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O felice colui che trova il guado

Di questo alpestro e rapido torrente

C' ha nome vita, ch'a molti è sì a grado! Misera la volgare è cieca gente,

Che pon qui sue speranze in cose tali
Che 'l tempo le ne porta si repente!
O veramente sordi, ignudi e frali,
Poveri d'argomento e di consiglio,
Egri del tutto e miseri mortali!

Quel, che 'l mondo governa pur col ciglio;
Che conturba ed acqueta gli elementi;
Al cui saper non pur io non m'appiglio,
Ma gli angeli ne son lieti e contenti
Di veder delle mille parti l'una,

Ed in ciò stanno desiosi e 'ntenti.
O mente vaga, al fin sempre digiuna!
A che tanti pensieri? un'ora sgombra
Quel che 'n molt' anni appena si raguna.
Quel che l'anima nostra preme e 'ngombra,
Dianzi, adesso, ier, diman, mattino e sera,
Tutti in un punto passeran com' ombra.
Non avrà loco fu, sarà, nè era;

Ma è solo, in presente, e ora, e oggi,
E sola eternità raccolta e 'ntera.
Quanti spianati dietro e innanzi poggi,
Ch' occupavan la vista! e non fia in cui
Nostro sperar e rimembrar s'appoggi:
La qual varietà fa spesso altrui
Vaneggiar si che 'l viver pare un gioco,
Pensando pur: che sarò io? che fui?
Non sarà più diviso a poco a poco,

Ma tutto insieme; e non più state o verno,
Ma morto 'l tempo e variato il loco.
E non avranno in man gli anni 'l governo
Delle fame mortali; anzi chi fia

Chiaro una volta, fia chiaro in eterno.

O felici quell'anime che 'n via
Sono o saranno di venir al fine

Di ch'io ragiono, qualunqu' e' si sia!

E tra l'altre leggiadre e pellegrino,
Beatissima lei che Morte ancise
Assai di qua dal natural confine!
Parranno allor l'angeliche divise,
E l'oneste parole, e i pensier casti,
Che nel cor giovenil Natura mise.
Tanti volti che'l Tempo e Morte han guasti,
Torneranno al suo più fiorito stato;
E vedrassi ove, Amor, tu mi legasti,
Ond' io a d.to ne sarò mostrato:

Ecco chi pianse sempre, e nel suo pianto
Sopra 'l riso d'ogni altro fu beato.
E quella di cui ancor piangendo cauto,
Avrà gran maraviglia di sè stessa,
Vedendosi fra tutte dar il vauto.
Quando ciò fia, nol so; sassel propri' essa;
Tanta credenza ha pù fili compagni:
A si ́alto secreto chi s'appressa?
Credo che s'avvicini: e de' guadagni
Veri e de falsi si farà ragione;
Che tutte fieno allor ópre di ragni.
Vedrassi quanto in van cura si pone,
E quanto indarno s'affatica e suda;
Come sono ingannate le persone.
Nessun secreto fia chi copra o chiuda;
Fia ogni conscienza, o chiara o fosca,
Dinanzi a tutto il mondo aperta e nuda;
E fia chi ragion giudichi e conosca:
Poi vedrem prender ciascun suo viaggio,
Come fiera cacciata si rimbosca ;
E vederassi in quel poco paraggio
Che vi fa ir superbi, oro e terreno,
Essere stato danno e non vantaggio;
E'n disparte, color che sotto'l freno
Di molesta fortuna ebbero in uso,
Senz' altra pompa, di golersi in seno.
Questi cinque Trionfi in terra giuso
Avem veduti, ed alla fine il sesto,
Dio permettente, vederem lassuso;

E'l Tempo disfar tutto e così presto;
E Morte in sua ragion cotanto avara:
Morti saranno insieme e quella e questo.
E quei che fama meritaron chiara,

Che 'l Tempo spense; e i bei visi leggiadri,
Che 'mpallidir fe Tempo e Morte amara;
L'obblivion, gli aspetti oscuri ed ́adri,
Più che mai bei tornando. lasceranno
A Morte impetuosa i giorni ladri.
Nell'età più fiorita e verde aranno

Con immortal bellezza eterna fama;
Ma innanzi a tutti ch'a rifar si vanno,
È quella che piangendo il mondo chiama
Con la mia lingua e con la stanca penna;
Ma 'I ciel pur di vederla intera brama.
A riva un fiume che nasce in Gebenna,
Amor mi diè per lei si lunga guerra,
Che la memoria ancor il core accenna.
Felice sasso che 'l bel viso serra!

Che poi ch'avrà ripreso il suo bel velo,
Se fu beato chi la vide in terra,

Or che fia dunque a rivederla in cielo?

PARTE QUARTA

SONETTI E CANZONI

SOPRA VARJ ARGOMENTI

SONETTO I.

Rincora un amico allo studio delle lettere e all'amore della filosofia.

La gola e 'l sonno e l'oziose piume
Hanno del mondo ogni vertů sbandita,
Ond'è dal corso suo quasi smarrita
Nostra natura, vinta dal costume:
Ed è si spento ogni benigno lume
Del ciel, per cui s'informa umana vita,
Che per cosa mirabile s' addita

Chi vuol far d'Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro? qual di mirto?
Povera e nuda vai, filosofia,

Dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per l'altra via: Tanto ti prego più, gentile spirto, Non lassar la magnanima tua impresa.

SONETTO II.

A Stefano Colonna il vecchio, ch'era già stato in Avignone, e si dipartiva.

Gloriosa Colonna, in cui s'appoggia

Nostra speranza el gran nome latino; Ch' ancor non torse dal vero cammino L'ira di Giove per ventosa pioggia; Qui non palazzi, non teatro o loggia, Ma 'n for vece un abete, un faggio, un pino Tra l'erba verde e 'l bel monte vicino, Onde si scende poetando e poggia, Levan di terra al ciel nostr' intelletto; El rosignuol che dolcemente all'ombra Tutte le notti si lamenta e piagne, D'amorosi pensieri il cor ne 'ngombra: Ma tanto ben sol tronchi e fa' imperfetto Tu che da noi, signor mio, ti scompagne.

SONETTO III.

Risponde a Stramazzo da Perugia, che lo invitava a poetare.

Se l'onorata fronde, che prescrive

L'ira del ciel quando 'I gran Giove tona,
Non m'avesse disdetta la corona
Che suole ornar chi poetando scrive;

I' era amico a queste vostre Dive,
Le qua' vilmente il secolo abbandona:
Ma quella ingiuria già lunge mi sprona
Dall' inventrice delle prime olive;
Che non bolle la polver d' Etiopia
Sotto 'I più ardente Sol, com' io sfavillo
Perdendo tanto amata cosa propia.
Cercate dunque fonte più tranquillo;
Che 'I mio d'ogni liquor sostene inopia,
Salvo di quel che lagrimando stillo.

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