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Nell'anno medesimo Francesco D'Ovidio a proposito « D'un recente libro di Delbrück.... e di due nuove dissertazioni del Withney », osservando che « come piú (la << fonología) acuisce lo sguardo, piú le eccezioni capricciose si dileguano o scemano » risaliva al determinismo in generale e ne trovava la ragione in questo che «< la legge « fonetica non è inesorabile e fatale come una legge fisica, perché il linguaggio è << opera della volontà; ma appunto la volontà non opera se non determinata da mo<< tivi ». Alle quali parole faceva seguire la nota seguente: «< Sarebbe un lavoro cu << rioso da fare questo: raccogliere tutti i passi di scrittori sommi o insigni, i pro<< verbi e le sentenze popolari, ecc.; in cui si trovi inconsciamente professato e atte<< stato il determinismo che pure a molti fa ancora paura. Io ne noto qui due. L'uno << è il primo terzetto del canto quarto del Paradiso di Dante

Intra duo cibi. .

«Non è ironía quel libero attribuito ad uomo che obbedisce talmente al motivo, da << non risolversi piú ad operare quando i motivi diversi sien due e cosí eguali che << nessuno preponderi? L'altro luogo è nel Romanzo del Manzoni.... »

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E dieci anni appresso, nel 1892, il dotto professore ribadiva il suo pensiero in un suo lavoro, che con la modestia dello studioso egli chiamava « un saggio alla buona dell' intimo legame che stringe la speculazione filosofica con la linguistica »; dove egli si fa a provare come tutta la condotta di questa gli sembri « si conformi........ << a quella dottrina che oggi vien sempre più prevalendo nell'etica e in tutte le scienze « morali ed ha ricevuto il nome non bello di determinismo ». E prima di entrare in materia, richiamando al lettore i versi di Dante ormai più volte accennati, osserva che Dante stesso, che pure alla libertà dell'arbitrio umano fermamente credeva, qui viene ad essere un determinista, cosí come avviene comunemente degli uomini «< i quali << mantengono il tradizionale domma della libertà dell'arbitrio, e vi fondan su, non << che la credenza nel premio e nelle pene eterne, sí anche, in teoría, la giustizia << della legge umana e la giustificazione de' loro odii ed amori; ma in concreto nei << casi spiccioli considerano ogni volontà individuale o sociale come una sintesi par<< ticolare di forze determinate e presumono spesso di antivederne le deliberazioni con la sicurezza onde l'astronomo prevede le ecclissi ».

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Non ripeterò qui le osservazioni fatte per questo riguardo al primo lavoro del D'Ovidio dal Puccini, e sí alle asserzioni di lui come a quelle dello Zanchi, una e

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il primo, ed aggiuntavi col suo frontespizio pur la lezione « Dell'oggetto della morale » (Verona, Colombari, 1883) il vol. diventò: « Studi sui Fondamenti della morale: nuovo saggio di Teodicea rivolto a combattere il moderno pessimismo.... Verona, Goldschagg, 1886. In Rivista di filol. e d'istr. class., a. X, 1881-82, fasc. V-VII, pp. 354-5.

'FRANCESCO D'OVIDIO, Determinismo e linguistica in « Nuova Antologia », ser. III, vol. XXXVIII, a. 1892, pp. 88-108 e 258-85.

'C. Dott. ROBERTO PUCCINI, La scienza e il libero arbitrio.... Siena, tip. san Bernardino, 1890, pag. 238 e segg.

due volte dal Sichirollo, a dimostrare che a torto questi chiamava per la nota terzina distratto l'Alighieri, e quegli lo diceva in essa poco loico; solo osserverò che il professore napoletano e il veronese, riconoscendo salda e mirabile in Dante la dottrina del libero arbitrio, si staccano sostanzialmente dal giudizio dello Schopenhauer che ha fiú di felle, perché afferma che Dante pure è determinista. Per la qual cosa, se fosse vero quello che egli dice, che la question du libre arbitre est vraiment << une pierre de touche avec la quelle on peut distinguer les profonds penseurs des « esprits superficiels.... »; tra questi spiriti superficiali noi dovremmo collocare Dante ed anche quel maestro di color che sanno, che lo Schopenhauer, fraintendendolo, volle determinista, quando non preferisse enumerarli in quel parti moyen.... des esprits << timides, qui se sentant embarassés louvoient de côté et d'autre, reculent le but pour «eux mémes et pour autrui, se réfugient derrière des mots et des phrases, ou tour<nent et retournent la question si longtemps, qu'on finit par ne plus savoir de quoi << il s'agit >.

Per rifarci ora piú davvicino al nostro proposito, noi verremo instituendo alcuni raffronti tra i passi più luculenti, che nelle opere dantesche toccan del libero arbitrio, e l'opera di Boezio; e vedremo, s' io non erro, che, come prossimo fonte del pensiero dantesco, per tale rispetto è la mente dell'Aquinate, cosí la mirabile consonanza delle sentenze di Dante con quelle di Boezio aggiunge nuova prova dell'influenza esercitata dall'opera del filosofo poeta sulla mente del poeta teologo.

Tanto era chiara nell'intelletto di Dante, e tanto ferma nell'animo suo di filosofo cattolico l'alta importanza del libero arbitrio nell'uomo, che in esso, come veramente è, vedeva la ragione prima della giustizia distributiva de' premi e delle pene nell'oltre-tomba; onde spiegando il significato allegorico del suo sacro poema, nulla meglio credette di poter dire che questo: « Si.... accipiatur opus allegorice subiectum est << homo prout merendo et demerendo per arbitrii libertatem, Iustitiae praemianti aut << punienti obnoxius est »,' e nel Paradiso si fa dire da Beatrice:

Lo maggior don che Dio per sua larghezza

fesse creando, ed alla sua bontate

piú conformato, e quel ch'ei più apprezza,

GIACOMO SICHIROLLO, L'Alighieri e il Manzoni accusati di determinismo. Padova, Vianello, 1893. ID., Il positivismo e la scolastica nella teorica del libero arbitrio. Padova,

tip. del Seminario, 1894.

2 G. ZANCHI, Nuov. sagg. di Teod.; loc. cit.

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F. D'OVIDIO, Determ. e ling., p. 92.

A. SCHOPENHAUER, Op. cit.; chap. III, pp. 120-1.

....

Epist. X, 8. « Sine libero arbitrio non potest esse meritum vel demeritum, iusta poena vel praemium » S. THOм. De ver., q. XXIV, a, I. Tutta la quaestio XXIII delle disputatae de veritate e de libero arbitrio,

fu della volontà la libertate,

di che le creature intelligenti

e tutte e sole furo e son dotate. '

Al che fa esatto riscontro quanto asserisce nel De Monarchia: «Haec libertas, sive << principium hoc totius libertatis nostrae, est maximum donum humanae naturae a << Deo collatum ».

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Noteremo qui tosto come la seconda delle due terzine citate trovi esatta rispondenza in Boezio dove, chiedendo egli alla Filosofia se con l'ordine delle cause, onde tutto proviene nel mondo, possa ammettersi la libertà dell'arbitrio, la sua maestra gli risponde: << Est.... neque enim fuerit ulla rationalis natura, quin eidem libertas adsit << arbitrii ».

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La ragione per la quale le creature intelligenti e tutte e sole furono e son dotate di libero arbitrio è quella stessa per la quale quanto v' ha d'immortale nel creato dev'essere libero d'arbitrio e non altrimenti e Dante la espone là ove dice:

La divina bontà, che da sé sperne

ogni livore, ardendo in sé sfavilla
si, che dispiega le bellezze eterne.

Ciò che da lei senza mezzo distilla

non ha poi fine, perché non si muove

la sua impronta quand'ella sigilla.

Ciò che da essa senza mezzo piove

libero è tutto, perché non soggiace
alla virtute delle cose nuove.

La qual virtute delle cose nuove esattamente spiega il Buti non solo, come asserisce lo Scartazzini, con le influenze dei cieli, ma anche con quelle delle seconde cagioni, le quali e i quali « si chiamano cose nuove per rispetto a Dio, che è innanzi a tutte << le cose per proprietà di sua natura, siccome dice Boezio >>.

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Ma poiché le parole di Beatrice han richiamato il passo del De Monarchia che piú specialmente riguarda la nostra questione, rifacciamoci ad esso ancora per poco.

▲ Par., V, 19-24. « Solum id quod habet intellectum, potest agere iudicio libero, in quantum cognoscit utilem rationem boni, ex qua potest iudicare hoc vel illud esse bonum. Unde ubicumque est intellectus, est liberum arbitrium. » S. THOм. Summ. I. q. LIX, a. 3, cfr. anche: De ver. q. XXIV, a. 2.

De Mon.; I, 12, (Ed. MOORE).

Cons. Phil.; lib. V, pr. 2.

Par., VII, 64-72.

Cfr. l'ediz. del BUTI curata dal GIANNINI (Pisa, 1858-62) Vol. III, p. 230; e SCARTAZZINI, ed. III minore, p. 763. Il passo di Boezio al quale il Buti si riferisce, è il seguente: « Neque « Deus conditis rebus antiquior videri debet temporis quantitate sed simplici potius proprietate « naturae ». Cons. Phil., lib. V, pr. 6.

Dice Dante: « Et humanum genus, potissime liberum, optime se habet. Hoc erit << manifestum si principium pateat libertatis. Propter quod sciendum est, quod pri<< mum principium nostrae libertatis est libertas arbitrii, quam multi habent in ore, << in intellectu vero pauci. Veniunt namque usque ad hoc ut dicant liberum arbi<< trium esse liberum de voluntate iudicium. Et verum dicunt.... Et ideo dico quod << iudicium medium est apprehensionis et appetitus; nam primo res apprehenditur, << deinde apprehensa bona vel mala iudicatur, et ultimo iudicans prosequitur vel fu<< git». Or se queste parole ricordano il pensiero del buon fra Tommaso, ed hanno riprova nel fiammeggiar degli occhi di Beatrice

di là dal modo che 'n terra si vede,

il che procede

da perfetto veder, che come apprende,
cosi nel bene appreso muove il piede;

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anche piú fedelmente rispecchiano quest'altre sentenze di Boezio: « quod ratione uti << naturaliter potest id habet iudicium quo quidque discernat: per se igitur fugienda << optandave dinoscit, quod vero quis optandum esse iudicat petit; refugit vero quod << aestimat esse fugiendum; quare quibus inest ratio, in ipsis inest etiam volendi no<< lendique libertas ».

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Or perché si possa aver chiaro il pensiero di Dante, che è poi il pensiero della Scolastica, intorno al libero arbitrio non saranno inutili alcune considerazioni. L'anima umana, poiché ad ogni cosa è mobile che piace,

mossa da lieto fattore,

volentier torna a ciò che la trastulla.

Questa tendenza dell'anima al sommo bene è in essa si come studio in ape Di far lo mele, onde la volontà umana vuole necessariamente questo suo bene e però questa prima voglia merto di lode o di biasmo non cape.

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Summ., I, q. LXXXII, a. 3; q. LXXXIII, a. 2; In II Sent., dist. XXIV, q. I, a. 2. Par., V, 1-6.

Cons. Phil., lib. II, pr. 4.

Purg., XVI, 89-90. E in Conv. IV, 12: « .... l'anima, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza gli occhi al termine del suo Sommo Bene, e peró qualunque cosa vede, che paia avere in sé alcun bene, crede che sia esso ». E s. Tommaso (Summ. I. II.ae q. IX. a. 6): « Deus movet voluntatem hominis, sicut universalis motor, ad universale obiectum voluntatis, quod est bonum ». Intorno al qual passo dell'Angelico cfr. G. M. CORNOLDI, Quale secondo s. Tommaso sia la concordia della mozione divina colla libertà umana. II ediz. Roma, Befani, 1890.

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Né questa necessità che le viene dalla immutabilità dell' ultimo fine dell' uomo, secondo ne insegna la Scolastica, ripugna al libero arbitrio, il quale non si esercita nel voler indeterminatamente il bene, ma nella scelta dei beni particolari che conducono ad esso.

Or si vegga quanto perspicuo è il pensiero di Dante nelle seguenti parole di Boezio: «Omnis mortalium cura quam multiplicium studiorum labor exercet; diverso quidem calle, sed ad unum tamen beatitudinis finem nititur pervenire. Id <<< autem est bonum quo quis adepto nihil ulterius desiderare queat. Quod quidem est << omnium summum bonorum cunctaque intra se bona continens, cui si quid aforet, <«<< summum esse non posset, quoniam relinqueretur extrinsecus, quod posset optari. << Liquet igitur esse beatitudinem statum bonorum omnium congregatione perfectum. << Hunc, uti diximus, diverso tramite mortales omnes conantur adipisci. Est enim men<< tibus hominum veri boni naturaliter inserta cupiditas, sed ad falsa devius error << abducit ».

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Questa ragion di bene nell'essere confusamente tutti gli uomini apprendono, epperò ad esso tendono tutti.

Ciascun confusamente un bene apprende

nel qual si queti l'animo e disira:

perché di giugner lui ciascun contende. '

E Boezio: << Vos quoque. o terrena animalia, tenui licet imagine vestrum tamen << principium somniatis verumque illum beatitudinis finem licet minime perspicaci qua<< licumque tamen cogitatione prospicitis eoque vos et ad verum bonum naturalis ducit << intentio et ab eodem multiplex error abducit »>."

Or poiché l'anima umana possiede questa naturale tendenza al proprio bene, ad essa dunque deve raccogliere ogni altro atto della sua volontà, a cui essa, poiché è razionale ed appunto perché tale, può e deve far precedere un giudizio sulla rispondenza dell'atto possibile futuro con l'ordine e quindi col bene oggettivo. In questo giudizio sta la radice di ogni nostra libertà.

Cfr. S. THOM., De Ver., q. XXIV, art. 1; De Malo, q. VI; Summa, I, q. LXXXII, a. I;

S. BONAVENTURA, In II Sent., dist. XXV, p. II, a. I, q. 2.

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Per il significato delle parole di Dante (Purg., XVIII, 61-3) cfr. ciò che ne diceva C. P. PAGANINI nell' « Araldo cattolico ». Lucca, 1857, a. XIV, n. 13, ristamp. in Chiose a luoghi filosofici della D. C. Città di Castello, Lapi, 1894. (Collez. d'opusc. dant. ined. o rari, di G. L. PASSERINI, N. 5) pp. 13-22.

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<< Totius libertatis radix est in ratione constituta » S. THOм., De ver., q. XXIV.

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