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Come non s'è accorto dello sbaglio, quando ha letto nella terza strofe della tenzone, di questa stessa tenzone :

si en yfern vostr'arma s'enpreyona ?

E ha menato tanto scalpore perché io chiamai partimento una tenzone? Ah, «< per l'arma de mon paire »>,

.... s'ieu non vail per armas Olivier,

vos non valetz Rotlan, a ma semblanssa!

tradu

Sul partimento, anzi su la tenzone (« nostra tenso ») con l'amico Bertrando, Sordello chiede il giudizio della « comtessa valenz q'a pres prezan », quella di Rodez Granet, finendo di esprimere il suo parere, << ricorda >> zione del De Lollis«che per la pregiata contessa di Rodez piú di cento cavalieri han raso il proprio capo, e dovrà finire per raderselo anche lui». Io non credetti che il complimento di Sordello, sotto forma di invito, e il complimento di Granet, sotto forma di attestazione iperbolica, potessero valere a dimostrare che Sordello amò Guida di Rodez : « Granet parla della contessa di Rodez; ma perché? Perché Sordello aveva proposto di rimettere a lei il giudizio della tenzone ». Egli, invece, interpreta: << Vedremo che cosa saprà fare in materia d'amore messer Sordello, il quale per la contessa di Rodez (giudice e parte in un certo senso) dovrà rassegnarsi a far quello che cento altri fecero: radersi il capo ». Già prevedeva Granet l'insuccesso di Sordello? E perché, allora, avrebbe detto: « Vedremo che cosa saprà fare?... Giudice e parte la contessa, da quale verso, da quale parola si arguisce? Tutt' al piú, in cortesía, possiamo imaginare vedesse o fingesse Granet di vedere, nella scelta di lei a giudice, un'intenzione segreta ma tanto segreta, nascosta, impenetrabile che non traspare nella tornata e si divertisse a commentarla scherzando: « Badi a sé Sordello; la contessa non concede l'amor suo; per l'estremo rigore di lei già più di cento cavalieri si son resi frati, e anch' egli si renderà frate, se non vuole commettere errore ». La cifra rotonda di cento cavalieri, che avevano abbandonato il mondo per la marmorea freddezza di Guida, è tanto esatta storicamente, quanto quella delle cento donne amate da Sordello o quella de' cento cavalieri assisi al desco del vescovo Gri

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'Bertrando accetta; ma vuol anche il giudizio di « Johan de Vallari » : Granet prega « Johan de Vallari » di non prestar fede a Bertrando. Giovanni di Vallari ripetetti io, con grave scandolo del De Lollis, che mi scaglia un sic tanto fatto. Padrone lui di scrivere « Peire Guillem » o << Brauenschweig » o altri nomi esotici con l'ortografia esotica; non padrone io di scrivere « Vallari » come nel testo dato da lui della tenzone e nel testo della poesia di Granet dato dal Mahn. Due pesi e due misure! Chiunque abbia letto o voglia leggere la recensione, che io feci del commento del Poletto alla Divina Commedia (Rass. bibl. d. Lett. ital., III, 9-10) sa, o può vedere quanto bene io conoscessi il fratello di Giovanni, Érard signore di Valéry (non « di Valery »), il vecchio Alardo di Dante.

' Parrà incredibile, eppure - a che non giunge l'amor cieco della tesi!il De Lollis tiene per certo che « Sordello amò, il che vuol dire cantò, più di cento donne, a quanto ne attesta Bertrando di Lamanon, suo contemporaneo ed amico: e la critica non avrebbe che ad applaudirsi se i nomi di quattro o cinque o dieci di esse, oltre quello della contessa di Rodez, riuscisse a fiutare e rintracciare per entro al suo canzoniere ! »

maldesco; il loro ritiro, di conserva o alla spicciolata, nella solitudine e nella pace dei chiostri, è cosí certo, com'è certo che G. di Saint Gregori avrebbe mantenuto il proponimento di indossar tonaca bruna e scapolare, portar cotta corta, farsi radere sul capo un'ampia chierica, se gli fosse mancato l'amore della sua donna. Con la serietà del computista mandato a calcolare il deficit di una banca fallita, il De Lollis si stilla il cervello per « far corrispondere la realtà di quattro, cinque o sei anni » a << quel certo tempo.... che pur dové decorrere perché cento cavalieri (e non avran subita tutti insieme l'operazione!) si tonsurassero ». E lasciamolo calcolare.

Alla fine del gioco partito con Bertrando, Sordello designa a giudice la contessa di Rodez : in questa designazione, dissi, « non si può scorgere una dichiarazione, sia pure implicita d'amore e, a prova, addussi l'autorità del De Lollis, il quale aveva ritenuto « piú che raro il caso d'un trovatore che invochi, pel giudizio di una tenzone il nome (senza neppur la cautela del senhal) della donna colla quale è in rapporti intimi ». Come se queste parole non fossero sue, sostiene ora che i trovatori << potevano anche, poiché si trattava sempre d'un modo di far onore e prestar omaggio, invocar quello della donna amata o cantata come oggetto d'amore ». Aveva ragione la prima, ovvero ha ragione la seconda volta? Né basta. Per confermare con documenti, a norma del buon metodo storico, che i trovatori potevano, prosegue in nota: « Cosí, in altra tenzone cinque manoscritti lascian che Sordello invochi il giudizio di Cunizza ». Formidabile argomento in mano di quello stesso, al quale era risultato, dalla classificazione dei manoscritti, che il nome di Cunizza è là dovuto.... all'arbitrio d'un copista »! Non basta ancora. Avevo aggiunto:

Né potrebbe esser presa per implicito documento di amore la scelta della contessa di Rodez, se non a patto di considerare come prova di un altro altro amore la scelta, che in altra occasione fece Sordello di donna Rambalda a giudicare una tenzone tra lui e Bertrando. Questa necessità logica non è nemmen passata per la mente del nostro critico. '

E il De Lollis:

2

Or ecco: dalla poesia di Sordello mi risulta ch'egli cantò una donna di nome Guida: trovo che egli menziona una contessa di Rodez, in una tornata dov'era lecito, non necessario, invocar come giudice anche la donna di cui si era « drutz »: la storia mi dà una Guida di Rodez che fu donna da marito e maritata proprio negli anni in cui Sordello scriveva le sue canzoni : Guida di Rodez fu dunque la donna o, almeno, una donna cantata da Sordello.

O Aristotile! O Trendelenburg! O Stuart Mill! Per via simile a questa il vino buono conduce l'uomo in Paradiso. Sventuratamente, manca proprio il vino buono, giacché dalla poesia di Sordello non risulta affatto che « egli amò una donna di nome Guida ». Allo stesso modo io potrei sostenere: Sordello menziona una donna di nome Rambalda in una tornata, dov' era, ecc.; il pianto di Bertran d'Alamano mi dà una Rambalda dels Baus negli anni, in cui Sordello scriveva le sue canzoni; Ram

Razon e dreit.

Parole testuali (p. 21 del Giorn. dantesco). Il De Lollis stampa: « Questa logica non è nemmen passata », e si dà la consolazione di ben due sic.

balda dels Baus fu, dunque, la donna di Sordello. Prendo nota infine, della restrizione : << la donna, o, almeno, una donna cantata ». Oh! Quanto siamo lontani dalla « certezza » di una volta, dalla certezza che Sordello amò e cantò la bella Guida ».

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Dimostrato che dalla tornata di Granet non si può indurre un amore di Sordello per Guida di Rodez; dimostrato non necessario e nemmen verisimile che la contessa, amata da Sordello, « debba identificarsi » con Guida di Rodez, o con una Guida qualunque; qual valore o pregio rimane al tentativo di strappare il nome di donna « Guida » << dal ricamo di un bisticcio in cui s'intrecciano parole come guitz, gidar, guida? » Comprendiamo, pur sorridendo, i bisticci del Petrarca e fin quelli del Montanhagol e di Lanfranco Cigala, perché sappiamo, certamente sappiamo Laura, Gauseranda, Esclarmonda, Guia, A. di Villafranca' furono nomi di donne veramente vissute, veramente amate o cantate dal Petrarca, dal Montanhagol, dal Cigala; ma revocato in dubbio, anzi negato a buon diritto l'amore di Sordello per Guida, per Guida di Rodez, il bisticcio sfuma. Né, chi abbia « l'intelletto sano », può vedere un bisticcio e, quindi, un'allusione - un'allusione più chiara a Guida di Rodez in un verso di un'altra canzone (XXII):

quar fis amicx no sier ges d'aital guia.

Quella tal maniera (guia), di servire, è il servire senza guiderdone; per l'amante perfetto, per l'amico fino, che è in questo caso lo stesso trovatore, il guiderdone consiste nell'onore di servire. Dove si nasconde il bisticcio? A nessuno saltò mai in testa di supporre un amore di Pietro Vidal per una donna di nome Guida, quantunque, con insistenza innegabile, non meno di sei volte in una sola canzone (Amor, pres sui de la bera), avesse ripetuto la parola guiza (« de mala guiza, d'aital guiza, de ma guiza, de bona guiza, de brava guiza, d'avol guiza »). D'altra parte, il paragone d'uno, che guida pregio, con la stella, che guidò i re Magi, era vecchio per lo meno quanto il pianto di A. di Pegulhan per la morte di Guglielmo Malaspina. Il De Lollis rivela ora coma pervenne alla scoperta dopo che vi era pervenuto Vittorio Spinazzola ' -: « Sicché Guia e guiar cinque volte nell'ambito di sei versi e mezzo

Nella rubrica del codice H, 252 : « Lafrancs cigala de nailas de v. » lo SCHULTZ-GORA vide un'allusione ad Alazais di Vidallana (Le Epist. del trov. R. di Vaqueiras; Firenze, Sansoni, p. 172). Ma Lanfranco dice: « Tan franc cors de dompna ai trobat A Villafranca e tan plazen, Qe m'acuilli tan francamen, Qe de franc m'a sos sers tornat, ecc. » A Villafranca presso Asti, a Villafranca di Nizza, a Villafranca di Lunigiana, a Villafranca di Verona?

Il prof. Spinazzola (Dal Provenzale; Napoli, Giannini, pp. 16 segg.) tradusse in versi italiani la poesia Aitan, ses plus e volle «indagar chi sia la Gradiva, a cui il poeta si rivolge in sulla fine del canto ». « A me pare che sotto quel nome si nasconda la bella contessa di Rodi, e una certa testimonianza mi par di scorgere nella poesia: Aitan ses plus viu hom quan viu jauzens, che è indirizzata alla stessa Gradiva e che fra le altre ha le seguenti strofe, nelle quali con troppa insistenza e troppo vicino son ripetute le parole guida e guidar, per credere semplicemente casuali quelle ripetizioni: Tan pens, ecc. » Il De Lollis, a pag. 33 del « libro », stampò: « Agradiva è un segnale della stessa dama (Guida di Rodez) poiché compare nella tornata della canzone » (XX.... Aitan ses plus ecc.), « nella quale il bisticcio è più insistente, e quindi significante sul nome di Guida »; ma si dimenticò di pur nominare lo Spinazzola. Ci pensò solo a p. 277, in una noticina, anzi in una parentesi : « Il bisticcio tra il nome proprio Guida e le forme guitz gidar guida (e lo senti e rilevò già V. Spinazzola, Dal Provenzale, p. 15) sul quale, ecc. >>

in una canzone: guia di nuovo in altra, benché con altro senso: che, dunque, la dama detta Agradiva nel commiato della prima canzone si chiamasse Guida? » << Mala via tieni », gridò Dedalo al figliuolo. Con lo stesso criterio, contando nella prima stanza della prima canzone :

e nella stanza terza:

e nella seconda tornata :

Aitan, ses plus, viu hom can viu jauzentz,
q'autre vivre nos deu viďapellar,

per q'ieu m'esfortz de vivre e de reinhar
ab joi, per lei plus corajosamenz
servir, q'ieu am; qar hom qi viu marritz
non pod de cor far bos fatz ni grasstz:
donc er merses, sim fai la plus gracida
vivre jausen, pos als nom ten a vida;

qar ieu non puesc ses lo joi vius durar

Per Dieu, ayatz merce, donna graçida,
de mi, q'en vos es ma mortz e ma vida;

dieci volte vive, vivo, vivere, vita in undici versi, tutti di una stessa poesía, e considerando che è vida l'ultima parola dell'ultimo verso, potremmo conchiudere la dama << detta Agradiva nel commiato » ebbe nome Vita. Con lo stesso criterio dovremmo indurre, dalla canzone Puois ieu mi fenh, che Bartolommeo Zorzi amò una donna di nome Prima. Chi si rammentasse che cosa furono e quanto spesso usate dai provenzali la replicatio e le coblas refranhas, ci rimanderebbe all'abbicí della poetica provenzale.

Cancelleremo, dunque, una buona volta, di buon inchiostro, Guida di Rodez dal numero delle donne di Sordello.... No, non ancora, per due ragioni. Prima: il De Lollis criticamente, non si dubita costituí, o ricostituí, il testo di quattro versi (XX) cosí :

qar enaissi es guitz

per dretz gidar sos genz cors ben aibitz

las pros en prez, con la nau en mar guida

la tramontana el fers el caramida;

ed ora traduce e chiosa: «ché cosí è guida la sovranamente gentile per dritto guidare le valorose in pregio come la nave in mare guida (lascio il singolare del testo con intenzione) la tramontana e il ferro e la calamita ». Ripenso a su i. Diritto direbbe lo stesso e sarebbe più corretto di dritto; piú esatta traduzione sarebbe : dirittamente guidare. L'intenzione, chi la capisce? Guida provenzale deve essere tradotto in italiano guida, terza persona singolare dell' indicativo presente. Forse ha desiderato che il lettore badasse ai tre soggetti, « la tramontana e il ferro e la calamita »; benché i

soggetti fossero tre, egli ha voluto usare il verbo al singolare, non al plurale. Bella forza! Ma mi dispiace di rompergli le uova nel pianere non sono tre soggetti. Nel libro » non riesciva a persuadersi «< come e perché il ferro fosse messo insieme colla stella polare e colla calamita; tutti sanno, anzi, che la massa ferrea delle navi fu quella che per lungo tempo rese difficile e malsicuro l'uso dell'ago calamitato nella navigazione ». E perché ha stampato el fers nominativo, soggetto, uno dei tre soggetti del verbo guida? Nel « libro » ricordava bene : « la tramontana che guida la nave in mare e la calamita che attira a sé il ferro son due similitudini che ricorrono spesso, e qualche volta insieme, ma sempre distintamente presso i poeti del secolo XIII ». E perché non ha egli distinto? Legga pure e stampi la nau, a dispetto dell'Appel, a dispetto del Mussafia, il quale ultimo indica a riscontro e per chiarimento las naus nella strofe terza; ma sostituisca el fer o el ferr complemento oggetto, accusativo, al suo el fers nominativo e soggetto, uno dei tre soggetti. << Cosí è guida la bella, la perfettissima persona di lei »>

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ovvero, più brevemente, ella, perfetta << per guidare dirittamente le valenti in pregio, come la stella (la tramontana) guida la nave in mare e (come) la calamita (guida) il ferro ». Quattro citazioni, due dal provenzale non c'è quella della similitudine di A. di Pegulhaneissamen cum l'azimans tira 'l fer e 'l trai vas se » e due da rimatori italiani antichi, non hanno condotto il De Lollis alla interpretazione piú semplice e piú esatta.

Seconda ragione: mi devo purgare dell'accusa di aver «fatta mia con maravigliosa disinvoltura un'objezione che egli stesso si era mossa »; di averla data «< in pari tempo per una prova da lui allegata in favore dell'amore di Sordello per Guida di Rodez ».

La tornata della canzone Atretan (XXI):

Si col soleillz esfassa, quan resblan,
autras clardatz, vai de pretz esfasan
autras dompnas la contess'am cors quar,

sil de Rodes, ses ma domn'esfassar.

La comtessa nom deu ges asirar

s'ieu am ni pretz lei don sui hom sens par;

lo percosse di due gravissimi dubbi.

Mi domando: come mai poté voler Sordello ridurre, sia pure al confronto di una sola dama, quella da lui amata, i pregi della contessa di Rodez, che pure egli cantò indubbiamente e a lungo? E nella seconda parte poi della tornata come potrebb'egli chiedere alla contessa pérdono di << amarla e pregiarla » se un momento prima le ha dichiarato la sua preferenza per un'altra dama? O s' ha da intendere che in questa seconda parte della tornata il poeta chiede perdono alla contessa di amar quell'altra, si che quel « lei » del v. 46 s'abbia da riferirlo all'altra dama davanti ai cui pregi cedon quelli della contessa? Ma grammaticalmente « lei » non può riferirsi che alla contessa menzionata nel verso precedente, e, grammatica a parte, l' insistere ancora in questa parte della tornata a complimentare la contessa mettendole innanzi il suo amore per un'altra sarebbe da parte del poeta un procedere di cui non saprei trovar altro esempio nella lirica trovadorica,

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