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Misera! che dovrebbe esser accorta

Per lunga esperienza omai, che'l tempo Non è chi 'ndietro volga o chi l'affreni. Più volte l'ho con tai parole scorta: Vattene, trista; che non va per tempo Chi dopo lassa i suoi dì più sereni.

SONETTO LVIII.

Chiama suoi nemici gli occhi di Laura che lo tengono in vita per tormentarlo.

Si tosto come avvien che l'arco scocchi,
Buon sagittario di lontan discerne
Qual colpo è da sprezzare, e qual d'averno
Fede ch'al destinato segno tocchi.
Similemente il colpo de' vostr' occhi,
Donna, sentiste alle mie parti interne
Dritto passare; onde convien ch' eterne
Lagrime per la piaga il cor trabocchi.
E certo son che voi diceste allora:

Misero amante, a che vaghezza il mena!
Ecco lo strale ond' Amor vol ch' e' mora.
Ora, veggendo come'l duol m' affrena,
Quel che mi fanno i miei nemici ancora,
Non è per morte, ma per più mia pena.

SONETTO LIX.

Consiglia agli amanti la fuga d'Amore prima d'essere arsi dalle sue flamme.

Poi che mia speme è lunga a venir troppo,
E della vita il trapassar si corto,
Vorreimi a miglior tempo esser accorto,
Per fuggir dietro più che di galoppo:
E fuggo ancor così debile e zoppo
Dall'un de' lati, ove'l desio m'ha storto:
Securo omai; ma pur nel viso porto
Segni ch' io presi all' amoroso intoppo.

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On l' io consiglio voi che siete in via:

Volgete i passi; e voi ch'Amore avvampa,
Non v'indugiate su l'estremo ardore.
Che, perch'io viva, di mille un non scampa.
Era ben forte la nemica mia;

E lei vid'io ferita in mezzo 'l core.

SONETTO LX.

Fuggito dalla prigione di Amore, volle ritornarvi, e non può più uscirne,

Fuggendo la prigione ov'Amor m'ebbe
Molt'anni a far di me quel ch' a lui parve,
Doune mie, lungo fora a ricontarve
Quanto la nova libertà m'increbbe.
Diceami' cor, che per sè non saprebbe
Viver un giorno; e poi tra via in'apparve
Quel traditor in si mentite larve,

Che più saggio di me ingannato avrebbe.
Onde più volte sospirando indietro,

Dissi: Oimè, il giogo e le catene e i ceppi
Eran più dolce che l'andare sciolto.
Misero me! che tardo il mio mal seppi:
E con quanta fatica oggi mi spetro
Dell'error ov'io stesso m'era involto!

SONETTO LXI.

Dipinge le celesti bellezze della sua Donna,
e protesta di amarla sempre.

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea;
El vago lume oltra misura ardea

Di quei begli occhi, ch'or ne son si scarsi;
E' viso di pietosi color farsi,

Non so se vero o falso, mi parea:
I' che l'esca amorosa al petto avea,
Qual maraviglia se di subit arsi?

Non era l'andar suo cosa mortale,

Ma d'angelica forma; e le parole
Sonavan altro che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo sole

Fu quel ch'i' vidi; e se non fosse or tale,
Piaga per allentar d'arco non sana.

SONETTO LXII.

Amore minaccioso e sdegnato contro di lui,
lo condanna a pianger sempre.

Più volte Amor m'avea già detto: Scrivi,
Scrivi quel che vedesti in lettre d'oro;
Si come i miei seguaci discoloro,
E'n un momento gli fo morti e vivi.
Un tempo fu che 'n te stesso 'l sentivi,
Volgare esempio all' amoroso coro:
Poi di mau mi ti tolse altro lavoro;
Ma già ti raggiuns' io mentre fuggivi.
E s'e' begli occhi ond' io mi ti mostrai,
E là dov' era il mio dolce ridutto
Quando ti ruppi al cor tanta durezza,
Mi rendon l'arco ch'ogni cosa spezza;
Forse non avrai sempre il viso asciutto :
Ch' mi pasco di lagrime; e tu 'l sai.

SONETTO LXIII.

Descrive lo stato di due amanti, ritornando col pensiero sopra sè stesso.

Quando giugne per gli occhi al cor profondo
L'immagin donna, ogni altra indi si parte;
E le vertù che l'anima comparte,
Lascian le membra quasi immobil pondo.
E del primo miracolo il secondo

Nasce talor; che la scacciata parte,
Da sè stessa fuggendo, arriva in parte
Che fa vendetta, e 'l suo esilio giocondo.

Quinci in duo volti un color morto appare;
Perchè 'l vigor che vivi gli mostrava,
Da nessun lato è più là dove stava.
E di questo in quel di mi ricordava,
Ch'i' vidi duo amanti trasformare
E far qual io mi soglio in vista fare.

SONETTO LXIV.

Duolsi di Laura, ch' ella non penetri con gli occhi nel fondo del suo cuore.

Così potess'io ben chiuder in versi

I miei pensier, come nel cor li chiudo; Ch'animo al mondo non fu mai si crudo, Ch'i' non facessi per pietà dolersi. Ma voi, occhi beati, ond'io soffersi

Quel colpo ove non valse elmo nè scudo, Di for e dentro mi vedete ignudo, Benchè 'n lamenti il duol non si riversi; Poi che vostro vedere in me risplende, Come raggio di Sol traluce in vetro. Basti dunque il desio, senza ch'io dica. Lasso non a Maria. non nocque a Pietro La fede ch' a me sol tanto è nemica : E so ch' altri che voi nessun m' intende.

SONETTO LXV.

Non vorrebbe più amare quell'oggetto che, rivedendo, è forzato di riamare.

Io son dall'aspettar omai si vinto
E della lunga guerra de' sospiri,
Ch'i' aggio in odio la speme e i desiri,
Ed ogni laccio onde 'l mio cor è avvinto.
Ma 'l bel viso leggiadro che dipinto

Porto nel petto, e veggio ove ch'io miri,
Mi sforza; onde ne' primi empi martiri
Pur son contra mia voglia risospinto.

Allor errai quando l'antica strada

Di libertà mi fu precisa e tolta:

Che mal si segue ciò ch'agli occhi aggrada. Allor corse al suo mal libera e sciolta;

Or a posta d'altrui conven che vada
L'anima, che peccò sol una volta.

SONETTO LXVI.

Deplora la libertà già perduta, e l'infelicità
del suo stato presente.

Ahi, bella libertà, come tu m'hai,
Partendoti da me, mostrato quale
Era 'l mio stato quando 'l primo strale
Fece la piaga ond'io non guarrò mai!
Gli occhi invaghiro allor si de' lor guai,
Che 'l fren della ragion ivi non vale;
Perc' hanno a schifo ogni opera mortale:
Lasso, così da prima gli avvezzai.
Nè mi lece ascoltar chi non ragiona
Della mia morte; che sol del suo nome
Vo empiendo l'aere che si dolce suona.
Amor in altra parte non mi sprona,

Nè i piè sanno altra via, nè le man come
Lodar si possa in carte altra persona.

SONETTO LXVII.

Mostra ad un amico qual sia la strada a tenersi; ma confessa ch'ei l'ha smarrita.

Poi che voi ed io più volte abbiam provato
Come 'l nostro sperar torna fallace,
Dietr' a quel sommo ben che mai non spiace,
Levate 'l core a più felice stato.

Questa vita terrena è quasi un prato
Che 'l serpente tra' fiori e l'erba giace;
E s' alcuna sua vista agli occhi piace,
È per lassar più l'animo invescato.

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