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dosi nel Culto, la Religione vive immezzo alla società civile. Dire che la Religione deve tutta raccogliersi in sè stessa e vivere unicamente della sua vita spirituale, che non deve avere altra cura se non quella di governare le anime e di indirizzarle nella vita della loro eterna salute e che tutto il mondo pratico deve restarle estraneo, è un puro giuoco di parole. Ogni Religione, a qualunque segno di misticità essa aspiri, o sia pervenuta, essa si esercita sulla terra, regola la coscienza, vive non solamente nella coscienza umana individualmente presa, ma nella coscienza sociale, dà una speciale direzione a tutti gli elementi della coltura di un Popolo. Laonde la Religione nel seno di ciascuna società civile s'incontra ad ogni passo con le istituzioni civili e politiche; e, secondo le speciali condizioni storiche, alle volte le assorbisce nella sua cerchia, altre volte ne rimane assorbita, ma sempre s'incontra con le manifestazioni della vita dello Stato, e vi dispiega una maggiore o minore influenza, ma sempre vi esercita la sua efficacia. I Ministri del culto, i credenti, i templi, le scuole e le associazioni pie, sotto qualsiasi nome si presentano, non vivono certamente fuori le leggi civili, essi svolgono la loro azione nell'ambito della Legislazione dello Stato, risentono l'azione delle leggi e dei varii Poteri pubblici, ed in un modo indiretto spiegano la loro efficacia all'ombra delle dottrine professate nella Legislazione e nel funzionamento dell'organismo politico di una società.

La Religione col suo Culto acquista un corpo nella Chiesa. Quindi tante Chiese per quante Religioni, tante Chiese per quante fisonomie speciali prende una medesima Religione immezzo alle differenti popolazioni. Ed ecco tante Chiese diversamente organizzate, che s'incontrano con le istituzioni civili e politiche del Popolo, immezzo a cui sorgono. Ed ecco come alla idea semplice e generica del culto si connettono le idee dell'organizzazione gerarchica e disciplinare di ciascuna Chiesa.

Ecco il Diritto occuparsi della Religione e del Culto, in questo momento, nel punto cioè in cui le varie Chiese organizzate in un modo o nell' altro esercitano in un grado o nell' altro la loro influenza nella società e nell'incontro con le istituzioni civili e politiche dello Stato.

CAPITOLO SECONDO

IL CRISTIANESIMO E LA SUA INFLUENZA NELLA SOCIETÀ

E NELLA LEGISLAZIONE ROMANA

BIBLIOGRAFIA

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SOMMARIO

1. Il concetto giuridico della Personalità umana nei periodi anteriori alla civiltà cristiana-2.° Il Cristianesimo e la sua progressiva espansione nella Società-3. Il Cristianesimo e l'Impero nei reciproci loro rapporti -4. Il concetto giuridico della Personalità umana nella dottrina enunciata dal Cristianesimo -5.° La Legislazione romana modificata sotto l'influenza del Cristiane simo nei varii rapporti della vita civile.

1.° Il concetto giuridico della Personalità umana nei periodi anteriori alla Civiltà cristiana.

La specie umana essendo per sua caratteristica dotata di intellezione non può vivere senza Diritto; l'uomo, essendo un organismo pensante, ha il dovere di conformarsi al diritto e di obbedire ai dettati del medesimo; l'uomo è il subbietto naturale del Diritto; per l'uomo è un dovere sottostare alle norme del Diritto, perchè, svolgendosi nella sfera dalle medesime tracciata, può raggiungere la sua destinazione e coesistere cogli altri uomini.

Nè d'altra parte può venire mai tratto fuori di quest'orbita, in cui si è trovato appena concepito, perchè, dovendo conseguire il Bene mediante il libero sviluppo delle sue facoltà, si affida a questa forza suprema, che ha la nobile missione di garantirlo in ogni passo, ch'egli muova. Similmente il Diritto, non potendo spiegare la sua efficacia che sugli esseri ragionevoli, sugli esseri capaci di acquistare la intellezione di un fatto, non può avere altro subbietto che l'uomo. L'Umanità ed il Diritto nascono dunque ad un parto, e procedono di pari passo.

Il Diritto, in quanto è opera sensibile informata da intellezione morale, conforme al comando della legge universale, è eterno, immutabile e sempre identico a sè stesso.

In quanto poi deve proporzionarsi al grado di mentalità dell'uomo, il Diritto, come concetto della legge universale, si proporziona al grado di civiltà di un dato popolo, ed ha in tal modo alcun che di mutevole, come ogni altro essere esistente, come l'uomo istesso; laonde la prima apparizione del Diritto doveva essere conforme al primo grado di sviluppo dell'umana ragione. Ebbene l'uomo nel passare dallo stato assolutamente animalesco alla prima forma di umana convivenza, dalla forma trogloditica alla condizione preistorica, si trovò necessariamente assorbito dalla famiglia, e questa dallo Stato, e lo Stato dall' Imperatore, e l'Imperatore dalla tradizione religiosa, che si porge come Fato esclusivo, unilaterale, indiscutibile. In questo universale assorbimento, dove non è possibile qualsiasi forma di spontaneità individuale, dove non è possibile la libertà, perchè campeggia l'esclusivo dominio del Fato, è pure impossibile lo sviluppo della ragione scientifica e qualsiasi coscienza del me.

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Dinanzi allo spettacolo di una natura grandiosa e molle, la quale provvede largamente ai bisogni dell' esistenza, con poco bisogno dell'operosità dell'uomo, l'individuo, nelle vastità continentali dell'Asia, nelle valli immense bagnate dal Gange e dall' Indo, rimane assorbito dalla natura esteriore e dall'immensità delle cose che lo circondano; e, vinto dal senso della sua debolezza, nel <gran mare dell' essere si rassegna alla immutabilità del suo destino, si abbandona passivamente alla inerzia di una vita molle e contemplativa (1). Quindi le Religioni panteistiche, l'abilità sacerdotale, che giustifica la Casta, non la Scienza del Diritto, che vive di esame e d'investigazione; quindi il ritmo, non l'Arte, che vive di spontaneità; quindi la narrazione, non la Storia, che si poggia sulla critica ragionata intorno agli uomini ed agli avvenimenti dai medesimi compiuti, quindi la tradizione immutabile, non davvero il Diritto, come prodotto della personalità cosciente di sè, come effetto della lotta. I moderni Filologi ordinano tutte le Genti orientali a tre stirpi diverse: l'Ariana, la Mongolica e la Semitica, delle quali la prima contiene il popolo indiano e l'iramico. Ma in tanta diversità di popoli vi è un carattere comune, che è il distintivo della personalità orientale: tutto il suo sviluppo è nella facoltà del senso, la sua vita è quella della intuizione sensibile.

Nel mondo orientale non vi è che un subbietto solo, come sostanza a cui appartiene il tutto, in cui è sepolta essenzialmente la libertà subbiettiva, a cui appartengono tutte le ricchezze della fantasia e della natura; laonde nessun altro subbietto può separarsi da questa sostanza unica e riflettersi nella sua libertà subbiettiva. Solo il Giudaismo per la concezione che ha dell' Assoluto pare voglia rompere questa identità del carattere orientale; qui pare che si palesino i prodromi del sentimento della subbiettività, quindi della libertà e della responsabilità. Solo nel Manicheismo dei Persi spunta il concetto della lotta. Però la personalità individuale non può affermarsi nè nel Giudaismo, in cui l'individuo rimane assorbito nell'ambito sacro, esclusivo, intangibile del popolo eletto, nè fra i popoli di razza iranica, in cui la lotta tra il Bene ed il Male riguarda meno l'uomo, che la Divinità. Lo spirito umano, sviluppandosi dunque secondo il grado interiore delle facoltà e le circostanze esteriori, segna nell'Oriente il suo primo momento; ed in questo

(1) Max-Müller: Saggio sul Veda e sul Zend — Avesta.

primo momento dello sviluppo dello spirito, che si manifesta come molecola dell'unica sostanza e non come valore per se, nè come autodeterminazione, si manifesta il primo concetto della legge, che si esplica innanzi all'intelletto orientale e viene da questo inconsciamente appresa.

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Nella Persia, nella Palestina, nell'Egitto pare che s' inizii il primo moto della storia, attraverso le vicende delle migrazioni, delle guerre, delle conquiste e dei traffici; imperocchè si scorge l'uomo acquistare a poco a poco coscienza di sè, come ente distinto dal mondo esteriore e da Dio, come forza che possiede sè stessa, e intende e vuole e può. Nel Manicheismo dei Persi si desta il concetto della creazione per atto di Dio supremo intelletto e volontà separato dalla sua fattura e non più informatore fatale degli umani destini, ma istitutore dell' uomo, fatto ad imagine sua, cioè intelligente e dotato di libero arbitrio. Nel Mosaismo riluce l'idea di una missione affidata al popolo ebraico, per comando di Teora, del solo Iddio vero pei figli d'Israele; nel mondo mosaico, con questo vario atteggiamento dello spirito umano innanzi al duplice mistero del mondo fisico e della Divinità, incominciano i primi rudimenti di una Morale affermantesi sul concetto dell'umana responsabilità. Sono sprazzi di luce, immezzo ai quali la personalità umana non resta illuminata. Per contrario l'Assoluto dominante la sfera del Diritto e dello Stato nel mondo orientale mena alla Monarchia dispotica e ad un sistema negativo della Personalità individuale. Lo stesso Despota orientale non ha che un dominio sovranamente servile. Usciamo dall' Oriente, da questo mondo, in cui il creato si confonde coll' increato, il tutto assorbe le parti, da questo mondo della fatale necessità, in cui Iddio stesso non è libero nei suoi vincoli alla tradizione; entriamo nel mondo greco, che trasporta nella coscienza interiore, nella riflessione subbiettiva le idee del divino, riduce la religione a forma del suo pensiero e della sua arte. Il dominio dell' Assoluto nella storia caratterizza l'Oriente; la coscienza della propria subbiettività domina il mondo greco.

Lo spirito umano continua a svilupparsi; ed in questo successivo e secondo momento di sua manifestazione riflette con coscienza la Legge, la quale, appresa dallo spirito libero e cosciente di sè, rivelasi come idea riflessa del Giusto e segna anch'essa un secondo momento di sua esplicazione. Per arrivare a questo secondo stadio bisogna camminare verso le prode del Mediterraneo, verso i lidi della Fenicia e dell' Asia Minore, fermarsi sulle acque dell' Egeo,

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