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memoria vivissima, e quando la stella di Venere due fiate era rivolta in quello suo cerchio che la fa parere serotina e mattutina (Convivio, II-2), ecco la gentile donna giovane e bella molto, la quale da una finestra lo riguardava si pietosamente quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta (Vita nuova, XXXV). Erano corsi due anni dalla morte di Beatrice, giacché, come pare certo dopo le congetture del Lubin, i due rivolgimenti di Venere si compiono in due anni di 365 giorni; posteriormente al giugno del 1292, adunque è da riferirsi l'episodio della donna gentile, che forma la quarta parte della Vita nuova.

L'episodio gentile della donna gentile ha dato luogo alle ipotesi più disparate sulla realtà e sulla identità di essa.' Sono tutte ipotesi ingegnose, ma, conclude, a ragione, il Casini, «< alla determinazione della personalità storica di questa donna non si potrà forse arrivar mai, mancando nella Vita nuova e nelle altre opere di Dante gli elementi bastevoli a ciò ». È giusto. Ma vogliasi che si alluda a donna reale od allegorica, è certo che poche volte l'arte espresse intimi affetti con tanta verità di sentimento come nei versi che sono in questa sezione del giovanile libello. Né sono molti i sonetti :

Videro gli occhi miei quanta pietate;
Color d'amore e di pietà sembianti ;
L'amaro lagrimar che voi faceste ;

Gentil pensero, che parla di vui ;

tutti bellissimi ed informati ad un sentimento cosí sincero che ci sforzerebbe a cre

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* Riassumo, per comodo dei lettori, le principali opinioni espresse sulla donna gentile dai principali critici danteschi. Lo Scartazzini, considerandola come allegoría e come realtà, conclude che essa rappresenta una pluralità di donne amate in diversi tempi dal Poeta; ciò che non mi sembra sostenibile, perché allora essa sarebbe un quid simile delle donne della difesa ; il GOESCHEL, citato dal CASINI, e il FORNACIARI, la identificano con la Matelda del Purgatorio, ciò che non crederei, perché sarebbe strano che la donna gentile, la quale dovrebbe rappresentare uno di quei traviamenti del Poeta, quando si tolse da Beatrice e diessi altrui, fosse poscia convertita nella presentatrice del Poeta a Beatrice. Il BARTOLI, per ciò che dice Dante stesso nel Convito, II, cap. 2, sostenne essere la Filosofia; ma, a mio debole avviso, credo abbiano maggiore probabilità di cogliere nel vero le opinioni del BALBO e del FRATICELLI, che in questo episodio dantesco vedevano un accenno a Gemma Donati, che fu poi moglie del Poeta. Agli argomenti adotti da questi due scrittori, un altro, e non mi pare disprezzabile, aggiungerò. Il matrimonio di Dante avvenne nel 1292, e proprio in quell'anno si compivano i due rivolgimenti della stella di Venere. Che Gemma fosse buona moglie, non pare; per la qual cosa, il racconto della donna gentile e il successivo ritorno del Poeta al culto di Beatrice, si potrebbe spiegare cosi: Due anni dopo la morte della sua donna, Dante si diede ad altra donna, che divenne poi sua moglie: il matrimonio non fu felice, e il Poeta cercò nello studio la forza per rinfrancar l'animo, e nel culto del suo primo amore pose ogni sua idealità. Ma il lettore vede che siamo sempre nel campo delle ipotesi più o meno sostenibili, giacché non abbiamo nelle opere di Dante elementi bastevoli per determinare la personalità storica della donna gentile. (Ma chi può accertare che il matrimonio di Dante avvenne proprio nel '92 ? N. D. D.)

un che

dere, qualora fossero diretti ad un essere allegorico, che sia possibile esprimere con splendore di forma, un affetto non immediatamente sentito, ma creato con uno sforzo lungo e tenace d'immaginazione; bisognerebbe negare fede all'Io mi son quando Amore spira noto ed a quel modo Ch'ei detta dentro vo significando. Una compiuta discussione sulle opinioni disparate espresse sulla donna gentile condurrebbe noi non solo fuori dal tèma che ci siamo proposto, ma altresí in un ginepraio di difficoltà che spaventerebbero ben altro ingegno che il nostro ; ma noi che esaminiamo il Canzoniere dantesco solo per studiare l'ordinamento delle rime di esso, sorvoliamo volontieri ad una discussione, alla quale non sapremmo né potremmo portare qualche utile contributo.

Nota, e molto opportunamente, il Casini che « infruttuosa sarebbe la ricerca delle poesie di Dante che possono riportarsi alle ultime due parti della Vita nuova, poichè mancano nel canzoniere elementi bastevoli a una determinazione positiva: e soltanto si può dire che al chiudersi del libro si apre la serie delle canzoni filosofiche ». Ciò è giustissimo ma mi sembra non si possa porre in dubbio che a questo tempo è da attribuire la canzone: Amor che nella mente mi ragiona; giacché ciò è affermato da Dante nel III trattato del Convito.

L'ultima parte della Vita nuova, e cioè il Ritorno all'amore e al culto di Beatrice estinta, comprende i capitoli XXXIX-XLII, e comincia da una forte imaginazione nel Poeta, che gli parve vedere questa gloriosa Beatrice con quelle vestimenta sanguigne co le quali apparve prima a li occhi suoi, e parvegli in simile etade ne la quale primieramente la vide. La visione ha un riscontro, come ognuno sa, in quei versi del XXX del Purgatorio, nei quali il Dante è rimproverato da Beatrice per la sua vita trascorsa dopo il giorno che ella in ciel salio; è il ritorno al culto di quella Beatrice divina dopo il suo errare in altri amori, che, se fossero soltanto allegorici, la gentilissima non avrebbe avuto ragione di rimproverargli di sulle vette del Paradiso terrestre.

A quale epoca si deve riferire questa visione dantesca, e la ultima parte della Vita nuova? Ormai la interpretazione della lezione và - andava nell'episodio dei Romei che vanno a visitare la Veronica ha decisamente trionfato, e quel sonetto: O peregrini che pensosi andate, non si vuole piú riferire al solenne giubileo del 1300, ma bensí a uno dei pellegrinaggi annuali che si facevano a Roma. Cosí è tolta di mezzo, dopo gli studi, specialmente del Rajna, la opinione che la Vita nuova sia stata scritta dopo il 1300, anzi la opinione messa fuori dal prof. Casini sia stata redatta, per la parte prosastica, nel 1295, ha tante probabilità di sicurezza, che non dubito terminerà col trionfare decisamente. Di poco anteriore a questo anno, adun

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P. RAJNA: Per la data della « Vita nuova » e non per essa soltanto, in Giorn. stor. della Lett. ital., VI, 113 e segg., e F. D'OVIDIO, Recensione alla Vita nuova, edizione D'ANCONA, in Nuova Antologia, 1884.

2

• Di questi giorni il prof. G. FEDERZONI, in una sua nota dantesca: Quando fu composta la « Vita nuova », Rocca San Casciano, Cappelli, 1899, ha tentato dimostrare la contempo

que, debbono essere i sonetti: Lasso, per forza di molti sospiri, scritto da Dante per vergognare di ciò che li suoi occhi aveano cosí vaneggiato (Vita nuova, XXXIX) e: Deh peregrini, che pensosi andate, scritto in quel tempo che molta gente va per vedere quella imagine benedetta la quale Gesù Cristo lasciò a noi per esempio de la sua bellissima figura (Vita muova, XL); e finalmente l'altro: Oltre la spera che più larga gira, colla quale Dante accompagnò le parole rimate che diede alle due donne gentili che ne lo avevano richiesto (Vita nuova, XLI). In esso è già qualche accenno a quella materia che poscia svolgerà nel Paradiso: la donna sua è già oltre la spera che più larga gira;

e luce si che per lo suo splendore

lo peregrino spirito la mira;

la donna è già rappresentata, quasi come negli ultimi canti del Paradiso:

Luce intellettual piena d'amore,
amor di vero ben pien di letizia,
letizia che trascende ogni dolzore;

si facea corona

riflettendo da sé gli eterni rai.

(Parad., XXX, 40 e XXXI, 71.)

Qui l'indiazione della donna è compiuta anche un passo, e una mirabile visione gli farà proporre di non dir più di questa benedetta finché potesse più degnamente trattare

raneità della canzone: Donna pietosa col concepimento della visione del viaggio attraverso i regni d'oltretomba, ma confessiamo che le sue ragioni non ci hanno convinti; possiamo ammettere che sia posteriore all'altra: Gli occhi dolenti, ma che in essa Beatrice sia rappresentata come qualche cosa che non ha più niente del terreno.... una potenza del cielo.... l'opera divina che per la sua stessa perfezione è diventata qualche cosa di Dio stesso, un attributo, una virtú, la sapienza divina », non diremmo. A distruggere tutto l'elegante ragionamento del FEDERZONI basta pensare che le visioni della Vita nuova, come notava pure il Bartoli, sono mezzi poetici, e la canzone: Donna pietosa dovette essere scritta dopo la morte di Beatrice, quando, cioè, nell'affetto e nella immaginazione del Poeta essa era già nell'alto cielo, Nel reame ove gli angeli hanno pace. Non è improbabile che, altrove, prendiamo in esame l'opuscolo del FEDERZONI.

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Nel cap. XLI della Vita nuova Dante narra che alle due donne gentili chiedenti sue parole rimate, diede il sonetto: Oltre la spera che più larga gira insieme al precedente sonetto [Deh, peregrini] e con un altro che comincia: Venite a 'ntender, già inserito nella Vita nuova al cap. XXXII. Per questo fatto crede il RONCHETTI, art. cit., possibile uno spostamento. La supposizione mi pare alquanto ingegnosa, ma non, forse, sostenibile. Però non mi sembra corretta la lezione un altro, parendomi ingiustificato l'uso di quell' indeterminativo un, mentre avrebbe dovuto usare il determinativo lo, essendo il sonetto: Venite a 'ntender già noto a chi, leggendo la Vita nuova, era giunto al cap. XLI. Per la contraddizione che CECCO ANGIOLIERI trovava nel sonetto: Oltre la spera, (vedi il sonetto del brioso senese: Dante Alleghier, Cecco, 'l tu' servo amico), cfr. la nota del D'ANCONA al cap. XLI della sua Vita nuova.

di lei. Non è sosta, non è riposo ozioso: è preparazione laboriosa e sapiente che darà all'arte nostra il Convito e la Commedia.

È

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V.

grave danno per lo studio del Poeta e dei suoi tempi, che non poche rime missive di Dante siano andate perdute, giacché avrebbero potuto essere un'ampia illustrazione della sua vita, considerata nelle attinenze che egli ebbe coi suoi contemporanei. Mésse in quarantena le rime che la Giuntina del '27 attribuisce a Dante come indirizzate al Maianese, riescirà sempre rincrescevole la perdita delle rime che egli dové indirizzare a Cecco Angiolieri,' col quale la corrispondenza fu tutt'altro che cordiale, anzi oltrepassò i limiti di quella convenienza che il fren dell'arte richiede. Rispose Dante in versi al celebre sonetto del Cavalcanti: Io vegno il giorno a te infinite volte, o si contentò di rispondere all'amico in prosa e a voce, forse nei lieti conversari, quando ebbe lasciata in disparte la noiosa gente? Non so certo, se rispose in versi, costituisce un gran danno la perdita di essi, giacché avrebbero potuto spiegarci la rimenata di Guido, che noi oggi dobbiamo interpretare sotto il velame delli versi strani. Ma anche senza questi, rimane nel Canzoniere di Dante una discreta sezione di rime che noi classifichiamo sotto la distribuzione di Rime missive e responsive.

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Di queste, le più importanti, e perché danno un'impronta del carattere di Dante nel tempo dei suoi trascorsi, e perché mostrano il Poeta nei rapporti coi suoi contemporanei, sono senza dubbio quei sonetti che scambiò con Forese Donati, marito della mal fatata moglie. Grazie ad Isidoro Del Lungo, il solo che in Italia possa compiere il miracolo di scrivere la Vita di Dante, tanto ha ricercati i documenti del secolo del Poeta, sappiamo che Bicci, cosí risulta dai registri di santa Reparata, morí il 18 di luglio 1296, quando, cioè, l'Alighieri aveva trent' un anno. Ma, senza alcun dubbio, la invereconda tenzone deve essere stata scritta prima di quell'anno quando, preci

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'Cfr. G. BERTACCHI. Le rime di Dante da Maiano, Milano 1896. Sulla corrispondenza tra Dante e il Maianese, vedi quanto è detto nell'Appendice di questo nostro scritto, dolenti di avere dovuto giudicare sfavorevolmente il libro d'un giovane, che avremmo desiderato riuscisse benissimo.

' CARDUCCI, Delle rime di Dante, p. 36-37 della cit. ediz. BARTOLI, Storia, IV, pp. 306-308. 'F. D'OVIDIO: La rimenata di Guido, in Nuova Antologia; I. DEL LUNGO, La tenzone di Dante con Forese Donati; in: Dante nei tempi di Dante, Bologna, 1888, p. 437 e segg.; E. SUCHIER, Über die « Tenzone » Dante's mit Forese Donati, in Miscell. di filol. class. e ling. in memoria di N. Caix e U. A. Canello, Firenze, 1886; e il mio articolo: La rimenata di Guido, inserito nel Fanfulla della domenica, 1898, n. 6, a. XX.

Citato dal prof. A. SOLERTI nel suo scritto: Per la data della Visione dantesca, in Giornale dantesco, VI, pag. 289, ma nel citato studio su la Tenzone di Dante, a p. 458, il DEL LUNGO ha la data 28 luglio 1296.

samente, non sappiamo: forse nel '92, o in quel torno di tempo in cui il giovane poeta seguiva le false immagini di bene. Non vogliamo indovinare, anche perché i dotti della critica storica non abbiano la soddisfazione di riderci dietro, né, del resto, tentiamo la cronologia, ma la distribuzione del canzoniere dantesco; d'una cosa possiamo esser certi che i sonetti: Chi udisse tossir la mal fatata; e: Bicci, novel figliuol di non so cui, sono anteriori al '96.

Posteriore al serventese in lode delle sessanta più belle donne fiorentine e del medesimo tempo del sonetto del Cavalcanti: Se vedi Amore assai ti prego, o Dante, è quello Guido, vorrei che tu e Lapo ed io, uno dei più belli del Canzoniere. Per dirlo posteriore al serventese, basta la considerazione che v'è ricordata quella che è sul numero del trenta; ma per attribuirlo alla prima gioventú del Poeta, è sufficiente indizio il sogno splendido, idealistico, squisitamente affettuoso, che riproduce, al confronto del quale come scolorisce il desiderio voluttuoso di Lapo Gianni di possedere la sua donna e con lei, l'Arno, balsamo fino e le rughe di Firenze innargentate!' Questa poesia scritta, supporrei, prima del sonetto a Bicci novel, prima, cioè, che il Poeta si desse alla compagnía dei traviati, io ascriverei agli anni 1285-88, anche perché il sogno è la riproduzione non di fantasmi indistintamente vagheggiati, ma di affetti intimamente e sensitivamente provati: rispetto all'arte, non saprei confrontarla se non con quella sestina del Petrarca in cui ed è forse l'unica volta desidera ardentemente la sua donna, da quando parte il sole E non lo vedesse altri che le stelle, Solo una notte e mai non fosse l'alba !

In Rime di Lapo Gianni.... a cura di E. LAMMA, Imola, 1895, p. 62-63, sonetto Amore eo chero mia donna 'n domino. Cfr. anche: S. MORPURGO, Vecchio ideale, frottola e sonetto del secolo XIV. (Nozze Vannini-Tolomei, Firenze, 1894).

* Su di essa è utile consultare lo scritto di M. BARBI, Un sonetto e una ballata d'amore dal « Canzoniere » di Dante, Firenze, Landi, 1897. L'egregio autore sostiene la variante: E monna Vanna e monna Lagia poi, contro la volgata che legge: E monna Bice e monna Vanna, giungendo alla conclusione che la donna di Dante fosse quella che è sul numero del trenta « quivi posta dal suo amatore, dimentico di Beatrice, al centro delle altre, forse perché esse le facciano corona, come a loro regina »; supponendo anche quella fosse allusiva alla Donna gentile. L'argomentazione del BARBI è dotta ed ingegnosissima, pure confessiamo che non ci convince interamente. Non è improbabile che presto ritorniamo sull'argomento; ma intanto notiamo che per tre sonetti di Dante, e cioè: Guido vorrei.... I' mi sentii svegliar.... e Per quella via.... i codici ne danno varianti degne di studio, ed è pure curioso notare che tutte si riferiscono a donne amate o credute amanti dei nostri antichi poeti.

Ed anche perché, aggiungo qui in nota, non può essere molto posteriore al serventese, che è da iscrivere tra le rime composte dal Poeta non oltre al 1287. È vero che il RENIER nella recensione alla Vita nuova del D'ANCONA, (Giorn. stor. della Lett. ital., 11, 366-395,) dubita che Dante non l'abbia mai scritto, ma noi questa patente di menzogna non sapremmo darla ad un uomo come l'Alighieri e in nome d'una critica storica. Perché Dante avrebbe mentito? E componendo quel serventese non seguiva un genere usatissimo nel Due e nel Trecento? Saranno falsificazioni anche gli altri esempi che ci rimangono, ricordati dal D'ANCONA, nel commento del cap. VI della sua Vita nuova? E se le altre donne ricordate in esso erano reali, solo Beatrice sarà stata una idealità?

Giornale dantesco, VII (N. s., vol. IV) quad. III.

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