Sayfadaki görseller
PDF
ePub

intimamente imparentato, comecché non sia arrivato alle esagerazioni ultime de' fraticelli »>.'

Ma voler trovare in Ubertino « la chiave per la spiegazione della profezia dantesca del veltro >> mi pare uno sforzare forse troppo le cose. Le tre bestie digrignanti i denti di Ubertino e Causa di ogni male alla Chiesa rappresentano : l'« avaritia sive concupiscentia oculorum », la « luxuria sive concupiscentia carnis », la « superbia vite ».

3

Or non so se la piú parte de' dantisti si vorrà ristringere a cosí nell'apparenza compiuta sí, ma cosí angusta anche corrisponsione, mentre si fa sempre piú strada l'idea che ravvisa nelle tre fiere dantesche la perfetta raffigurazione delle tre grandi divisioni delle colpe umane: Incontinenza, Matta bestialitade, Malizia. E mi par piú giusto asserire piuttosto che anche la figurazione di Ubertino fu efficace a determinar il pensiero di Dante per la via al medio-evo comune del raffigurare sotto forma di bestie i grandi vizi causa d'ogni male alla umana società, pur variando l'ideal contenenza e il significato di esse.

[ocr errors]

Ma chi volesse se pur c'è chi vuole ancora ravvisar nel tormentato veltro dantesco papa Benedetto XI, bene è che legga riportato nel Kraus quel luogo d'Ubertino, ove senza tante ambagi il sommo pontefice è rappresentato nella seconda bestia anche peggiore della prima, ch' era pure Bonifazio VIII: papa Benedetto ipocrita bestia. Opinione questa, dice bene in altro luogo il Kraus, esagerata ed ingiusta, né Dante in alcun modo ad essa accennò; ma pur sempre caratteristica a formarsi un'esatta idea dell'ambiente spirituale nel quale crebbe e si svolse la grande anima religiosa del Poeta.

Tra il quale ed Ubertino, il Kraus trova questi essenziali punti d'accordo:

1° Nella rappresentazione della corruzione universale del mondo cristiano.

2° Nel riportare questa corruzione alla sensualità. (Avarizia, cupidigia, antica lupa). 3° Nell'opinione intorno alla rinunzia di Celestino V.

4° Nel giudizio su Bonifazio VIII.

5° Nel paragonare la processione trionfale dell'orda babilonica e la processione della vera Chiesa.

6° Nella separazione della Ecclesia carnalis dalla spiritualis (celestis).

7° Nello spiegare la Meretrix come la Chiesa decaduta per opera del papato usurpato da Bonifazio VIII.

3° Nella descrizione della punizione e del maltrattamento di questa Meretrix fatto dal re di Francia.

9° Nell'aspettazione del Veltro come di persona piena della grazia e della santità

KRAUS, l. c., p. 479.

2 Ib.

Arbor vite crucifixe, 1. III, c. 13; KRAUS, 1. c., p. 444.

• UBERTINO, 1. c., 1. V., c. VIII; KRAUS, l. c., p. 473, n. 2.

di Dio, e nel quale, povero e rinunziante ad ogni pompa mondana, è stampata nuovamente l'immagine di Cristo ».

[ocr errors]

Ai quali nove ravvicinamenti lo studio nostro su Le mistiche nozze di frate Francesco con madonna Povertà, un decimo pare ci consenta :

10° Nell'accostare i due gran santi Francesco e Domenico, giudicarli messi di Dio a soccorrere la Chiesa pericolante, caratterizzarli con le stesse immagini. Ravvicinamenti felici certo quelli del Kraus e degni dell'uomo che cosí a fondo conosce la tribolata storia della Chiesa in quel tempo e in tutti i tempi.

Ma l'aver egli ritenuto che troppo lungo gli sarebbe riuscito esporre dell'Arbor Vite, come pur sarebbe stato necessario alla piena comprensione dell'opera, tutto l'organamento, e l'essersi limitato ai punti che coincidono con l'idee dantesche, ha fatto sí che l'esposizione stessa non gli sia riuscita un modello di lucidità. '

Ma e dall'opera sua voluminosa e dal lavoro mio, per quanto grande ne sieno i difetti, un fatto mi par oramai balzi fuori evidente : l' intima parentela tra il pensiero del più grande poeta e il piú gran santo d' Italia; il lume che la storia tribolata dell'Ordine di questo getta sul Libro tormentato di quello.

Torino, 1899.

UMBERTO COSMO.

DANTE E CIRIACO D'ANCONA.

(PER LA FAMA DI DANTE NEL PRIMO TRENTENNIO DEL 400)

3

Al lettore che in questo periodico, l'anno testé decorso, seppe giustamente apprezzare le rime di Bartolommeo Scala, edite ed illustrate da Ausonio Dobelli, per la fama di Dante nella seconda metà del Quattrocento, quando non ci fan piú difetto i documenti del culto sia pure superficiale, retorico e infecondo al divino Poeta, spero non tornerà discaro questo mio contributo sulla fortuna della Commedia nei primi decenni di quel secolo, poiché intorno a quel tempo tali notizie, cosí deside

-

[blocks in formation]

'Cfr. A. D., Alcune rime di B. S., in Giorn. dant., a. VI, q. III, pp. 118-123; forse si potevano ricordare i versi che lo Scala scrisse perché servissero da iscrizione al noto dipinto che dalla Republica fiorentina fu commesso a Domenico di Michelino, discepolo del b. Angelico, il 1455 e che si osserva tuttora in s. Maria del Fiore; insieme colla relativa traduzione italiana furono stampati da C. DEL BALZO, Poesie di mille autori intorno a Dante, vol. IV, Roma, 1893.

rate, sventuratamente scarseggiano; e se per tutto quel trentennio sappiamo che a intervalli fu letto e spiegato Dante nello Studio fiorentino da Filippo Villani, Giovanni Malpaghini da Ravenna, Giovanni Gherardi da Prato, a voler ricordare scritture già edite

[ocr errors]

a difesa della prima fra le tre famose corone fiorentine atrocemente vilipesa, bisogna fare un salto a piè pari dai ben noti Dialogi ad Patrum Histrum di Leonardo Bruni (1401) al 1431, quando Francesco Filelfo comincerà le apologie del divino Poema. '

A noi giunge quindi in buon punto e oltremodo gradita per codesto trentennio di oblío quasi assoluto dell'Alighieri una lettera che Ciriaco Pizzicolli d'Ancona, il 15 di marzo 1423 « ex intinere (sic) apud Ariminum » diresse al suo concittadino P. di Liberio de' Bonoli, secondo G. B. De Rossi, che poté leggerla nel codice Vat. 8750, f. 125:* tale manoscritto io credetti già, e non m' ingannai, fosse quello stesso da cui doveva essere stata estratta una copia, che è inserita nella Miscellanea orationum, opuscolorum et epistolarum ms., congesta, ac disposita, cura ac studio Joannis Christophori Amadutii, esistente nella Biblioteca comunale a Savignano di Romagna.

4

Prima di aver consultato il codice Vat. io lo dedussi da una circostanza di fatto importantissima, cioè dall'entità numerica del foglio con cui tanto nel codice citato dal De Rossi, quanto in quello da cui è tolta la copia dell'Amaduzzi, comincia la lettera; difatti, essa in fine porta questa indicazione: ex antiquo Cod. ms. penes me Joh. Franc. Lancellottum Staffulensem, pag. 125 tergo et seg. La lettera adunque ha questa precisa intestazione Kiriacus de Piceni-collibus Anchonitanus viro clar. P. de Bonol Liberij f. [ilio] Anchonitano s. p. d.; paleograficamente, non c'è che dire, quel de Bonol

Cfr. GIUSEPPE ZIPPEL, Monumenti a Dante, Trento, G. Zippel, 1896, p. 7; le orazioni filelfiane in Operette inedite o rare pubbl. dalla libreria Dante, Firenze, 1883, n. 5 [Sepulcrum Dantis]. Per i dialoghi del Bruni cfr. l'ediz. di Gius. Kirner, R. Giusti, Livorno, 1889. Del febbraio 1430 sarebbe la lettera scritta probabilmente dallo stesso Bruni e diretta dalla Signoria di Firenze a Ostagio da Polenta, signore di Ravenna, per ottenere le ossa dell'Alighieri che si volevano degnamente onorare: cfr. G. ZIPPEL, op. cit., p. cit. (fu pubbl. da C. RICCI, L'ultimo rifugio di D. A., Milano, U. Hoepli, 1891, p. 455). Agli ultimi anni della vita di Filippo Villani, che non sappiamo stabilire, si deve ascrivere la nota biografia di Dante che fa parte del libro De origine civitatis Florentiae, etc., ediz. Galletti, Florentiae, 1847; del suo commento alla Commedia ci è conservato il principio in un codice Chigiano (L, VII, 258); cfr. UMBERTO MARCHESINI, Filippo Villani pubblico lettore della « D. C.» in Firenze, estr. dall'Archivio storico italiano, serie V. tomo XVI, disp. 1.a, an. 1885, p. 7.

2

* Inscriptiones Christianae Urbis Romae, Romae, Cuggiani, P. I, p. 365.

'Di questa lettera, che ora per la prima volta vede la luce, diedi già una breve notizia nel mio opuscolo Per gli epistolari di due discepoli e di un amico di Guarino Guarini, Pistoia, G. Flori, 1897, pp. 10-15, pubbl. per nozze Guarini-Tommasini; di esso fece già menzione il prof. VITTORIO ROSSI, Dante e l'Umanesimo, in una sua conferenza pubbl. nel vol. Con Dante e per Dante, Milano, U. Hoepli, 1899, pp. 161, 180.

Una copia di questa lettera che io ebbi nel '97, era tanto guasta che non mi arrischiai di pubblicarla cosi com'era; quantunque, tempo fa, la collazionassi alla Bibl. Vaticana, mettendo a dura prova la pazienza di un amico cortese, trovo che presenta ancora alcune difficoltà che è quasi impossibile superare.

dovea interpretrarsi per De Bonoli, come fece il De Rossi, ma io credetti piuttosto ci si trovasse dinanzi ad un errore di trascrizione, poiché, per quanto io so, non è mai esistita in Ancona una famiglia con tal cognome; vi fiorivano invece allora i Bonarelli, e fu precisamente contemporaneo di Ciriaco un Pietro di Liberio de' Bonarelli, addetto alla corte di Martino V, che affidò a questo missioni assai delicate e in ricompensa concesse alla famiglia di lui amplissimi privilegi. Sicché, a costui che chiama poeta << cultori Pieridum » Ciriaco narra una portentosa visione apparsagli in sogno. Non mi diffondo sui particolari di questa, ma mi limito a rilevare due cose di non poco momento, l'una per la biografia di Ciriaco, l'altra per la fortuna di Dante nel secolo XV.

Tutti conoscono lo strano culto che professava per Mercurio il nostro archeologo; il Voigt, accennando a ciò, scrive: come gli sia venuta questa idea, non si sa; forse da una gemma che vide a Firenze nella collezione del Marsuppini. Ora, la prima visita a quest'umanista parrebbe doversi collocare tra la fine del 1432 e i primi del '33; invece, nella lettera al suo concittadino, vale a dire dieci anni innanzi, parla già con entusiasmo e venerazione del dio del commercio e lo descrive cogli aurea munitis thalaria pedibus et baculum gerente manu....

3

Non si potrebbe quindi supporre che codesta idea gli fosse stata suggerita dalla lettura dei classici latini o, meglio ancora, dalla Commedia di Dante, dove, come ognun sa, prende nome da Mercurio il secondo cielo, nel quale si trovano gli « spirti che son stati attivi Perché onore e fama gli succeda? » Nessuno come Ciriaco che viaggiando per tutta la sua vita si dedicò contemporaneamente al commercio e agli studi e fu, come oggi si dice, l'attività in persona, poteva piú a buon diritto ascriversi tra costoro ed eleggersi quindi a patrono appunto il dio dei mercanti e degli oratori.

Poiché, è d'uopo premettere che il Pizzicolli veniva allora allora da Ancona colla mente inebriata di classicismo; negli ozi della sua patria si era dato indefessamente allo studio di Virgilio, sotto la guida di Tommaso Seneca da Camerino, che per un ventennio (1421-1440) si trattenne in quella città; a costui il nostro Ciriaco, alla

5

'Cfr. GIULIANO SARACINI, Notitie historiche di Ancona, Roma, 1675, p. 496-8. Anche lo stesso Lancellotti, già possessore del codice ho ora constatato che identifica il destinatario in De Bonarelli, soltanto egli crede che si tratti di Liberio juniore, figliuolo di Pietro seniore, ; cfr. G. COLUCCI, Antichità picene, vol. 27, p. 28.

' Il Risorgimento dell'antichità classica, Sansoni, Firenze, 1888, vol. I, p. 383-4. 'G. VOIGT, Op. cit., p. 362.

'Anche MACROBIO nel lib. I de' suoi Saturnali, p. 142 e segg. (Venezia, Aldo, 1528) citato dallo stesso Ciriaco parla a lungo di Mercurio.

REMIGIO SABBADINI, Tommaso Pontano e Tomm. Seneca, in Giornale storico della Letteratura italiana, XVIII (1891) p. 228. Intorno a quest'umanista so che è stata scritta testé una breve biografia dal prof. Ernesto Spadolini, ma non mi è riuscito di poterla vedere, per quante ricerche abbia tentato. Presto altri documenti importanti relativi a T. Seneca pubblicherà nel Giornale storico il mio carissimo amico prof. Agostino Zanelli.

sua volta, faceva da precettore leggendogli e interpretandogli la Commedia di Dante; giacché in molti suoi studi, come quelli del volgare, egli fu autodidatta e poté, senza maestro, gustare le bellezze di Dante, del Petrarca e del Boccaccio, compose sonetti e canzoni non del tutto spregevoli.

La lunga epistola di Ciriaco, scritta in un latino tutto suo particolare, ha lo scopo di confutare le teoríe di coloro i quali a quei tempi sostenevano che disdiceva ad un cristiano la lettura e lo studio di autori pagani; codesta questione, che dai primordi del Cristianesimo si dibatte fino ai giorni nostri, aveva accalorato le piú elette intelligenze di quel tempo; nel 1378 Coluccio Salutati, a cui si uní poi anche Domenico Silvestri da Prato, rimbeccava il bolognese Giuliano Zonarini che aveva chiamato Virgilio vate menzognero. Avversario piú fiero ancora degli studi classici era stato il camaldolese Giovanni da S. Miniato, Agnolo Corbinelli e, in fine, Giovanni Dominici (1356-1419) che aveva scritto la Lucula noctis per riprendere coloro i quali mettevano allora nelle mani dei giovanetti Ovidio, Virgilio, Cicerone, Terenzio. Non ultima quindi tra le ragioni per cui molti disprezzavano Dante era appunto questa, che egli avesse tolto a prestito miti e leggende dalla religione pagana e le avesse quindi trasportate sacrilegamente in quella cristiana. Contro codesti nemici dei classici, quindi, sono rivolte le parole dell'umanista anconitano, il quale, dopo aver ricordato che sant'Agostino, s. Girolamo, Lattanzio, per difendere la fede cattolica, avean sentito il bisogno di fortificarsi, vegliando sui codici greci e latini, s' indugia piucché altro ad esaminare il libro VI dell'Encide, che egli aveva studiato con grande amore, per bene intendere il divino Poema, ed accennando poi alla famosa Egloga IV, conclude col dire che Virgilio, a chi lo sappia leggere, apparisce poeta cristiano; a questo proposito mostra apertamente di aver la credenza, quasi generale nel M. E., che con quei versi si preannunzi la venuta del Messía.

Da Virgilio passa naturalmente al suo imitatore catholicus.... et materni eloquii poeta Dantes, il quale esclamò: in suo christianissimo volumine:

Et se lecito m'è, o summo Jove,

che fosti in terra per noi crocifisso,

son li justi occhi tuoi rivolti altrove ?

Ciriaco soggiunge quindi che da ciò apparisce chiaro ed aperto come non sia che una calunnia di gente ignorante quella, per cui si nega al Poeta di cantare sacratissima divinarum rerum archana misteria honestissimo sub velamine fictionis (Sotto il velame de li versi strani).

E qui concludo col dire che è bello il poterne aggiungere un altro all'esigua schiera degli apologisti dell'Alighieri, la quale si inizia con Cino Rinuccini (m. 1407),

Cfr. V. Rossi, Il Quattrocento, Milano, F. Vallardi, pp. 43, 71-2.

« ÖncekiDevam »