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E se fu passion troppo possente,
E la fronte e la voce a salutarti
Mossi or timorosa ed or dolente.
Questi fur teco mie' ingegni e mie arti;
Or benigne accoglienze ed ora sdegni:
Tu 'l sai, che m' hai cantato in molte parti.
Ch' ' vidi gli occhi tuoi talor si pregni
Di lagrime, ch'io dissi: questi

corso

A morte, non l'aitando, i' veggio i segni. Allor provvidi d'onesto soccorso.

Talor ti vidi tali sproni al fianco,

Ch'i' dissi: qui convien più duro morso.
Cosi caldo, vermiglio, freddo e bianco,
Or tristo or lieto infin qui t'ho condutto
Salvo (ond' io mi rallegro), benchè stanco.
Ed io: Madonna, assai fora gran frutto
Questo d'ogni mia fè, pur ch'io 'l credessi;
Dissi tremando e non col viso asciutto.
Di poca fede! or io, se no sapessi,

Se non fosse ben ver, perchè 'l direi?
Rispose, e 'n vista parve s'accendessi.
S' al mondo tu piacesti agli occhi miei,
Questo mi taccio; pur quel dolce nodo
Mi piacque assai ch'intorno al cor avei;
E piacemi 'l bel nome (se 'l ver odo)

Che lunge e presso col tuo dir m'acquisti: Nè mai 'n tuo amor richiesi altro che modo. Quel mancò solo; e mentre in atti tristi

Volei mostrarmi quel ch' io vedea sempre, Il tuo cor chiuso a tutto 'l mondo apristi. Quinci'l mio gelo, ond' ancor ti distempre: Che concordia era tal dell' altre cose, Qual giunge Amor, pur ch'onestate il tempre. Fur quasi eguali in noi fiamme amorose; Almen poi ch'io m'avvidi del tuo foco; Ma l'un l'appalesò, l'altro l'ascose. Tu eri di mercè chiamar già roco, Quand' io tacea, perchè vergogna e tema Facean molto desir parer si poco.

Non è minor il duol perch' altri 'l prema,
Nè maggior per andarsi lamentando ;
Per fizion non cresce il ver nè scema.
Ma non si ruppe almen ogni vel quando
Sola i tuoi detti, te presente, accolsi,

« Dir più non osa il nostro amor » cantando?
Teco era 'l cor; a me gli occhi raccolsi:
Di ciò, come d' iniqua parte, duolti,
Se 'l meglio e 'l più ti diedi, e 'l men ti tolsi.
Nè pensi che, perchè ti fosser tolti

Ben mille volte, e più di mille e mille
Renduti e con pietate a te fur volti.
E state foran lor luci tranquille

Sempre ver te, se non ch' ebbi temenza
Delle pericolose tue faville.

Più ti vo' dir, per non lasciarti senza
Una conclusion ch' a te fia grata
Forse d'udir in su questa partenza:
In tutte l'altre cose assai beata,

In una sola a me stessa dispiacqui,
Che in troppo umil terren mi trovai nata.
Duolmi ancor veramente ch' io non nacqui
Almen più presso al tuo fiorito nido:
Ma assai fu bel paese ond' io ti piacqui.
Che potea 'I cor, del qual sol io mi fido,
Volgersi altrove, a te essendo ignota;
Ond'io fora men chiara e di men grido.
Questo no, rispos'io, perchè la rota

Terza del ciel m' alzava a tanto amore,
Ovunque fosse, stabile ed immota.
Or che si sia, diss'ella, i' n'ebbi onore,
Ch' ancor mi segue; ma per tuo diletto
Tu non t'accorgi del fuggir dell' ore.
Vedi l'Aurora dell' aurato letto

Rimenar a' mortali il giorno; e il Sole
Già fuor dell' Oceano infino al petto.
Questa vien per partirci; onde mi dole:
S'a dir hai altro, studia d'esser breve,
E col tempo dispensa le parole.

Petrarca.

18

Quant' io soffersi mai, soave e leve,
Dissi, m' ha fatto il parlar dolce e pio;
Ma 'I viver senza voi m'è duro e greve.
Però saper vorrei, Madonna, s'io

Son per tardi seguirvi, o se per tempo.
Ella, già mossa, disse: al creder mio,
Tu stara' in terra senza me gran tempo.

TRIONFO DELLA FAMA.

Quando, mirando intorno su per l'erba,
Vidi dall'altra parte giunger quella

Che trae l'uom del sepolcro, e'n vita il serba.
Trionfo della Fama, Cap. I.

CAPITOLO I.

Continuando il suo sogno, del quale parlò nel primo capitolo del Trionfo d'Amore, notifica come, dopo la partita della Morte sopraggiunse la Fama trionfante; e descrivendo le persone fa migerate che la seguitavano, ne fa tre schiere: una de'Romani o per armi o per altra opera chiari, eccettochè per lettere; una de' forestieri medesimamente celebri per altra via, che per lettere; una de' Romani e de' forestieri illustri per lettere. In questo capitolo, che va congiunto col primo del Trionfo della Morte, pone la prima schiera.

Da poi che Morte trionfò nel volto
Che di me stesso trionfar solea,

E fu del nostro mondo il suo Sol tolto;
Partissi quella dispietata e rea,

Pallida in vista, orribile e superba
Che'l lume di bellate spento avea:

Quando, mirando intorno su per l'erba,
Vidi dall'altra parte giunger quella

Che trae l'uom del sepolcro, e 'n vita il serba. Quale in sul giorno l'amorosa stella Suol venir d' oriente innanzi al Sole, Che s'accompagna volentier con ella; Cotal venia. Ed or di quali scole

Verrà 'l maestro che descriva appieno Quel ch'i' vo' dir in semplici parole? Era d'intorno il ciel tanto sereno,

Che, per tutto 'I desio ch'ardea nel core, L'occhio mio non potea non venir meno. Scolpito per le fronti era'l valore

Dell' onorata gente; dov'io scorsi Molti di quei che legar vidi Amore. Da man destra, ove prima gli occhi porsi, La bella donna avea Cesare e Scipio; Ma qual più presso, a gran pena m'accorsi. L'un di virtute e non d'amor mancipio, L'altro d' entrambi: e poi mi fu mostrata, Dopo si glorioso e bel principio,

Gente di ferro e di valor armata,

Siccome in Campidoglio al tempo antico
Talora per Via Sacra o per Via Lata.
Venian tutti in quell'ordine ch' i' dico,
E leggeasi a ciascuno intorno al ciglio
Il nome al mondo più di gloria amico.
I'era intento al nobile bisbiglio,

Al volto, agli atti: e di que' primi due
L'un seguiva il nipote e l'altro il figlio,
Che sol, senz' alcun par, al mondo fue;
E quei che volser a' nemici armati
Chiuder il passo con le membra sue,
Duo padri, da tre figli accompagnati ;
L'un, giva innanzi, e duo ne venian dopo;
E l'ultim' era 'l primo tra' laudati.
Poi fiammeggiava a guisa di un piropo
Colui che col consiglio e con la mano
A tutta Italia giunse al maggior uopo:

Di Claudio, dico, che notturno e piano,
Come 'l Metauro vide, a purgar venne
Di ria semenza il buon campo romano.
Egli ebbe occhi al veder, al volar penne:
Ed un gran vecchio il secondava appresso,
Che con arte Anniballe a bada tenne.
Un altro Fabio, e duo Caton con esso;
Duo Paoli, duo Bruti e duo Marcelli;
Un Regol ch' amò Roma e non se stesso;
Un Curio ed un Fabrizio, assai più belli
Con la lor povertà, che Mida o Crasso
Con l'oro, ond' a virtù furon ribelli;
Cincinnato e Serran, che solo un passo
Senza costor non vanno; e'l gran Camillo
Di viver prima, che di ben far, lasso;
Perch'a si alto grado il Ciel sortillo,
Che sua chiara virtute il ricondusse
Ond' altrui cicca rabbia dipartillo.
Poi quel Torquato che'l figliuol percusse,
E viver orbo per amor sofferse

Della milizia, perch'orba non fusse.
L'un Decio e l'altro, che col petto aperse
Le schiere de' nemici: o fiero voto,
Che 'l padre e'l figlio ad una morte offerse !
Curzio con lor venia, non men devoto,
Che di sè e dell' arme empiè lo speco
In mezzo 'l foro orribilmente vôto.
Mummio, Levino, Attilio; ed ora seco
Tito Flaminio, che con forza vinse,
Ma assai più con pietate, il popol greco.
Eravi quel che 'l re di Siria cinse

D'un magnanimo cerchio, e con la fronte E con la lingua a suo voler lo strinse: E quel ch' armato, sol, difese il monte, Onde poi fu sospinto; e quel che solo Contra tutta Toscana tenne il ponte; E quel ch' in mezzo del nemico stuolo Mosse la mano indarno, è poscia l'arse, Si seco irato che non senti 'l duolo;

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