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del Ionio e del Tirreno, sulle spiagge italiche, lungo le coste della Grecia, dell' Africa, nella Penisola iberica.

È questo il periodo comunemente riconosciuto come il periodo greco; e questo passaggio non avviene, che superandosi una lotta, a quella guisa che il passaggio dell'uomo dallo stato trogloditico allo stato preistorico era avvenuto a costo di un grande cataclisma nell'ordine della Natura. Questo secondo periodo segnò un gran passo nella vita dell' Umanità; fu tutto un ciclo di storia, che si chiuse, a cui era già sottentrato un altro cielo; fu tutta una maniera speciale di concepire la Scienza, la Morale ed il Diritto, che s'innalzarono su quelle ruine; apparve maestoso e gigantesco un nuovo mondo, pieno di vigoria e di forze giovanili. Lo spirito orientale si esplica nella intuizione del sensibile; lo spirito greco si esplica nella forza della fantasia e della ragione. Lo spirito orientale concepisce sè e l'universo come forze animatrici dell' Assoluto; lo spirito greco trasporta l'idea del divino nello spirito umano e la identifica col medesimo, non intuisce sè e l'universo nell' Assoluto; ma cerca assimilarsi l'Assoluto istesso. Lo spirito orientale non sente la libertà del suo essere, lo spirito greco avverte la propria individualità; lo spirito orientale produce l'uno e l'identico nel moto e nell'esplicamento della vita e si adagia sulla Monarchia dispotica e sacerdotale; lo spirito greco si svolge nel vario e nel diverso e si dibatte nella moltiplicitá di piccole Repubbliche esuberanti di vita. E qui l'animo nostro si rinfranca mirando gli avventurosi navigli dei coloni Punici e Pelasgici ed il vario agitarsi delle tribù greco-italiche negli slanci di una vita operosa e mobile, come la mobilità delle onde, che si frangono sulle limpide spiagge delle fantastiche loro dimore.

In Oriente, egli è vero, troviamo nel contrasto tra Ormuzd ed Arimane il primo germe della lotta della vita, ma è lotta intuitiva; la Grecia trasporta questa lotta dal Cielo in terra, da intuitiva la fa riflessiva, da religiosa la rende mista col profano, da divina la rende semi-umana; è un passo, non un salto, ma pure è un movimento importantissimo, che ci mena in una fase storica di altro genere, dove tra le piraterie, le peregrinazioni, gli scontri ostili ed i consorzii spontanei dei vetusti emigranti c'imbattiamo in Prometeo, che in sè personifica la prima ragione ribelle al Fato.

Passare dalla Commedia tra Ormuzd ed Arimane, rappresentazione tutto fantastica e simbolica, alla Tragedia agitatasi tra Socrate ed i Sacerdoti, rappresentazione reale, esistente, concretizzan

tesi nella tazza funebre della cicuta, non è certo un progresso di poco conto; è la intera civiltà trasformata, è una vita nuova, è un ambiente, in cui l'individualità umana si scioglie dai legami delle Teocrazie e degli Imperi asiatici, scruta i misteri della vita e sente sè stessa.

Però accanto alla ragione troviamo ancora il Fato, che la soverchia, accanto alla libertà troviamo la tirannide, perchè questa è possibile, anzi inevitabile dove la libertà è nel suo periodo ancora incipiente. Lo spirito umano nel suo primo ridestarsi dal profondo letargo, in cui era rimasto assorto nell'Oriente, rapito dallo splendore dell' universo e quasi dimentico di sè stesso si emancipa dalle forme della vita imposte direttamente da Dio e si affatica a crearne delle nuove, pure secondo un divino esemplare, secondo un ordine ideale ed oggettivo. Perciò l' uomo nella Grecia stessa non ha coscienza di sè altrimenti, che come parte del tutto, quindi non sente di possedere volere proprio, nè una coscienza distinta da quella dello Stato e del popolo da esso personificato; la libertà sussiste soltanto nel Demos, ma l'io non è ancora libero; nell'ordine ideologico vi è il Fato, nel sistema pratico vi è lo Stato, che assorbe l'individuo, e lo ha come puro strumento, cui è lecito gittare impunemente dal Taigeto, quando dalle forme ancora tenere del bambino non si vede in esso un difensore della Patria. La Grecia nello sviluppo della sua mentalità raggiunse l'apogeo in due grandi manifestazioni dello spirito: l' Arte e la Filosofia. E che fece nel campo giuridico? Lo sviluppo della fantasia e della intelligenza produsse lo sviluppo della Morale e del Diritto; ma queste produzioni dello spirito non si manifestarono gigantesche nol mondo pratico, sibbene nel mondo della idealità, imperocchè la Morale ed il Diritto furono concepiti nella loro ragione pura, come corollarii dei sistemi filosofici, come risultati dei voti arditi di una vergine fantasia, come effetto del primo sviluppo della riflessione, che cammina a passi giganteschi. E qui si compie il ciclo della Civiltà greca, questa è la gloria tramandatà alla posterita; questa è la causa, per cui il mondo greco vive e vivrà immortale perchè ha impresso queste orme indelebili nella storia della Umanità.

Se non che la concezione dell'idea della giustizia in Grecia non pervenne sino al punto da condannare la schiavitù; anzi la barbara istituzione la si trova giustificata.

Platone diceva: «Se un cittadino uccide il suo schiavo, la legge dichiara l'uccisore esente da pena, purchè si purifichi con espia

zioni; ma, se uno schiavo uccide il suo padrone, gli si fanno soffrire tutti i trattamenti che si stimano opportuni, purchè non gli si lasci la vita » (1).

Ed Aristotile formolava il seguente ragionamento: «Vi ha poca differenza nei servigi che l'uomo trae dallo schiavo e dall' animale, La natura lo vuole, poichè essa fa i corpi degli uomini liberi differenti da quelli degli schiavi, dando agli uni la forza che conviene alla loro destinazione, e agli altri una statura diritta ed elevata. È dunque evidente che gli uni sono naturalmente liberi e gli altri naturalmente schiavi, e che, per questi ultimi, la schiavitù è tanto utile quanto è giusta » (2).

Nelle relazioni tra i Popoli, la razza costituisce una barriera; un modo bisogna tenere nel trattamento dei Greci, un modo diverso nel trattamento dei Barbari. L'idea della Umanità non si rappresenta in Grecia come principio informatore delle relazioni fra i popoli, tra cui vi è qualcuno destinato a comandare, ed altri destinati a restare sottoposti. Ragionamento identico a quello fatto per la giustificazione della schiavitù (3).

Il Diritto non dev'essere considerato solo nella sua forma ideale, sibbene nella realtà della vita, non solamente nei principii della ragion pura, ma ancora nei risultamenti della pratica, perchè la vita dell' uomo e della società trae le sue norme dalla ragione, s'ispira nel Bello, rintraccia il Vero, ma non si svolge che nel concreto; e la missione del Diritto è appunto quella di guidare l'uomo e la società attraverso gli ostacoli e le contingenze della vita, in cui si dibattono ad un tempo i più nobili ed i più volgari interessi. Il Diritto è la norma suprema, che regola l'attività umana, perciò il teatro di sua apparizione è il campo vastissimo dell'operare dell'uomo ; esso si manifesta nell'esplicamento delle umane facoltà.

Ora questo esplicamento delle nostre facoltà al di fuori non è altro, che il movimento, che emana dalla nostra interna energia, movimento che si concretizza nel mondo esteriore in mezzo alle forze circostanti. Ecco appunto dove sta la vita del Diritto; dell'uomo è proprio l'agere, del Diritto il ducere; e l'attività del Diritto è l'attività stessa dell'uomo, a quella guisa che il Ducere

(1) Platone: Delle Leggi. Lib. 9.

(2) Aristotele: Della Politica. Lib. I. cap. v. ff 14, 15.

(3) Contuzzi: Istituzioni di Diritto Internazionale Vol. I. Lib. II. Cap. II. CONTUZZI Istituzioni di Diritto Canonico.

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e l'Agere si scambiano pure nel loro significato filologico. Cosi infatti il campo dell'attività dell'uomo è segnato dalle molteplici e svariate attitudini sue; la religione, la morale, la scienza, l'arte e l'industria. Ebbene il Diritto a ciascuna di queste direzioni svariate dell'attività umana prepara le condizioni esteriori in modo, che possano liberamente coesistere ed armonicamente svilupparsi; ed è così che il Diritto, uno in sè, diviene diritto della religione, diritto della educazione, diritto della scienza, diritto dell'arte, diritto dell' industria. Ecco il tipo legislativo dei popoli civili, dei popoli veramente storici, in cui la legge universale si esplica nello spirito non come mentalità esclusiva soltanto, ma ancora come ragiona pratica.

Ed a compiere questa missione non compresa dalla Grecia venne un nuovo mondo, un nuovo popolo, il mondo latino, il popolo di Roma, che riuni le sparse genti della terra allora conosciute nella unità delle leggi, della lingua e del nome romano: « numine Deum electa, quae... sparsa congregaret imperia, ritusque molliret, et tot populorum discordes ferasque linguas, sermonis commercio contraheret: colloquia et humanitatem homini daret: breviterque, una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret» (1). E questo terzo e successivo momento nel progressivo sviluppo della vita dell'Umanità non è possibile senza una lotta. La lotta venne, e fu una lotta tra la civilta greca e la latina, lotta, che si decise non appena fu esaurita la vitalità dello spirito greco. Quando quel principio di diversità e di differenza, che si era appalesato nel popolo ellenico fin dalle sue origini, si sviluppò completamente nei principii di libertà compatibile coi tempi e giunse al massimo grado di svolgimento, si toccò l'esagerazione; e la conseguenza ultima fu, che s' incominciarono a spegnere i due centri di civiltà: Sparta ed Atene, Atene cadde vinta nella battaglia di Cronone, perchè, insofferente del giogo macedone, voleva tenersi indipendente; Sparta, alla sua volta, insofferente dell'altrui potenza, rimase sconfitta nella battaglia di Sellasia dalla Lega achea unita alle forze macedoni. In mezzo ad una guerra civile così violenta e disperata venne chiamata ad un tempo dagli Etoli e dagli Achei una Potenza straniera, vigorosa e sitibonda di gloria e avida di conquista, che trovandosi di fronte alla Potenza macedone l'assali e la vinse ed incatenò la Grecia al suo carro trionfale, rendendola una sua Provincia.

(1) Plin.: Hist. Nat. L. III. c. 6.

Questa fu la Potenza romana. Passando dalla Grecia a Roma, continua il progresso dello spirito umano verso un superiore grado di sviluppo, nel quale più scolpitamente si afferma la coscienza dell'io e della libertà ed insieme l'energia dell'attività; di modo che lo spirito umano avanzandosi con la maggiore forza ed efficacia possibile verso il concreto ed il reale compone la Storia più grande del mondo. Però è vero che la coscienza individuale si sviluppa in Roma più che nella Grecia, ma, rimanendo anche in Roma pressochè identici i concetti fondamentali della società, l'individuo si trova subordinato al fine dell'esistenza della società medesima; qui vi è il civis, non l'homo, il cittadino, non l'uomo. La capacità civile dell'uomo libero è inseparabile dalla sua qualità di cittadino.

La libertà, il diritto esistevano come privilegio di città, di classe, non come principii connaturati, nell' intelletto dei tempi, all'assenza stessa delle umane facoltà. Ma, d'altra parte, il progresso dalla Grecia a Roma si scorge di leggieri esaminando la trasformazione, che ha subito l'indole della lotta nella vita; non più lotta tra individuo e divinità, ma tra classe e classe; non più lotta semi-umana, semi-divina, come vuolsi appellare, ma lotta esclusivamente umana, lotta per ottenere la promiscuità dei connubii fra l'un ceto e l'altro, lotta per conseguire la parità dei diritti politici e della competenza agli uffici ed agli onori della comune cittadinanza, in nome della comune natura umana; non più lotta tra Socrate ed i Sacerdoti, ma tra Mario e Silla, non più il jus civile abstractum, ma l' aequitas praetoria. La Storia, che è movimento, però non movimento, che ripetesi, come la storia naturale', ma movimento progressivo, conforme all' indole dello spirito umano, la Storia procede necessariamente per antitesi, e la civiltà di un popolo, in un dato momento storico, si rivela ap. punto nella natura delle antitesi. Ed una antitesi grandiosa è tutta la vita politico-giuridica di Roma. Il mondo romano è uno sforzo continuato per conseguire il carattere umano; però non giunge, che a proclamare la egualità civile. Il mondo romano non rappresenta dunque il cittadino, perchè il cittadino trionfa in Grecia, dove Socrate beve la cicuta, pronunziando quelle parole sublimi, che caratterizzano l'antitesi della vita greca: « Dum patriae legibus obsequimur ». Il mondo romano segna il punto di transito tra il civismo greco, che segna il puro genere, astratto, la pura identità e l'astratto cittadino, e l'individualismo del Medio Evo, che segna il puro ente, la pura differenza, l'astratto individuo.

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