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verar a Giacomo la perdita della città, troppo breve tempo posseduta, piú cocente rendeva il rimprovero lodando sul serio, come si meritava, Raimondo, che l'aveva ripresa.<< Belle Nannerl, l' ironie n'est point une bière », che si possa mescere in qualunque recipiente. Col trattato di Parigi del 1229 il re di Francia lasciò al conte di Tolosa la viscontea di Millau, su la quale vantava diritti Giacomo I d'Aragona, e promise di aiutarlo se mai qualcuno avesse tentato di togliergliela. Giacomo lasciò correre e ne fu biasimato da molti, de' quali espressero il severo giudizio il figlio di Bertran de Born, o chiunque sia stato l'autore della poesia Un sirventes farai novelh plazen,' e, parecchi anni dopo, Sordello, nel pianto per la morte di Blacas. Qui Sordello assicura ecco dove sta l'ironía: << vero è che il re non ne fu vilipeso né biasimato né conchiuse tregua, né giurò pace ». Ma, premesse calde parole su l'ignominia di chi si lascia far vergogna e spossessare senza alzar la voce, senza opporsi all'istante, invita il re alla riconquista : « E se il nostro re d'Aragona intende il mio linguaggio, me ne rallegro, perché bene si ricupera Millau, se ricuperata con valore ». Questa traduzione differisce da quella del De Lollis e da quella, che io stesso tentai altra volta, perché ora, accostandomi assai piú che egli non avesse fatto alla lezione del codice, correggo il passo come andava corretto :

car gient es Amilhautę cobratz,

ce es ab vasalagie. '

Tutto il serventese è ironico, tutto; su le parole, con cui esposi quest'opinione le ho ripetute or ora non può cader dubbio; nondimeno, il De Lollis, sicuro che nessuno sarebbe andato a rileggerle, senza batter palpebra stampa che secondo me << Sordello parla ironicamente anche quando, anzi unicamente quando accenna alle rendite del porto di Marsiglia riconquistate da Raimondo Berlinghieri ». Contento di avermi fatto un cosí bel tiro, prosegue animoso: « qui Sordello parla sul serio, e Raimondo Berlinghieri entra fra i diseredati sol perché per un momento rinunziò di fatto alle rendite l'altro anno quando ebbe luogo il passaggio, ecc. ». Che gonfiatore quel Sordello! Sol perché il «< Sordello Sol perché il « suo signore » rinunziò, ma per un momento, alle rendite, te lo mette in mazzo col re Giacomo e col conte di Tolosa, cui

Un sirventes farai novelh, plazen

ancmais non fis; no m'en tenra paors
q'ieu non digua so qu'aug dir entre nos
del nostre rey que pert tan malamen

lai a Melhau, on solia tener,

qu'el coms li tolh ses dreg et a gran tort,

e Marcelha li tolh a gran soan,

e Montpeslier li cuget tolre antan.

MAHN, D. W. d. T., I, p. 305. MILÁ, De los Trov. en Esp., p. 169. Dall'ultimo verso il De Lollis riesce a tirar fuori : « Raimondo VII dunque riprese Millau per lo meno un anno dopo ch'ebbe tentato d' impadronirsi di Montpellier ».... perché Montpellier « gli fu concessa in feudo dal vescovo di Maguelonne alla fin d'agosto 1238 ». Ma la concessione presuppone forse il tentativo di averla per inganno o per forza?

2

Il codice: e e es ac; il De Lollis, come s'è veduto: Qu'el ac [ab].

ben altre e non volontarie rinunzie poteva rinfacciare; la rinunzia di un momento arriva a chiamar disonore :

car lur nembri lo desonor

que lur fai malvastaç sufrir

de tutę treis n'aurai desamor....

Quanta esagerazione, non è vero? Sennonché, al confronto con l'originale:

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riesce troppo succinta e rapida la traduzione del De Lollis : « Piacemi di vedere che il conte mio signore riscuote con onore la rendita di Marsiglia; ma la fece tenere al conte (di Tolosa) l'altro anno quando ebbe luogo il gran passaggio di tutto il Tolosano.... Però, lievemente si riparerà il danno, poiché il conte di Tolosa è in disgrazia della Chiesa ». Quei puntini lassú mi hanno aria sospetta. Come rende in italiano: per que n'es seçatz? A proposito: perché non chiarí questo breve passo nel « libro »? Seçatz è « forma » ignota ai vocabolari e alle grammatiche provenzali almeno, a quelli che io posso consultare: che si debba, invece, leggere: ses atz ? È permesso tradurre : << per la qual cosa (per avergli lasciato l'altro conte tenere le rendite del porto di Marsiglia) egli (il conte di Tolosa) è senza bisogni », non è piú in angustie ? O abbiamo a fare col participio del verbo cessar, sessar, in italiano cessare, familiare ai nostri antichi nel senso di allontanare? Raimondo Berengario avrebbe per un momento rinunziato alle rendite, perché quell'altro Raimondo si allontanasse, se ne andasse al diavolo, con tutti i suoi Tolosani.

Or, dunque, se, mentre Sordello scriveva (1238), il conte di Tolosa continuava a riscuotere << la rendita di Marsiglia », cosa ci viene a raccontare il De Lollis di rinunzie momentanee nel 1230? Passati otto anni, parlerebbe ancora Sordello del riparo al danno come di cosa «lieve » di là da venire?

L'ira è cattiva consigliera: adirato, il De Lollis,

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' Correzione dello Jeanroy. Il De Lollis accrebbe il v. d'una sillaba: de tut Tolsan.

Rilevai da un istrumento che il 24 febbraio 1239 il conte di Tolosa disponeva come di cosa sua delle rendite del porto di Marsiglia; che, per conseguenza, Sordello nel 1238 non si sarebbe potuto congratulare sul serio di saperle tornate all'erario del conte di Provenza. Per confutarmi, prima ha la bella trovata della rinunzia di fatto e per un momento la rinunzia della volpe, che non arrivava all'uva poi mi insegna: « dal 1230 al 1243, quando i due conti si pacificarono definitivamente, l'uno e l'altro vantavano, in rivalità, diritti a quelle rendite ». Di fatto prenunziava diritti comincio a scorgere dove andremo a cascare. Ma il fatto vero fu che il conte di Tolosa, se non sempre puntualmente e interamente, le riscosse per mezzo d'un suo vicario fino al 1249, dum vixit; testimone G. di Puy Laurens, che citai a suo luogo. Infine, si figura di accecarmi mettendomi sotto gli occhi lo splendore improvviso d'una prova lampante: « E di diritti parla l'annotatore dell'Histoire générale de Languedoc, laddove allude a quel documento: Acte du 24 février 1239, par lequel Raymond VII se reconnaît débiteur envers Jean d'Orlhac.... de huit cent trente livres de Melgueil, pour solde de tout comte; il hypothèque pour leur payement par annuité de cent cinquante livres ses droits à Marseille ». Vedo, vedo! Il De Lollis oh filología romanza! che i diritti, ses droits, sono le entrate stesse, le revenu, i danari, scudi, lire, soldi che si incassano per gabelle, per dazi, per imposte. E proprio qui mi apostrofa, l'improvvido: « Ah cosí dunque Ella legge i documenti ?

non sa

Nella nota al verso:

puois a l'egleiça s'es iratz'

si fece questa domanda: « S'ha da intendere che Raimondo VII è nuovamente scomunicato? Che noi sappiamo, egli lo fu, dopo il trattato di Parigi, la prima volta nel 1235, la seconda nel 1236 ». Ammesso che di scomunica parli il poeta, io, che ritengo composto il serventese molto prima del 1238, osservo: nel 1232 Raimondo transivit Rodanum et castrum Tarasconis intravit, segetes combussit, villas et castra, quantum potuit, devastavit, e perciò fu scomunicato dal vicario del legato pontifi

Il De Lollis trova nell' « atto testuale »: « si vero inde non possis accipere in pace dictas CL. lib. Melg. singulis annis.... » e « De quibus siquidem redditibus suprascriptis, te vel procuratorem tuum, statim cum Massiliam intraverimus, in possessionem mittemus vel mitti faciemus », e proclama : « sapeva bene, dunque, il cattivo pagatore, e sapeva che lo sapevan altri, ch'eran quattrini sui quali si poteva si e no contare ». Povero Raimondo! Cattivo pagatore lui, che promette sotto condizione, anzi, delicato fino allo scrupolo, prevede e dichiara che ostacoli potranno nascere? Ma tutto ciò prova forse che egli non avesse facoltà di tirar cambiali su i redditi del porto? Se questa facoltà voleva negare il De Lollis, doveva recare una cambiale tratta su quelle medesime entrate dal conte di Provenza, alla stessa data. Male ha voluto fermasi alla frase statim cum Massiliam intraverimus, quasi intendendo: Badate; in Marsiglia egli contava qualche cosa in diritto, non in fatto. Raimondo contrasse il debito lontano da Marsiglia, a Saint Gilles.

' II De Lollis mi riprende perché scrissi irats e pecats. « Iratç » sta « meglio ». Provveda, dunque, a correggere clamas nel v. 29:

Li coms qi gia fon ducs clamas,

in rima con conortate e con comtate.

cio.

Bah! << Una scomunica episcopale! » Non contava nulla? Ebbene, le altre due contavano altrettanto. La prima, del 1235, fu pronunziata dai commissari del papa per piccole questioni sorte tra Raimondo e il priore del Mas d'Agenois; la seconda, del 1236, fu lanciata dall'arcivescovo di Vienne, legato del papa. Non furono scomuniche papali dal Vaticano o dal Laterano. Ma, ammesso si tratti di scomunica, posto che Raimondo fu effettivamente scomunicato nel 1232 per aver invaso e devastato le terre alla sinistra del Rodano, era una bestialità grossa supporre che a questa invasione e devastazione più recente avesse accennato Sordello con le parole: « l'autr'an al gran pasagie Dels Tolsas? » Supporre; non omisi di avvertire : « se non prendo lucciole per lanterne », ed egli alla mia riserva ha sostituito.... puntini. Non per me solo « l'autr'an » perché scrive ora autran? può significar << l'anno scorso »; anche lo Schultz, prendendo << alla lettera la locuzione, « poiché l'Histoire générale de Languedoc pone sotto il 7 novembre 1230 la donazione delle rendite fatta dai Marsigliesi a Raimondo VII, ne conclude che il sirventese è dunque del 1231 o al piú del 1232 ». Ma il critico tedesco non aveva tenuto conto dell'allusione alla scomunica, e il De Lollis non seppe che il conte di Tolosa era stato scomunicato nel 1232. Che se, davvero, il gran passaggio fu quello del 1230, ne sono lietissimo, perché cresce l'ironía dell'es ses atzo sessatz e del viu onratsę nella terza strofe, dato e non concesso che fu composta piú di otto anni dopo, passata l'estate del 1238.

A ogni modo, il De Lollis chiarissimamente e risolutissimamente sostiene: << Raimondo Berlinghieri entra fra i diseredati sol perché per un momento rinunziò di fatto alle rendite l'altro anno, quando ebbe luogo il passaggio, ecc. », nel 1230. Sta bene; e mi dica un po': quando fu composto il pianto in morte di Blacas? Piuttosto dopo la battaglia di Cortenuova che prima. Benissimo si compiaccia, dunque, di spiegarmi perché nel pianto, posteriore al novembre del 1237, Sordello si permise di divulgare che il conte di Provenza continuava ad essere un diseredato :

c'oms que deseretatz viu, guaire non val re,

se questi, solo per un momento, circa otto anni prima, nel 1230, aveva ceduto le rendite e, passato quel momento, le aveva « riconquistate ».

XV.

Il buon conte Raimondo di Tolosa disse un bel motto: « E quando odo ciò, che non ho udito, ed io penso ciò, che non ho pensato ». Queste deboli e strane difese mi han fatto venir la voglia, che altra volta non ebbi, di esaminare in qual modo il De Lollis avesse ricostituito nel testo e interpretato un altro serventese politico di

Vita, ecc., pp. 35-36 n.

Giornale dantesco, VII (N. s., vol. IV) quad. I-II.

2

Sordello, il terzo. Mettendo le mani avanti, lo annunziò « il piú oscuro » ; nondimeno, a lui

risultò certo che il componimento fu ispirato da un momento in cui era massima l'eccitazione dei baroni contro Raimondo Berlinghieri di Provenza per le angherie fiscali alle quali egli li sottometteva e nell'ultima stanza come il piú malcontento è ricordato Blacas: ora, è giunta notizia a noi di una convenzione alla quale Raimondo per téma di una rivolta addivenne il 7 ottobre 1235 coí baroni stessi; e primo fra questi figura appunto Blacas.

Della convenzione o, meglio, d'uno degli autori, che ne discorsero son piú di trecento anni, toccò primo, non una volta sola, lo Schultz-Gora; il novissimo veridico biografo non sentí il dovere di nominarlo. Andiamo avanti! Nell'ultima stanza il trovatore riferisce un'opinione di Blacas; ma non dice, né dall'opinione, com'è esposta, si cava che il prode cavaliere fosse << il piú malcontento ». Nella prima si legge :

qel baron, si sont espres,
entr'els an conprat fonda,

e il De Lollis volle prendere fonda nel senso di fondaco, magazzino, e simili: «e s' ha da intendere, sempre però in senso figurato, che i baroni hanno acquistato in comune un locale riposto per accogliervi le rendas e i ses del v. 15, che val quanto dire per accentrarvi le loro forze». Limpida figura, non è vero? Ma perché un locale riposto ?... Non v'è alcuna relazione tra il verso 4 e il verso 15: le rendas e i ses non sono piú nelle mani o ne' locali de' baroni, bensí ne' forzieri del conte. Bisogna cercar altra spiegazione, e, forse, di nuovo ricorrere alla bontà inesauribile dello Chabaneau. Sempre nella prima stanza, all'apostrofe :

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En Raimon

menbreus d'en Peire Bremon!

appiccò una nota lunga lunga, folta di citazioni, per narrare qualmente Pietro Bermond d'Anduse morisse e fosse sepolto venti anni prima, nel 1215. To'! Non era un transfuga dalla corte di Provenza, un traditore, a giudizio di Sordello, il cavaliere e poeta di Vienne En Peire Bremon Ricas Novas? Al poeta rimproverò altra volta Sordello di aver lasciato « son seignor e sa fe »; e quegli sentí il bisogno di giustificarsi :

ni mos seigner nom cuich que men reprenda,

que conseil n'ac de lui anz sai vengues.

Zeitschrift cit., IX, p. 119 n. 2 e p. 133 n. 3.

1 Funda per fundacum (dogana) leggo in un doc. pisano del 1189 (V. Arch. stor. ital., VI, p. II, p. 101). Il fundacum era aperto, mantenuto, vigilato dal Sovrano (Cfr. Winkelmann, Acta Imp. Sel., I, 790) al quale i mercanti pagavano una tassa (ius fundaci, fundicagium). Giacché i baroni s'eran procurato un fondaco proprio (e non c'è ragione di non ammettere il senso letterale), vuol dire miravano a riscuoter essi la tassa?

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