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Ma il De Lollis, avendo già prestabilita la data da assegnare alla contesa del Viennese col Mantovano, non poteva accorgersi di un insulto lanciato dal secondo al primo intorno al 1235 ». Nella seconda stanza, il passo:

En coms, aitant hay apres :

qe tals es en Gironda,

el mieilh de vostre paes,

qi vostra cort rebronda,

gli dette molto da fare; ma con tutto l'aiuto dello Chabaneau, egli non valse a sciogliere il nodo. Gironda sarà la città di Girona; il guaio è che la Catalogna è parecchio distante dalla Provenza propriamente detta. Considerare el mieilh apposizione di tals giova poco Chi sarà quel tale tals, se è vietato di pensare a Giacomo I re d'Aragona? Uhm! Uhm ! È corretta la forma el mieilh, senza s, per el mieilhs, il meglio ? Sarebbe impossibile che l'amanuense dell'unico codice, in cui si legge il serventese, avesse scritto mieilh invece di miegh, mezzo? El continua tuttora, come una volta, a risolversi in en lo? Sarebbe l'ultima delle umane sciocchezze sciogliere quel supposto nome di città, che non dà senso, in due parole distinte, per esempio: gir' onda o gir onda? E, col dovuto rispetto, a rebronda da rebrondar, « non registrato dai lessici », sostituire rebonda, ai lessici non ignoto; a rebron derivato, a quanto pare, dall' introvabile rebrondar, rebon da reboner? Per tal via si riescirebbe a spiegare : « Signor conte, questo ho saputo, che tale acqua s'aggira nel mezzo del vostro paese, da travolgere la vostra corte se Dio non vi soccorre, ciascuno ha fatto proponimento di seppellirvi giú al fondo, con i loro tributi e i loro censi ». No? Sia per non detto. Ciascuno ha fatto proponimento; vero è che

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Il De Lollis muta bouc in bauc, poi comanda : « traduci sciocchi », perché < attendono » l'aurion << specie di aquila, uccello di rapina ». Andiamo adagio! Non tanto sciocchi: non si fermano un minuto, se la battono senz'aspettare l'uccello maraviglioso e terribile. Perciò potrebbe restare boc (francese boucs): sono caproni timorosi dell'aurion « dalle ali taglienti ». Né mi par buona la lezione atendon, << attendono ». Egli suppose una relazione, che non esiste, tra il verso 4 e il verso 15; ma, nonostante avesse innanzi un passo eloquentissimo di G. Faidit,' non

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Nonostante l'asserzione del Faidit, nel Girart de Rossillon l'aurion appare adoperato alla

vide che la fine della seconda strofe si ricongiunge con l'antipenultimo verso della prima, << per piez pujar contramon». Il senso vorrebbe n'atenhon, « non raggiungono », « non riescono a prendere ». Ammaestra Elia Cairel:

non a sen

qui vol ateigner

lai on non pot consegre.

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-

Consentita la sostituzione di bauc a bouc, leggi e stampa bauç e ti troverai davanti un sarcasmo pungentissimo sotto maschera di bisticcio vero bisticcio, questo -; perocché bautz significa ardito, fiero, baldo, ma di quelli, che non aspettano o non raggiungono l'« aurion », sarebbe detto per ironía e Baus, Bautz, Baux, era il castello, onde si denominò la grande e potente famiglia dei visconti di Marsiglia, dei principi di Orange, che, fedele a Raimondo VII di Tolosa, dopo il 1230 molto filo dette da torcere a Raimondo Berengario di Provenza. La stanza quarta allude appunto a un Del Balzo. Oh belle monachine « Ughetta de Baus e sua sorella Amilheta », allietanti de' vostri fuggitivi occhi ridenti le interminabili note del « libro » ! Terza stanza :

Se çai ven....

qi fon seinher d'Argensa

coms, ben sai que seres duc
clamatz....

caccia. Il De Lollis finisce col credere che aurion, come termine di blasone, stia nel serventese di Sordello « a contrassegnare il re di Francia ». Questi sí che son voli!

A dire il vero, io temo che lo Schultz e il De Lollis abbiano erroneamente preso per una delle due sorelle quell'Amilheta, a cui Blacasset (o Pojols?) domanda nella tornata:

Amilheta, on querrai mais guirenza,

pus Hughueta es en obediensa?

Oh, non era « en obediensa » anche la sorella di Hugueta? Dalla lezione di M rilevo che l'altra monaca si chiamava Stefania:

las! con nos han de totz bes laissatz blos,
bell'Ugeta, e na Tefani'e vos !

Peggio di peggio, « al pari dello Schultz » il De Lollis non riesce a trovare nel ricchissimo spoglio delle carte della casa di Baus, fatto dal Barthélemy, la bella Ughetta. Si capisce! Perché le hanno affibbiato tale cognome? Perché le hanno regalato tanto illustre parentela? Nelle poesie, o nelle due versioni della stessa poesia, conservate nei codici C ed M, il cognome di lei non s'incontra, non è, direbbe egli, mai fatto. Parla, ben è vero, la versione di C, di Ughetta e di sa seror, e parla la versione di M di Ugeta e sa donna, tutt'e due monacatesi: ci son poi (MAHN, Ged., 53) i versi, in cui Pojols appaia Ughetta e la dona del Baus nella facile predizione che entrambe saliranno su con gli angeli e porteranno corone splendenti e canteranno un piacevole versetto ecc. Ugeta e sa donna, Hugueta e la dona del Baus si resero a Dio insieme, contemporaneamente; ma, non erano sorelle, figliuole degli stessi genitori della casa di Baus, furono suore dello stesso monastero (Cfr. POJOLS, 1. c., st. 3: « mas a San Pos siervon gent las serors »). Insomma, una Ughetta, della quale ignoriamo il casato, si chiuse nel chiostro con una signora della famiglia Del Balzo, che si chiamava Stefania; ma Stefania è nominata appena dai poeti; tutte le lodi e tutt'i rimpianti sono per Ughetta, certo per la sua giovinezza e per le sue grazie. Vegga chi vuole ciò, che arriva a imaginare il De Lollis della monaca Ughetta « sposa o fidanzata » di Bertrand Blacas (Vita, p. 38).

Ducs, annota l'editore, è un uccello, « un uccello notturno », il « barbagianni ». Infelice Raimondo Berlinghieri! Che ti valse d'esser cortese, liberale, magnifico; che ti valse di avere sposato quattro tue figlie ad altrettanti re; che ti valse d'aver fatto il tuo Cavour, il tuo Bismarck, di quel Romeo, il quale di sé empí la leggenda ed empie tuttora le colonne dei commentatori della Divina Commedia; che ti valse che il divino poeta ti degnasse d'una menzione rispettosa? Tu, o infelicissimo, sarai chiamato barbagianni! Fortuna che un altro serventese di Sordello, il IV, ricordando di Raimondo di Tolosa : « li coms, qi gia fon ducs clamatz », ci apra l'adito a intendere; « Conte, se qui viene quegli che fu signore di Argensa », Raimondo di Tolosa appunto << ben so che, a parer mio, sarete chiamato duca, e che volerete a occhi chiusi dal Rodano a Vensa » ossia : sconfiggerete il vostro nemico, di conte diverrete duca, e vi godrete tranquillità perfetta nel vostro stato. Ma pare discorso ironico, la predizione favorevole invece del presentimento di sventura dal resto della stanza : « Ciascuno s'è messo in cuore di spennacchiarvi, sí che su la zucca ve ne resteranno bianche le beccate ». Dal Rodano a Vensa, non da Roma ad Argensa. Come c'entrava Roma? Argensa non è nominata poco piú su? Sordello, forse, rammentava in qual modo P. Vidal avesse segnato i confini della Provenza:

....

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3

om no sap tan dous repaire cum de Rozer tro qu'a Vensa, si cum clau mars e Durensa. '

In colui, della stanza quarta,

qi mal sembla del Bauz n'Uc,

il De Lollis fu sul punto di indovinare Barral; ma Ugo non aveva un altro figlio, Gilberto? E Gilberto non portò le armi contro Raimondo Berlinghieri poi che Ugo fu vinto? Io non sento « di tanto peso » il dubbio che « l'espressione mal sembla del Bauz n' Uc farebbe sospettare già avvenuta la morte di Ugo Del Balzo » non credo fosse vietato dire d'un figliuolo, vivendo ancora il padre, che mal somigliasse al pa

* Cfr. P. CARDENAL, Be volgra, v. 5 e nella st. 6: « de comte duc a renom »; A. De PeGULHAN, Amors a vos: « Vas Tolosa al comte palaizi Duc e marques ecc. »

Il De Lollis traduce: « si che sulla zucca si vedran biancheggiare le tracce degli strappi fattivi ». Si vede che ha consultato il Raynouard, il quale, tra i significati di pessugar, pone « déchirer ». Nel v. 25 col volares comincia la metafora, che continua col peluc e coi pezuc ha termine. Anche il v. 27, « cui qe n'uc », non bene tradotto dal De Lollis: « se ne lamenti pur chi vuole», aggiunge una pennellata al bozzetto: comunque si gridi, gli uccelli non si allontaneranno. Cfr. Ch. de l. Croisade, vv. 437-38:

cujols espaventar com fai auzel d'avena

can los crida els uca ecc.

Questa volta il De Lollis non ha seguito il consiglio dello Chabaneau, che « pensò a Vensa »>, ed ha fatto male.

Ab l'alen, st, 2.

dre. Del resto, era vissuto un Ugo del Balzo piú antico, poco fortunato, ma prode guerriero. Negli ultimi versi

qar soven

scorjatz la croz per l'argen,

non vedo come il De Lollis abbia rintracciato analogia con la maniera proverbiale << schiodar Cristo per un soldo », nel senso di « fare qualunque cosa per denaro »: l'autore, se non m'inganno, vuol rappresentare il conte cosí avido di danaro, da adoperare raspa, lima od altro arnese a tosar monete.'

a tanto

Un << componimento poetico », un serventese politico di Bertrando d'Alamano, dell'amico di Sordello, aiuta a diradare le oscurità di questo. Poi che il « libro » non ne fece menzione, lo riferirò intero. Voglio anch' io tentare, non la lezione critica non assurgo, e me ne dissuaderebbero i miserandi avanzi di recenti cadute, la trascrizione leggibile e intelligibile di una poesia provenzale. Un solo manoscritto ce l'ha tramandata, due sole volte fu stampata; perciò, e ne domando scusa, non mi potrò dare il lusso di numerose varianti.

Ms. H, 13 (c. 4 B-C) negli « Studi di Filologia Romanza», V, p. 362 e nell' « Archiv. f. d. Stud. d. Neueren Sprachen », XXXIV, pp. 392-93.

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'Mi ha messo per questa via un passo di P. CARDENAL, Tostemps azir:

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ua S

7 pruenzals SA 13 cugul de sonreritat SA
19 gomberz SA 21 li stec SA 22 de dos SA
24 clúc; descader SA
27 filios SA ·

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22 aperz SA 30 uoill S; noill A; uiraua A;

uira

31 fa durs S; fadurs A 32 ibamptans SA – 33 tasurs SA – 34 pruenza S; prouenza A · 37 garda cors A

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39 ac re S.

Serventese di sei coblas capcaudatas e di una tornada: ciascuna cobla è composta di 6 versi di 8 sillabe 8a 8b 8b 8a 8a 8b. Nel codice e nelle due stampe la cobla 4a sta prima della 3a. Un deribat port. Cit. dal RAYNOUARD, Lex. Rom., II, 92 e tradotto impropriamente « un port écarté ». Si deve intendere: « un porto senza riva », « non accessibile ». Il LEVY, Provenz. Supp.-Worterb., p. 108, reca tutta la strofe; ma non coglie il senso di questo passo.

"Carnals. Non può esser qui attributo di uomo dedito ai piaceri sensuali (Lex. Rom., II, 341: «hom carnals »). I vv. 7-11 sono citati dal LEVY, p. 144.

"El cuguls. Raimondo di Tolosa è, forse, chiamato cosi, perché, pel trattato di Parigi, la sua figliuola ed erede, predestinata moglie d'un de' figliuoli del re di Francia, dovette essere educata nella corte francese. « Vedrai di quegli (uccelli), che, conoscendosi male atti a covare le loro uova, ed a nutrire i loro figliuoli, se le fanno covare, ed allevare i loro figliuoli a un altro, come è il cucúlio ». GELLI, La Circe, VIII. — Q'es deseretat. Cfr. nello stesso Canz. H 9, il v. 38 del pianto di Sordello ; « c'oms q'es deserritatz » Qui la rima obbliga ad omettere la consonante finale, ossia, ad usare la forme du cas régime au lieu de celle du cas sujet ». (COULET, Le Troub. G. de Montanhagol, p. 124). Chi volesse leggere: « de sa eritat» si troverebbe poi impacciato a capire il verso seguente. Si potrebbe anche pensare a desapoderat. "Peig. Cosi anche nel n.o 14, v. 3, ch'è la canz. di Sordello Si co'l malaus. "Gombertz. Supponendo una svista del menante, avevo pensato a Guibert de Baus figliuolo di Ugo, prigioniero del conte di Provenza nel 1233 e a Guibert de Baus de Marignane, detto il Dolce, suo congiunto e coetaneo (BARTHÉLEMY, 232). Ma Gonbert, Gonbert du Fraine è il nome del villano nel Roman de Renart, e da Gombert et les deux clercs s'intitola

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