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JACOPO DA LENTINO

Fiori verso la metà del secolo XIII, e fu conosciuto sotto il nome di Notajo, che gli venne dall'esercizio di quell'ufficio. Dante nel XXIV del Purgatorio lo appella cosi, e lo pone nel numero di coloro che cantarono di amore senza esser da quello ispirati, e che non conobbero il nuovo e dolce stile trovato in appresso. Lorenzo de'Medici nella sua epistola a Federigo d'Aragona lo dice grave e sentenzioso, ma spogliato d'ogni fiore di leggiadria.

Rimangono di lui varie canzoni, le quali, sebbene sieno sparse di voci antiquate, pure hanno qua e là qualche vaghezza e delle idee assai naturali e gentili. Sempre si lamenta della durezza della sua donna e delle pene, in cui essa lo ha messo. Il suo dolore è tale che

Cor non lo penseria nè 'l diria lingua.

Si maraviglia ch'il fuoco non lo consumi, e poi si ricorda che la salamandra vive sana in mezzo di esso

.....

ATTO VANNUCCI.

CANZONE

Madonna, dir vi voglio
Come l'Amor m'ha priso.
Inver lo grande orgoglio

Che voi, bella, mostrate, e' non m' aita
Ahi lasso lo meo core

In tante pene è miso,

Che vive, quando muore

,

Per bene amare, e teneselo a vita.
Dunque morirà eo?

No: ma lo core meo

More più spesso e forte

Che non faria di morte naturale
Per voi, donna, cui ama;
Più che sè stesso brama,
E voi pur lo sdegnate:
Donqua vostr' amistate

vide male.

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SCELTE POESIE LIRICHE

Del mio 'nnamoramento
Alcuna cosa ho detto:

Ma si com' io lo sento

Cor non lo penseria, nè 'l diria lingua.
Ciò, ch' eo dico, è neente

In ver ch' eo son distretto:
Tanto coralmente

Foco aggio, che non credo mai s'estingua.
Anzi, se pur alluma,

Perchè non mi consuma?

La salamandra audivi

Che dentro il foco vivi, stando sana.
Ed eo già per lungo uso
Vivo in foco amoroso,
E non saccio ch'eo dica;
Lo meo lavoro spica,
Madonna, si mi avvene

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é non mi grana.

Ch'eo non posso invenire
Com' eo dicesse bene`

La propria cosa, ch'eo sento d'amore

E' parmi uno spirito

Ch' al cor mi fa sentire;

E giammai non son chito,

S'eo non posso trar lo suo sentore.

Lo non poder mi turba,

e sè riprende;

Com'uom che pinge e sturba,
Perocchè gli dispiace.
Lo pingere che face,
Che non fa per natura
La propria pintura:
E non è da biasmare
Uomo, che cade in mare,

Lo vostro amor, che m'ave,

M'è mare tempestoso:

Ed eo, sicom' la nave

Love s'apprende

Che gitta alla fortuna ogni pesanti,

E scampane, per gitto,

Di loco periglioso,

Similemente eo gitto

A voi, bella, li miei sospiri e pianti:

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Ma credo che dispiaceria voi pinto.

Perchè a me solo, lasso!

Cotal ventura è dato?

Perchè non minde lasso?

Non posso: di tal guisa Amor m'ha vinto.

Ben vorria che avvenisse

Che lo meo core uscisse
Come incarnato tutto,
E non dicesse mutto

a voi, sdegnosa:

Chè Amore a tal m' addusse

Che, se vipera fusse,

Natura perderia:

Ella mi vederia: fora pietosa.

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SONETTO

Io m'aggio posto in core a Dio servire
Com'io potesse gire in Paradiso,
Al santo loco, ch'aggio audito dire
O' si mantien sollazzo, gioco e riso.
Senza Madonna non vi vorria gire,
Quella ch' ha bionda testa e chiaro viso,
Che senza lei non poteria gaudire
Istando dalla mia donna diviso.
Ma non lo dico a tale intendimento
Perch' io peccato ci volesse fare;
Se non veder lo suo bel portamento,

E lo bel viso e 'l morbido sguardare,
Chè 'l mi terria in gran consolamento
Veggendo la mia donna in gioia stare.

BUONAGIUNTA URBICIANI

Dante nell'aggirarsi fra quelli che sono contenti nel fuoco, perchè sperano di andare alle beate genti, quando avranno purgato le loro sozzure, si avviene (Purg. XXIV) in quelli che in vita condiscesero di troppo alla gola. Quivi con quel dal Torso, che purga pel digiuno

L'anguille di Bolsena in la vernaccia,

è Buonagiunta Urbiciani da Lucca, stato amico all' Alighieri, a cui scrisse sonetti, e ne ebbe in risposta sonetti. Dante confessa la sua amicizia per lui, ma lo pone nel numero di quelli che scrissero rime amorose, senza esser presi d'amore, e però, con poco successo.

Era in fiore sulla metà del secolo XIII, e in patria fu notaio. Molti hanno lodato la sua maniera di poetare; ma ad onta di ciò, chiunque si faccia a leggere i suoi versi, agevolmente conosce che non sono nè sostenuti, nè molto leggiadri. Pure vuol saperglisi grado come a tutti quelli che furono incominciatori di un' arte. Benvenuto da Imola, oltre a lodarlo come poeta, lo dice onorevole uomo e facondo oratore nella lingua materna.

ATTO VANNUCI.

CANZONE

Ben mi credeva in tutto esser d'Amore
Certamente allungato,

Si m'era fatto selvaggio e straniero:
Or sento che in erranza era 'l mio core,
Che non m'avia obliato,

Nè riguardato il mio coraggio fero:
Poichè servo m'ha dato per servire
A quella, cui grazire
Fanno somma piacenza
E somma conoscenza;

Che tutte gioie di beltate ha vinto, Siccome grana vince ogn' altro tinto. Tant' allegrezza nel mio core abbonda Di si alto servaggio,

Che m' ha, e tiemmi tutto in suo volere, Che non posa giammai se non com' onda; Membrando il suo visaggio,

Che ammorza ogn' altro viso, e fa sparere
In tal maniera, che là ov' ella appare,
Nessun la può guardare,

E mettelo in errore:
Tant'è lo suo splendore,

Che passa il Sole, di vertute spera,
E stella e luna, ed ogni altra lumera.
Amor, lo tempo ch'era senz' amanza,
Mi sembra in veritate,

Ancor vivessi, ch' era senza vita:

Che a viver senz'Amor non è baldanza,
Nè possibilitate

D'alcun pregio acquistar di gio' gradita.
Onde fallisce troppo oltra misura
Qual uom non s'innamura:

Chè Amore ha in sè vertode,

Del vil uom face prode

S'egli è villano, in cortesia lo muta: Di scarso, largo a divenir lo aiuta. Ciascuna guisa d'Amor graziosa,

Secondo la natura

Che vien da gentil loco, ha in sè valore:

Com' arbore, quand'è fruttiferosa,

Qual frutto è più in altura,

Avanza tutti gli altri di sapore.

Onde la gioja mia passa l'ottima

Quant'è più d'alta cima;

Di cui si può dir bene

Fontana d'ogni bene,

Che di lei sorge ogn' altro ben terreno,
Com' acqua viva, che mai non vien meno.

Dunque m'allegro certo a gran ragione,
Ch'io mi posso allegrare,

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