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Importantissimi, tra le rime missive o responsive dell'Alighieri, sono i sonetti che indirizzò a messer Cino da Pistoia. Il quale nacque intorno al 1270, ma visse oltre il 1321, anno della morte di Dante; onde a me pare, anche e anzi specialmente pel contenuto di essi, si debbano credere scritti dopo il 300. Dante, al sonetto col quale Cino gli chiede se l'uomo può passare d'uno in altro amore, quando senta il primo venir meno, dopo aver confessato d'essere stato con Amore insieme Dalla circulazion del sol sua nona, e che Libero arbitrio giammai non fu franco, conclude:

Ben può con nuovi spron punger lo fianco,

e qual che sia il piacer ch'ora n'adestra
seguitar si convien se l'altro è stanco.

E questo sonetto ci dimostra piú cose: 1° che Dante confessa avere avuti altri amori dopo quello della gentilissima, e perciò è un errore credere vero questo, ma tutto ideale l'altro amore cominciato dalla circulazion del sol sua nona; 2° che questo sonetto deve essere stato scritto quando l'amore di Beatrice restava solo in lui in istato di ricordo, anzi il primo amore era stanco. ^

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Ed è curioso notare come i sonetti scambiati tra Cino e l'Alighieri trattino d'amore, e che il nostro, pure ammettendo si possa passare da uno ad un altro amore se il primo è stanco, rimproveri poi dolcemente l'amico, che si lascia pigliare ad ogni uncino, e forse in un'età nella quale si poteva supporre si fosse già partito dalle solite rime, avesse, cioè, abbandonato Le vaghe rime e'l dolce dir d'amore. Il rimprovero di Dante è splendido :

Chi s'innamora, siccome voi fate,

e ad ogni piacer si lega e scioglie

mostra che Amor leggermente il saetti. Se il vostro cuor si spiega in tante voglie, per Dio, vi prego che voi 'l correggiate, si che s'accordi i fatti a' dolci detti.

Se l'epistola dantesca (IV nella edizione del FRATICELLI), exulanti pistoriensi fosse certamente diretta a Cino da Pistoia, non dubiteremmo identificare questo sonetto col sermo Calliopeus che v'è ricordato, anziché, come credeva il WITTE, colla canzone: Voi che intendendo il terzo ciel movete. Infatti Dante dice cosi : « Redditur, ecce, sermo Calliopeus inferius, quo sententialiter canitur, quamquam transumptime more poetico signetur, intentum amorem hujus posse torpescere atque denique interire, nec non quod corruptio unius generatio sit alterius in anima reformati ». Il senso di questo periodo, se non chiarissimo, mi pare a sufficienza chiaro: l'intenso amore d'un oggetto può affievolire e alla fine venir meno.... e il venir meno dell'uno è fonte d'un altro [affetto] nascente nell'animo. Ed è proprio quello che dice Dante nelle due volte del sonetto: Io sono stato con Amore insieme. Che la canzone: Voi che, intendendo, il terzo ciel movete, contenga lo sviluppo dell'idea espressa nell'epistola Exulanti pistoriensi, non mi pare. In essa il Poeta ricorda, è vero, un soave pensier che mette in fuga il pensiero d'una donna che gloriar vedea a pie' del sire del cielo, ma tutto il secondo trattato

Ma quando rispondeva al sonetto: Dante, i'non odo in quale albergo suoni, il Poeta già batteva la via dell'esiglio:

Null'altra cosa appo voi m'accagioni

dello lungo e noioso tacer mio,

se non il loco, ov' io son, ch'è si rio

che il ben non trova chi albergo gli doni.

E pure servendo all'Amore, come messer Cino, nel luogo dove egli era, confessava che: Donna non c'è, ch'Amor le venga al vólto Né uomo ancora che per lui sospiri; E chi 'l facesse saría detto stolto.

Alle rime missive del Poeta aggiungiamo pure il sonetto: Degno vi fa trovar ogni tesoro, che il Fraticelli credeva non potesse essere di Dante, per una ragione un po' allegra: «Siccome pel contesto del sonetto di Cino, in cui questo poeta dice essersi invaghito della marchesa Malaspina, è improbabile che il sonetto potesse venire inviato allo sposo della donna amata; e siccome nell'edizione del Pilli apparisce diretto a Lemmo da Pistoia, cosí è da dirsi erronea ed infondata la notizia contenuta nel codice Redi », che a Dante attribuisce il sonetto: Degno farai trovar, ecc.

Questi argomenti del buon Fraticelli mi pare valgano pochino. È vero che nella rara edizione delle rime ciniane procurata dal Pilli, a c. 44 r, il sonetto: Cercando di trovar lumera in oro è diretto a Lemmo da Pistoia; è vero che nel verso terzo legge: M'ha punto il cor Marchesa Malaspina, ma il cod. Casanat. d. V. 5, che contiene entrambi i sonetti, legge marchese, non marchesa Malaspina, ed in tutto il sonetto non v'è accenno che potesse far ingelosire il Malaspina, anche se il sonetto fosse diretto alla sua donna. Che il sonetto sia di Dante, parmi accertato dal fatto che è contenuto in piú codici di famiglie diverse, quali sono il Laur. Red. 184; il Ricc. 1103; il Vat. 4823; il Bol. Univ. 1289, il Casanat. citato, e un codice che fu del Galvani. Il sonetto non è certo gran cosa e non è molto chiaro, ma si può interpretare, almeno mi sembra, cosí - Cino, che fu esule dalla patria dopo il 1305, si trovò in Lunigiana presso i Malaspina, e dovette cercare l'amicizia della nobile famiglia, che Dante elogiò nel canto VIII del Purgatorio. Nessuna maraviglia che Cino cercasse la protezione di questa Casa, che non si spregiò mai Del pregio della borsa e della spada e che cercando di trovar lumera in oro, fosse maravigliato del

del Convito, che serve a dichiarare questa canzone, dimostra che il Poeta vuole alludere ad un amore filosofico, Conv., 11, cap. VIII-IX. Sarebbe, d'altra parte, curioso che alla domanda di Cino, Dante rispondesse nei due modi diversi espressi nel sonetto e nella canzone, e del resto Cino, che si lasciava pigliare ad ogni uncino d'amore, chiedeva al Poeta se, finito un amore reale, si potesse passare ad un altro: le sentenze del sonetto e della canzone sono troppo fra di loro contraddittorie.

‹ L. CHIAPPELLI, Vita ed opere giuridiche di Cino da Pistoia, con molti documenti inediti. Pistoia, 1881, pagg. 49 e segg.

savere e della gentilezza del marchese Malespina. È chiaro il sonetto di Cino? Certo non troppo ma se lo consideriamo come diretto non al Malaspina, ma a Dante, cosí come reca il Casan., d. v. 5, il sonetto che questi risponde si comprende abbastanza bene:

Degno vi fa trovar ogni tesoro

la vostra voce si dolce latina,

ma 'l svolgibile cor ve ne svicina,

dove stecco d'amor non fe' mai fóro.

Cosí: La vostra dolce loquela vi fa rintracciare ogni tesoro, ma da esso vi allontana il volubile cuore, dove nessun amore poté mai imprimere un forte solco.

È la risposta ai versi:

Ma più per quello ch'io non trovo ploro....

lasso! cotal pianeta mi destina

che là ove perdo volontier dimoro;

ma c'è anche la sferzata a chi si lasciava pigliare ad ogni uncino; c'è un'allusione a un altro rimprovero mosso a Cino dal Poeta :

Chi s'innamora, siccome voi fate,

e ad ogni piacer si lega e scioglie,

mostra ch'Amor leggermente il saetti.

Ma nella seconda quartina del sonetto c' è tutto Dante :

Io ch' ò trafitto il cor per ogni poro

d'un pruno che 'n sospir si medicina,
pur trovo alla lumera che s'affina

quella vertú perché mi discoloro.

La lumera è la fama della casa Malaspina, che grida i signori e grida la contrada ; il pruno che trafisse il cuore e che si medicina coi sospiri, è il desiderio della patria lontana, un po' quetato dalla buona ospitalità di quella casa chè

Uso e natura si la privilegia,

che, perché il capo reo lo mondo torca,

sola va dritta e il mal cammin dispregia.

Quando Cino e Dante si saranno incontrati in Valdimagra? Certo nel 1307, quando il Poeta già vi si trovava e aveva condotto a termine la sua missione di stabilire la pace tra Moroello Malaspina e il Vescovo di Luni (6 ottobre 1306). Cino in quell'anno già batteva la via dell'esiglio. Nel 1307 Dante doveva essere certamente in Lunigiana, perché nei versi 133-135 del canto VIII del Purgatorio è detto che circa dopo sette anni dalla visione doveva avere la conferma della cortese opinione sulla

ospitalità dei Malaspina, e questo è un altro argomento, e forte, contro la tesi sostenuta dal prof. Angelitti.'

Altre rime che dimostrino Dante in corrispondenza coi contemporanei, noi non conosciamo, giacché persistiamo a credere non provata la corrispondenza con Giovanni Quirini, non ostante gli indizî che il Morpurgo ha recentemente messi in luce a maggior sostegno della sua tesi. Il prof. Barbi ha ragione, quando scrive che «< il Canzoniere di Dante s'assottiglierebbe assai, se si dovessero escludere tutte le poesíe, la cui autenticità è fondata sopra una sola testimonianza»; ma noi vogliamo soltanto che le testimonianze abbiano un valore indiscutibile, ciò che non hanno quelle che ci attestano in corrispondenza con Dante il poco noto rimatore veneziano.

ERNESTO LAMMA.

(Continua).

A PROPOSITO DI DIVINAZIONI DANTESCHE

Arturo Farinelli trattando nell' ultimo fascicolo del Giornale storico della Letteratura italiana (XXXIII, 108) dell'opera di K. Borinski Ueber poetische Vision und Imagination, etc. (Halle, 1897) accenna all'opinione di alcuni, quali il Borinski stesso, il Witte ed altri, secondo i quali Dante avrebbe precorso il Newton scoprendo e dimostrando la legge di gravitazione, la forza centripeta dell' universo.

Sono indagini, in verità, che non offrono un grande e sostanziale vantaggio allo studio ed alla spiegazione della visione dantesca. Ma, poiché giova pur riconoscere che l'indugiarsi intorno ad esse con senno e discrezione, può portar anche qualche non ispregevole tributo allo studio della fortuna di Dante, abbiamo voluto coglier l'occasione di quell'accenno del Farinelli per ricordare in proposito qualche notizia

meno vaga.

La pretesa divinazione della teorica newtoniana è, com'è noto, racchiusa in quei

F. ANGELITTI, Sulla data del viaggio dantesco desunta dai dati cronologici e confermata dalle osservazioni astronomiche riportate nella « Commedia ». Vedi anche A. SOLERTI, Per la data della visione dantesca, in Giorn. dant. citato; ma sull'argomento, senza dubbio contrario alla tesi dell'ANGELITTI, il SOLERTI insiste meno di quanto, credo, meriterebbe.

' Vedi su questo proposito l'Appendice a questo nostro studietto.

versi del Paradiso -o, direm meglio, nell'ultimo di quei versi in cui il Poeta accenna all'ordine delle gerarchie angeliche:

Questi ordini di su tutti rimirano,

e di giú vincon sí che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
(XXVIII, 127-9).

E già lo Scartazzini (Comm. lips. III, 770) aveva notato diciassette anni fa che il Cancellieri racconta aver il Tagliazucchi provato in una dissertazione che Dante ha chiaramente espresso in quei versi il sistema newtoniano dell'attrazione. E aveva soggiunto: << Non conosciamo la dissertazione del Tagliazucchi. C'è però da dire: Qui nimis probat nihil probat ». E non aveva torto, in verità!

Ad ogni modo, non solo lo Scartazzini non conobbe quella dissertazione del Tagliazucchi, ma il Cancellieri, che per primo ne ha accennato nell'opera sua, non dice precisamente a quale dissertazione egli alluda. A darci però questa notizia aveva pensato, fin dalla metà del secolo scorso, uno scolaro del Tagliazucchi: Giuseppe Baretti.

Il Baretti infatti in quel suo opuscolo, divenuto ormai rarissimo, A Dissertation upon the Italian Poetry, in which are interspersed some Remarks on Mr. Voltaire's Essay on the Epic Poets (London, R. Dodsley, 1753), nel quale, sorgendo a difensore delle patrie lettere contro gli assalti del Voltaire e degli altri critici francesi, faceva l'apología dei migliori nostri poeti e di Dante in ispecial modo' - non era ancor sorta allora la Frusta e Aristarco non s'era ancor fatto flagellatore dei dantofili toscani ! dopo aver dettato le più ampie lodi dell'Alighieri e aver dimostrato, col ricordo delle quattro stelle del Purgatorio,

Non viste mai fuor ch'alla prima gente,

la divinazione un'altra delle divinazioni dantesche ! della Croce del Sud (pagg. 53

Osservazioni intorno alla questione promossa dal Vannozzi, dal Mazzocchi, dal Bottari e specialmente dal p. Abate d. Giuseppe Giustino di Costanzo sopra l'originalità della « Divina Commedia » di Dante appoggiata alla storia della Visione del Monaco casinese Alberico, ora per la prima volta pubblicata e tradotta dal latino in italiano da FRANCESCO CANCELLIERI. Roma, F. Bourliè, 1814; p. 42, nota 2.

'Ci sia lecito, a proposito di quest'opuscolo, citare le pagg. 212 e segg. di un nostro volume d'imminente pubblicazione: Ricerche e studi intorno a Giuseppe Baretti (Livorno, Giusti, 1899).

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