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unica in vigore quella, che annullava le manomissioni fatte in frode. dei creditori, per questa legislazione medesima, essendo stata abolita la latinità, si può asserire: che nel Gius Nuovo ogni manomissione conferisce al servo, insieme libertà e cittadinanza (1).

A Roma, così come in Grecia, era in uso la estradizione dello schiavo. Antonino fè un regolamento a riguardo degli asili tra il padrone e lo schiavo, simile a quello degli Ateniesi. Egli ordinò che un giudice esaminerebbe le lagnanze dello schiavo rifugiato e che, se il padrone realmente avesse abusato della sua autorità, lo schiavo sarebbe venduto ad un prezzo convenevole. Potendo sempre gli schiavi fuggitivi essere reclamati dai rispettivi padroni, gli Edili ponevano in guardia i compratori contro un reclamo posteriore. I mercanti, che conducevano gli schiavi a vendere sui mercati di Roma, dovevano porre sulla fronte di ciascuno schiavo una iscrizione, che faceva un cenno delle sue malattie, dei suoi difetti e se egli fosse fuggitivo e andasse vagando; vi erano inoltre i fugitivarii, individui, cioè, il cui mestiere era quello di ricuperare gli schiavi fuggitivi pei rispettivi padroni.

La estradizione degli schiavi rifugiati nelle Chiese fu regolata da Giustiniano in senso più liberale che non avesse fatto Antonino per quelli rifugiati nei templi pagani. Nella Carta conceduta a Santa Sofia si leggono le seguenti parole: « Se il padrone ha resa la fuga dello schiavo necessaria privandolo delle vesti e del nutrimento, lo schiavo sarà libero. Se lo schiavo è fuggito senza ragione, esso sarà restituito al suo padrone. » Nei primi tempi dell' Impero cristiano, la santità del ministero ecclesiastico. conferiva la inviolabilità allo schiavo, quindi lo rendeva libero. Giustiniano prescrisse che nessuno schiavo potesse entrare negli ordini sacri senza il consenso del suo padrone e che quello schiavo, ohe vi contravvenisse, si potesse reclamare durante l'anno. La Chiesa cercava mitigare quant'era possibile la sorte degli schiavi. S. Basilio, nei suoi consigli morali, ricordava l'esempio di S. Paolo, che, dopo avere convertito Onesimo, lo aveva rinviato al suo padrone Philemone ed aggiungeva: « Ogni schiavo, che si sarà sottratto al giogo e rifugiato in una associazione religiosa, dovrà essere ammonito, emendato e rinviato al suo padrone ». Sotto Costantino, il Concilio di Cangra condannò lo zelo di un ministro

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(1) Iust, ff. 3, qui et a quib., I. 6: Cod. Tit. de deditia libertate tollenda, VII, 5; Tit. de latina libertate tollenda.» VII. 6.

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cristiano, che nelle sue predicazioni aveva indotto gli schiavi a lasciare i loro padroni. Al sesto secolo del Cristianesimo, il Papa, S. Gregorio Magno, riferisce nelle sue lettere che gli schiavi si rifugiavano nelle Chiese o nei Monasteri per iscampare dalla collera dei loro padroni. Gregorio ordina che questi schiavi non restino negli asili e che l'autorità ecclesiastica intervenga come mediatrice. Se gli schiavi hanno giusti motivi a lagnanze, essi usciranno dalla Chiesa cum congrua ordinatione; se essi hanno commessa una mancanza leggiera, il padrone giurerà di perdonare loro ed allora essi gli saranno rimessi. Queste tradizioni saranno confermate nel Basso Impero al secolo XI. Secondo le Ordinanze di Costantino Porfirogenete, lo schiavo rifugiato era sottomesso ad una inchiesta, in cui il padrone compariva, e lo schiavo era a quest' ultimo restituito se la sua fuga non fosse giustificata da gravi circostanze » (1).

La schiavitù rimase ancora sino al Periodo feudale; ma la coscienza pubblica dell'umanità informata ai principii del Cristianesimo l'aveva condannata.

La Religione ebbe la sua influenza sulla capacità civile della Personalità fisica.

Prima del Cristianesimo tale argomento non erasi presentato dinanzi alla mente del Legislatore romano.

Nelle Pandette non trovasi veruna disposizione sulla religione come causa limitatrice della capacità giuridica. Sotto i primi Imperatori, la judaica superstitio (locuzione con cui sul principio indicavasi la varietà delle credenze religiose ed anche la fede cristiana) privava del godimento dei diritti civili (2). Ma i Cristiani, coll'andare del tempo, quando presero ad attirare su di loro l'attenzione dell'Imperatore, furono fatti segno a fiere persecuzioni, come quelli, che professavano una religione non ammessa da nessuno Stato straniero. Ma una legislazione limitatrice della capacità giuridica della personalità fisica incominciò a formarsi, quando il Cristianesimo venne riconosciuto come Religione ufficiale. Si distinsero i Cristiani (fideles) dai non Cristiani (infideles); e gl'infideles si distinsero in pagani, giudei, apostati ed eretici.

1) I pagani erano i seguaci dell'antica religione latina; essi

(1) Biot: De l'abolition de l'esclavage ancien p. 71, 142 e 212. Bernard: De l'extradition. Part I. Ch. V.

(2) Fr. 3. 2. 3. Dig. de decur.; L. 2; fr. 11 pr. Dig. ad Legem Corneliam XLVIII, 8.

vennero trattati diversamente secondo le varie vicende dell' Impero; e talora furono financo protetti contro le violenze di quanti seguissero una religione diversa (1).

2) I giudei avevano in principio gli stessi diritti dei cristiani (2); ma essi erano esclusi dai pubblici uffizii (3); non erano ammessi a deporre in giudizio contro i cristiani (4); non potevano contrarre matrimonio coi cristiani; un tale matrimonio era considerato come adulterio (5).

3) Gli apostati erano coloro, che prima avevano seguito il Cristianesimo e poscia avevano abbracciata una religione diversa ; essi non potevano testare, nè acquistare per testamento, nè donare (6).

4) Gli eretici erano quelli, che seguivano un errore condannato dalla Chiesa cristiana di Roma; erano gli anabatisti, i donatisti, i manichei; e tutti erano considerati incapaci a fare testamento e ad acquistare una eredità. I manichei ed i donatisti poi erano in peggiore condizione, essendo dichiarati incapaci a fare qualunque contratto (7).

B. Il matrimonio.

Le Leggi Romane avevano sempre determinato i cittadini al matrimonio (8). Oltre allo studio postovi a questo scopo dalle Leggi, i Censori, custodi dei pubblici costumi, vi cooperavano potentemente (9). La corruttela dei costumi annientò il vigore delle leggi, rese superflua la Censura; verso gli ultimi tempi della Repubblica si sentiva un generale disgusto pel matrimonio; e la tendenza sociale era pel celibato (10). Questa tendenza da una parte e dall'altro canto

(1) Cost. 6, Cod. de paganis. I. 11. (2) Cost. 8, Cod. de paganis. I. 11. (3) Cost. 19, Cod. de judaeis. I. 9.

(4) Cost. 21, Cod. de haeret., I. 5.

(5) Cost. 6, Cod. de judaeis:, I. 9.

(6) Cost. 2, 3, 4. Cod. de apostat., I. 7.

(7) Cod. Iust. de haeret:, I, 5. Cod. Theod. de haeret., XVI. 5.

(8) Dione, riferisce la concione di Augusto. Lib. LVI-Dionigi d'Alicamasso: Libro II.

(9) Tit. Liv. Lib XLV; lib. LIV. Aulo Gellio: Lib. I Cap. VI. Valerio Massimo: Lib. II Cap. XIX. Leggasi la concione tenuta al Popolo dal Censore Metello Numidico in Aulo Gellio: Lib. I Cap. VI.

(10) Plauto (Miles Gloriosus, atto III, sc. I, V e seg.) fa l'elogio del celibato; Petronio (Satyricon c. 16) parla del disprezzo di coloro che allevano una famiglia elogiandosi i celibi senza eredi.

le guerre continue, le lotte civili e le proscrizioni avevano scemato di molto la popolazione. E ben presto si pensò a rinnovarne la propagazione, incoraggiando il matrimonio. Ciò venne tentato primieramente da Cesare e poscia da Augusto; essi rimisero in piedi la Censura, e vollero eziandio essere Censori, e si diedero ad emanare leggi in proposito (1). Celebri sono rimaste le leggi di Augusto (2). Le Leggi Giulia e Papia Poppea furono propriamente un corpo sistematico di regolamenti, che meglio si potessero fare sulla materia, con lo scopo principale di onorare e di favorire il matrimonio (3). E, per conseguire l'intento, avevano tentato di prendere i Romani per l'elemenoo più pregiato allora nelle relazioni sociali, l'interesse economico; ecco perchè non furono mai popolari; esse facevano intervenire il Fisco nei rapporti di famiglia (4). E quindi si contraevano i matrimonii, come a scopo di lucro e di traffico; si desideravano i figliuoli non per avere degli eredi, ma per prendere delle eredità (5). Il matrimonio era in tal modo materializzato, e in tale posizione fu trovato dal Cristianesimo, che cercò purificarlo al fuoco della grazia mercè l'assistenza dello spirito divino, facendolo un legame libero ed elevandolo al cielo mercè la dignità del sacramento (6).

(1) Dione: Lib. XLIII Xifil. in August. Cesare promise i premi a coloro, che aveano parecchi figliuoli (Dione: Lib XLIII-Svetonio: Vita di Cesare. Cap. XX. Appiano: Lib. II della Guerra Civile); le donne al di sotto di 45 anni, senza marito e figliuoli, non potevano, portare gioielli nè usare la lettiga (Eusebio nella Cronica).

(2) Le leggi di Augusto furono più rigorose di quelle di Cesare (Dione: Lib. XIV); nell' anno 736 di Roma fece leggi che aumentarono le pene pei celibi ed i premi per gli ammogliati e per quelli che avessero figliuoli. Sono le leggi, che vengono appellate Giulie (Isilias Rogationes) da Tacito (Annali, Lib. III). Dopo 34 anni fu chiesta dai cittadini la rivocazione dalla legge di Augusto.

(3) Le leggi Giulia e Papia Poppea furono così dette dal nome dei Consoli di una parte di quell'anno (Marcus Papius Mutilus et Q. Poppaeus Sabinus), che nemmeno erano ammogliati Dione: Lib. LVI). La legge Giulia precedette la Papia Poppea ed anzi venne fusa in essa. Il titolo 4 dei frammenti di Ulpiano distingue la legge Giulia dalla Papia. Se ne trovano i pezzi sparsi nei frammenti di Ulpiano. Gotofredo ne ha fatto una compilazione; si riscontrano i varii brani nelle Leggi del Digesto tratte dagli Autori, che hanno scritto sulle leggi Papie, negli storici, che le hanno citate; nel Codice Teodosiano, che le ha annullate, nei padri della Chiesa che le hanno censurate. Dei varii capi di esse Leggi sono noti soltanto 35; il 35° è appunto citato nella Legge XIX, ff. De ritu nuptiarum. Il 7°, secondo Aulo Gellio, è quello che riguarda gli onori e le ricompense al matrimonio. L'uomo ammogliato gode maggiori prerogative sul celibe; maggiori ne ha l' ammogliato con figliuoli, maggiori chi ha maggior numero di figli.

(4) Tacito: Annali, Lib. III, 28.

(5) Plutarco: Opere morali. Dell' amore dei padri verso i figliuoli. Giovenale: Satir. IX. vers. 82- Montesquieu: Esprit des lois. Vol. 3°, lib. XXIII, Cap. XXI. (6) S. Matteo XIX, 11. Tutti non son capaci di questa risoluzione (da maritarsi), ma solo quelli a cui è dato dall'alto.

Le Leggi di Augusto si erano rese troppo pesanti nelle loro conseguenze; e gl' Imperatori posteriori presero a modificarle.

Primo fu Tiberio che cominciò a ritoccarle (1). Nerone scemò premi attribuiti ai delatori del Fisco per l'esecuzione delle medesime leggi (2). Traiano arrestò i loro ladronecci (3). Severo vi apportò un colpo gravissimo (4).

Le abrogazioni parziali delle Leggi Giulia e Papia Poppea erano un prelimininare necessario alla rigenerazione del matrimonio voluta dal Cristianesimo. A dir vero la continenza cristiana non ha per fine nè la vanitá, nè il solo desiderio di liberarsi dalle molestie della vita del secolo, ma il regno dei cieli. Praticamente questa reazione apportata dal Cristianesimo allo spirito informatore delle Leggi Giulia e Papia Poppea menava all' affermazione del principio della libertà del matrimonio. Da questo doppio punto di vista bisogna considerare lo spirito della nuova Legislazione imperiale romana sul matrimonio. Costantino da una parte volle rendere omaggio alle tendenze della novella società verso la vita ascetica (5); dall'altra parte restituiva alla sua libertà il vincolo coniugale (6). Temendo le blandizie tra marito e moglie, non aveva tolte di mezzo le leggi decimarie, le quali davano una estensione maggiore ai donativi, che il marito e la moglie potean farsi in proporzione del numero dei loro figliuoli (7). Ebbene, Teodosio il Giovane abrogò anche queste (8). Lo stesso Imperatore lasciò all' af

(1) Relatum de moderanda Papia Poppaea (Tacito: Annali. Lib. III p. 117). (2) Li ridusse alla quarta parte (Svetonio in Nerone. Cap. X).

(3) Plinio (Panegirico).

(4) Severo tirò indietro, sino ai 25 anni pei maschi ed a venti per le donne, il tempo delle disposizioni della Legge Papia (Cf. il frammento di Ulpiano, tit. 10, con quello che dice Tertulliano: Apologetico. Cap. IV.

(5) Dietro l'esempio di Cristo, rinunziavano molti primitivi ed ardenti cristiani al matrimonio, tanto per mortificazione dei sensi. Sotto Costantino, si formarono, in nome della novella Religione, le prime associazioni di solitarii consacratisi alla rinunzia dei piaceri mondani (Gibbon: Storia. T. VI, p. 469). E Costantino ammirava il disprezzo dai medesimi manifestato delle cose terrestri (Gotofredo sulla Legge I, C. Theod. de infirm. poen. coelib).

(6) Un Istorico Ecclesiastico ha scritto sulle Leggi di Augusto: «Siffatte Leggi erano state stabilite non altrimenti chè la moltiplicazione della specie umana potesse essere un effetto delle nostre cure, invece di vedere, che questo numero cresce e scema secondo l'ordine della Provvidenza (Sozomeno: 1st. Ecclesiast. lib. I c. 9. pag. 27). Si consultino: L. 1. C. Theod. de infirmand. poen. caelib., e C. Iust. eodem. tit.

B

Sulle leggi di Costantino uno storico scrisse: Le leggi vostre non sono state fatte che per correggere i vizii e per regolare i costumi; voi avete tolto di mezzo l'artifizio delle antiche leggi, le quali parea che altra mira non avessero, che tendere delle insidie ai semplici » (Nazario: Panegirico di Costantino, anno 327). (7) L. 1. C. Theod, de infirm. poen. coelib. Poth. Paud. T. II, p. 355.

(8) LL. 2 e 3. C. Theod. de jure liberorum.

CONTUZZI Istituzioni di Diritto Canonico.

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