Che vale a soggiogar tanti paesi Con gli animi al suo danno sempre accesi? Dopo l'imprese perigliose e vane, E col sangue acquistar terra e tesoro, Via più dolce si trova l'acqua e 'l pane, El vetro e 'l legno, che le gemme e l'oro. Ma per non seguir più si lungo tema, Temp'è ch'io torni al mio primo lavoro. I' dico che giunt' era l'ora estrema Di quella breve vita gloriosa, E' dubbio passo di che 'l mondo trema. Er' a vederla un' altra valorosa Schiera di donne non dal corpo sciolta, Che far conviensi, e non più d'una volta. Fur ivi, essendo quei begli occhi asciutti, Per ch' io lunga stagion cantai ed arsi! E fra tanti sospiri e tanti lutti Tacita e lietà sola si sedea, Del suo bel viver già cogliendo i frutti. Vattene in pace, o vera mortal Dea, Diceano: e tal fu ben; ma non le valse Contra la Morte in sua ragion si rea. Che fia dell' altre, se quest' arse ed alse In poche notti si cangiò più volte ? O umane speranze cieche e false ! Se la terra bagnar lagrime molte Per la pietà di quell'alma gentile, Chi 'l vide il sa; tu 'l pensa che l'ascolte. L'ora prim' era e 'l di sesto d'aprile, Cacciar me innanzi ch' era giunto in primą, Or qual fusse'l dolor, qui non si stima; (Le belle donne intorno al casto letto Ch' apparisse giammai con vista oscura Cui nutrimento a poco a poco manca; Quasi un dolce dormir ne' suoi begli occhi, Era quel che morir chiaman gli sciocchi. Morte bella parea nel suo bel viso. CAPITOLO II. Infine a qui il Petrarca narrò un sogno, in cui gli parve di scorgere, come se fosse desto, il trionfo d'Amore, della Castità e della Morte, con tutte le maraviglie da lui descritte; ma al presente significa come gli sembrava, sognando, di vedere Laura che lo consolasse del dolore sentito per la sua morte, e di ragionare con esso lei. La notte che segui l'orribil caso Che spense 'l Sol, anzi 'l ripose in cielo, A me, parlando e sospirando, porse; I passi tuoi dal pubblico viaggio, Come 'l cor giovenil di lei s'accorse? Così, pensosa, in atto umile e saggio S'assise e seder femmi in una riva La qual ombrava un bel lauro ed un faggio. Come non conosch' io l'alma mia Diva? Risposi in guisa d'uom che parla e plora: Dimmi pur, prego, se sei morta o viva. Viva son io, e tu sei morto ancora, Diss' ella, e sarai sempre, fin che giunga Ma 'l tempo è breve, e nostra voglia è lunga : Ed io al fin di quest' altra serena Quelle labbra rosate, insin ch'io dissi: La carne inferma, e l'anima ancor pronta Quand' udi' dir in un suon tristo e basso: O misero colui ch'e' giorni co ta, E pargli l' un mill' anni, e 'ndarno vive, E seco in terra mai non si raffronta ; E cerca 'l mar e tutte le sue rive, E sempre un stile ovunqu'e' fosse tenne; Sol di lei pensa, o di lei parla, o scrive! Allora in quella parte onde 'I suon venne Gli occhi languidi volgo; e veggio quella Ch'ambo noi, me sospinse e te ritenne. Riconobbila al volto e alla favella; Che spesso ha già il mio cor- racconsolato, Or grave e saggia, allor onesta e bella. E quand' io fui nel mio più bello stato, E dolce morte ch'a mortali è rara: Ch'i' vidi lampeggiar quel dolce riso Da te non fu 'l mio cor, nè giammai fia: Ma temprai la tua fiamma col mio viso. Perchè, a salvar te e me, null' altra via Era alla nostra giovenetta fama: Nè per ferza è però madre men pia. Quante volte diss' io meco: questi ama, Anzi arde or si convien ch'a ciò proveggia; E mal può provveder chi teme o brama. Quel di fuor miri, e quel dentro non veggia. Questo fu quel che ti rivolse e strinse Spesso, come caval fren che vaneggia. Più di mille fiate ira dipinse Il volto mio, ch' Amor ardeva il core; Drizzai 'n te gli occhi allor soavemente, |