Ovunqu❜ ella, sdegnando, gli occhi gira,
Che di luce privar mia vita spera,

Le mostro i miei pien d'umiltà si vera,
Ch' a forza ogni suo sdegno indietro tira.
Se ciò non fosse, andrei non altramente
A veder lei, che 'l volto di Medusa,
Che facea marmo diventar la gente.
Cosi dunque fa tu; ch'i' veggio esclusa
Ogni altr' aita: el fuggir val niente
Dinanzi all' ali che 'l Signor nostro usa.

SONETTO CXXVIII.

Potrà bensì il Po allontanarlo da Laura col corpo, ma non collo spirito.

Po, ben puo' tu portartene la scorza
Di me con tue possenti e rapid' onde,
Ma lo spirto ch' iv' entro si nasconde
Non cura nè di tua nè d'altrui forza.
Lo qual, senz'alternar poggia con orza,
Dritto per l'aure al suo desir seconde
Battendo l'ali verso l'aurea fronde,
L'acqua e 'l vento e la vela e i remi sforza.
Re degli altri, superbo, altero fiume,

Che 'ncontri 'l Sol quando e' ne mena il giorno,
E 'n Ponente abbandoni un più bel lume;
Tu te ne vai col mio mortal sul corno;
L'altro coverto d'amorose piume,
Torna volando al suo dolce soggiorno.

SONETTO CXXIX.

Egli fu colto impensatamente nelle reti di Amore stese sotto un alloro.

Amor fra l'erbe una leggiadra rete
D'oro e di perle tese sott' un ramo
Dell' arbor sempre verde ch' i' tant' amo,
Benchè n'abbia ombre più triste che liete.
L'esca fu'l seme ch'egli sparge e miete,
Dolce ed acerbo, ch' io pavento e bramo:
Le note non fur mai, dal di ch' Adamo
Aperse gli occhi, sì soavi e quete:
E' chiaro lume che sparir fa 'l Sole
Folgorava d'intorno: e 'l fune avvolto
Era alla man ch' avorio e neve avanza.
Così caddi alla rete, e qui m' han colto
Gli atti vaghi e l'angeliche parole
E' piacer e 'I desire e la speranza.

SONETTO CXXX.

Arde di amore per Laura, ma non è mai geloso, perchè la virtù di lei è somma.

Amor, che 'ncende 'l cor d'ardente zelo,
Di gelata paura il tien costretto

E qual sia più fa dubbio all' intelletto,
La speranza o 'I timor, la fiamma o 'l gielo.
Trem' al più caldo, ard' al più freddo cielo,
Sempre pien di desire e di sospetto;
Pur come donna in un vestire schietto
Celi un uom vivo, o sott' un picciol velo.
Di queste pene è mia propria la prima,

Arder di e notte; e quanto è 'I dolce male, Nè 'n pensier cape, non che 'n versi o'n rima: L'altra non già; che 'l mio bel foco è tale, Ch' ogni uom pareggia; e del suo lume in cima Chi volar pensa, indarno spiega l'ale.

SONETTO CXXXI.

Se i dolci sguardi di lei lo tormentano a morte, che sarebbe se glieli negasse ?

Se 'l dolce sguardo di costei m' ancide,
E le soavi parolette accorte

Es' Amor sopra me la fa sì forte
Sol quando parla, ovver quando sorride:
Lasso, che fia se forse ella divide,

O per mia colpa o per malvagia sorte,
Gli occhi suoi da mercè, si che di morte
Là dov' or m' assecura, allor mi sfide?
Però s'i' tremo e vo col cor gelato

Qualor veggio cangiata sua figura,
Questo temer d'antiche prove è nato.
Femmina è cosa mobil per natura;
Ond' io so ben ch' un amoroso stato
In cor di donna picciol tempo dura.

SONETTO CXXXII.

Si addolora, e teme che l'infermità, in cui Laura
si trova, le tolga la vita.

Amor, Natura e la bell' alma umile,
Ov' ogni alta virtute alberga e regna,
Contra me son giurati. Amor s' ingegna,
Ch'i' mora affatto; e 'n ciò segue suo stile :
Natura tien costei d'un sì gentile

Laccio, che nullo sforzo è che sostegna:
Ella è si schiva, ch'abitar non degna
Più nella vita faticosa e vile.

Così lo spirto d'or in or vien meno
A quelle belle care membra oneste,
Che specchio eran di vera leggiadria.
E s'a morte pietà non stringe il freno,
Lasso, ben veggio in che stato son queste
Vane speranze ond' io viver solia.

SONETTO CXXXIII.

Attribuisce a Laura le bellezze tutte, e le rari doti
della Fenice.

Questa Fenice, dell' aurata piuma
Al suo bel collo candido gentile
Forma senz' arte un si caro monile,
Ch'ogni cor addolcisce e 'l mio consuma:
Forma un diadema natural ch'alluma
L'aere d'intorno; e 'l tacito focile
D' Amor tragge indi un liquido sottile
Foco che m' arde alla più algente bruma.
Purpurea vesta, d'un ceruleo lembo
Sparso di rose i belli omeri vela;
Novo abito e bellezza unica e sola.
Fama nell' odorato e ricco grembo
D'arabi monti lei ripone e cela,
Che per lo nostro ciel si altera vola.

SONETTO CXXXIV.

I più famosi poeti non avrebber cantato che di Laura, se l'avesser veduta.

Se Virgilio ed Omero avessin visto

Quel Sole il qual vegg' io con gli occhi miei, Tutte lor forze in dar fama a costei

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Avrian posto, e l'un stil con l'altro misto : Di che sarebbe Enea turbato e tristo Achille, Ulisse e gli altri semidei E quel che resse anni cinquantasei Si bene il mondo, e quel ch' ancise Egisto. Quel fior antico di virtuti e d'arme, Come sembiante stella ebbe con questo Novo fior d'onestate e di bellezze! Ennio di quel cantò ruvido carme; Di quest'altr' io: ed o pur non molesto Gli sia 'I mio ingegno, e'l mio lodar non sprezze!

SONETTO CXXXV.

Teme che le sue rime non sieno atte a celebrar
degnamente le virtù di Laura.

Giunto Alessandro alla famosa tomba
Del fero Achille, sospirando disse:
O fortunato, che si chiara tromba
Trovasti chi di te si alto scrisse!
Ma questa pura e candida colomba,

A cui non so s'al mondo mai par visse,
Nel mio stil frale assai poco rimbomba:
Così son le sue sorti a ciascun fisse.
Che d'Omero dignissima e d'Orfeo,

O del pastor ch' ancor Mantova onora,
Ch' andassen sempre lei sola cantando;
Stella difforme, e fato sol qui reo

Commise a tal che'l suo bel nome adora,
Ma forse scema sue lode parlando.

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