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stantino (1). Teodosio il Giovane accettò la Costituzione in Oriente sotto condizione che i figliuoli naturali fossero considerati così come li avea considerati Valentiniano I.

Attraverso le citate mutazioni, è certo che i figliuoli naturali, egualmente che le rispettive madri, non vennero completamente diseredati dei doni e dei legati, che i proprii padri lasciavano loro (2). GI Imperatori Zenone nell'anno 476, Anastasio nell'anno 508 e Giustiniano nel 509 (3) confermarono con le loro Costituzioni, eccetto alcune modificazioni, l'editto di Costantino.

Giustiniano converti in un mezzo permanente, applicabile a tutti i concubinati avvenire, la legittimazione, cui Costantino aveva autorizzata soltanto come rimedio transitorio pei figliuoli già nati (4).

Egli ne ampliò posteriormente i casi e volle risolvere parecchi dubii sollevatisi (5). Egli fu spinto a queste riforme da due ragioni, In primo luogo vedeva che si sarebbe commessa una iniquità accordando i beneficii della legittimità ai figliuoli nati dopo un matrimonio, che fosse stato provocato appunto dall' affezione per i figliuoli preesistenti (6). Secondariamente, una volta seguite le nozze a quella primitiva unione puramente naturale, si supponeva implicitamente che l'affezione maritale fosse esistita sin da principio (7).

Giustiniano dichiarava in tal modo legittimi gli uni e gli altri: unum amborum fecimus ordinem (Nov. 89). Ma queste disposizioni, bisogna dirlo a scanso di equivoci, erano sempre per il concubinato in senso proprio, non già per ogni sorta di congiungimento illecito.

Ora diremo della successione dei figli naturali - Le Legislazioni antiche erano state rigorose a danno della prole naturale (S).

(1) Gotofredo, sulla legge I Cod. Theod. de nat. liber.

(2) L. 2 e 8. cod. Iust. de nat. liber. Nov. 8. c. 12 di Teodosio.

(3) L. 1. 5 e 6. Cod. de nat. liber.

(4) L. 7 c. de natur liber.

(5) Nov. 12, 18, 78, 89 ed il Tit. De Nuptiis delle Istituzioni.

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(6) Ca enim affectio prioris sobolis et ad dotalia instrumenta efficienda, et ad posteriorem filiorum edendam progeniem praestiterit occasionem: quomodo non est iniquissimum ipsam stirpem secundae posteritatis priorem quasi imustam excludere: cum gratius agere fratribus sais posteriores debeant, quorum beneficio ipsi sunt justi filii, et nomen et ordinem consecuti » L. 10. Cod. de natur, liber..

7 Neque enim verisimile est. cum qui postea vel donationem vel dotem conscripserit, ab initio talen adfectionem circa mulierem non habuisse, quae cam dignain esse uxoris no.aine faciebat» (L. 10 C. de nat liber).

(8) La Genesi lo dice: « Ejice ancillam et filium eius; non erit haeres filius ancillae cum filio libera» (Genes. cap. 21.) Egualmente per gli Ebrei si consulti il Libro dei Giudici, cap. XI, n. 1 e 2. In Atene, secondo la legge di Solone, erano

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Secondo il Diritto Romano, i figli naturali non avevano diritti nella successione dei proprii genitori. E per vero, a riguardo delle successioni testamentarie, fu solamente sotto gl'Imperatori cristiani, che si vide qualche misura di benevelenza (1). In forza della Novella 89 di Giustiniano, furono abilitati a ricevere soltanto un'oncia della eredità paterna, se il defunto avesse lasciato figliuoli legittimi. Per rapporto alla successione intestata, è certo che i figli naturali non avevano capacità di succedere al padre trapassato senza testamento, o che vi esistessero o che non vi esistessero figli legittimi, e questa incapacità si protrasse sino alle Costituzioni. imperiali anteriori a Giustiniano. E nemmeno succedevano ai parenti della famiglia paterna. Giustiniano volle che la capacità dei figli naturali fosse riconosciuta e limitata a ricevere due once della eredità paterna, cioè una sesta parte, che doveva essere ripartita anche a favore della madre loro, nei casi che il padre non lasciasse figli legittimi. Quando vi erano pure i figli legittimi, allora i figli naturali mantenevano l'assoluta incapacità, salvo a ricevere i soli alimenti (2).

A riguardo della successione materna, nell'antico Diritto Romano, come conseguenza logica dell'ordinamento della famiglia, nessun rapporto successorio reciproco vi esisteva tra la madre ed i figli, legittimi o naturali che questi fossero. Il Pretore non potè fare molto su questa materia (3); ma venne emanato dal Pretore, come grande misura di equità, l'Editto « Unde cognati; » e cosi la madre, annoverata tra i cognati, fu chiamata alla possessio bonorum dei figli; e nello stesso ordine cognatizio i figli furono chia

chiamati alla successione i discendenti legittimi ed i collaterali, non vi partecipavano i figli naturali (Demost: Orat. c. Macartatos, p. 524-Aristofane: Gli Uccelli, p. 74) Sotto Pericle venne fatta una legge sulla legittimazione dei figli naturali; si previde il caso del concorso dei figli naturali coi legittimi, ed il figlio legittimo ottenne la facoltà di fare le quote successorie da assegnare a suo arbitrio la quota al figlio naturale, benchè legittimato (Meursius: Themis Attica. III. c. 3).

(1). Lo stesso Giustiniano lo attesta: « Naturalium nomen Romanae legisiationi dudum non erat in studium, nec quaelibet circa hoc fuerat humanitas, sed tamquam alienigenum aliquid et omnino alienum a republica putabatur: Constantini vero piae memoriae temporibus in Constitutionum scriptum est libris. Deinde paulatim in mediocritatem clementemque sententiam Imperatores transeuntes, leges posuerunt alii quidem et dari et relinqui aliquid eis a patribus concedentes» (Nov. LXXXIX. in Praefat.) — E poco appresso. « Valenti siquidem et Valentiniano et Gratiano divae memoriae primis placuit humanum aliquid agere circa naturales » Nov. LXXXIX Cap. 12. È si sa che la loro legge è la prima del Cod. Teodosiano nel Tit. de natural. liberis.

2) Si quis autem habens filios legitimos, relinquat et naturales, ad intestato quidem nihil eis existere omnino volumus; pasci vero naturales a legitimis sancimus » Nov. LXXXIX. cap. 12.

(3. Nam Praetor haeredes facere non potest» (Gaio: 3, 22),

mati alla successione della madre. E, mancandovi nell'Editto la specificazione dei figli, tutti indistintamente, legittimi, naturali o vulgo quaesiti, furono compresi in qualunque caso nel numero dei cognati della madre e della famiglia materna. E ciò sino ad Atriano. Sotto questo Imperatore (anno 158), in forza del Senatoconsulto Tertilliano la madre fu chiamata alla successione dei figli premorti (1). Venti anni dopo, in forza del Senatoconsulto Orfiziano', i figli furono chiamati a succedere ab intestato alla madre, sotto gl'Imperatori Antonino e Commodo (anno 178) (2). In forza di questi Senatoconsulti, si ritenne che i figli naturali non succedessero punto al padre in alcuna parte dell'eredità, ma succedessero alla madre ed a tutti i parenti o cognati della famiglia materna, siccome questi alla loro volta jure cognationis potevano succedere al figlio naturale di una donna premorta della loro famiglia (3).

Giustiniano passa nella Storia come il più pio ed umano Legislatore dell' antichità verso le proli illegittime. Egli distinse i figli naturali prodotti dal concubinato dalla categoria dei figli spurii senza padre certo e dei vulgo quaesiti, quanto al loro concorso coi figli legittimi nelle successioni di madri ingenue ed illustri. Anche prima di Giustiniano la quistione erasi levata sulla cennata materia, ed i Giureconsulti nel risolverla dubitavano: « Si qua illustris mulier filium ex iusti nuptiis procreaverit, et alterum spurium habuerit, cui pater incertus sit; quemadmodum res maternae ad eos perveniant, sive tantummodo ad liberos justos, sive etiam ad spurios dubitabatur (4).

Giustiniano pertanto decise: « ut neque ex testamento, neque ab intestato, neque ex liberalitate inter vivos habita, justis, liberis existentibus, aliquid penitus, ab illustribus matribus ad spurios perveniat; cum in mulieribus ingenuis et illustribus nominari spurios satis injuriosum, satisque acerbum, et nostris temporibus indignum esse judicemus. Et hanc legem ipsi pudicitiae, quam semper colendam censemus, merito dedicamus » (5).

Leone il Filosofo aboli il concubinato in Oriente, e fino ai suoi

(1) L. 2. ff. ad SC. Tertyll. et Orphyt. Instit. Lib. III. t. 3. (2) L. 1. ff. ad SC. Tertyll. et Orphyt. Instit. Lib. III t. 4.

(3) Mancini : Quislioni di Diritto. T. I— Monografia V. (4. L. 6. Cod. ad SC. Orphyt.

(5) 1bidem.

tempi, il concubinato si conservò sempre in una grande estensione (1). La Novella 91 di Leone fu ricevuta dall' uso in Occideute. In Occidente il concubinato si mantenne e vi si abbandonò con trasporto anche il clero, benchè la Chiesa fosse stata sempre tenace e costante nel proibirlo (2). È nota l'energia spiegata all' uopo dal Papa Gregorio VII (3).

F. La celebrazione del matrimonio.

Il Cristianesimo enunciò il principio, che il matrimonio è nel sacramento (4). Il legame del sesso, fatto puramente naturale, il Cristianesimo lo consacra dinanzi al Cielo (5). È vero che appo i Popoli dell'antichità la religione era pure intervenuta nei matrimonii 6). Ma, come ben dice il Pothier, l'antica religione aveva prestato, non già imposto il suo intervento alle nozze (7). Se

(1) L. 5. C. ad SC. Orphit. Nov. 18. c. 5. Le Nov. di Leone, 8, 9, 90, 91. Nov. 91 Ut concubinam habere non liceat. Neque minus ea lex, quae probrose cum concubinis immisceri non erubescentibus id permittendum judicavit, honestatem habuit. Ne ergo hoc legislatoris erratum dedecore nostram rempublicam afficere sinamus. Itaque lex illa in aeternum sileto. Ab illa enim non modo religionis, verum etiam naturae injuria secundum divina, christianisque convenientia praecepta prohibemur. Et quidem si cum fonte habeas, sobrie inde haurire divino praecepto moneare; qua ratione, cum puras aquas haurire liceat, lutum tu mavis? Tum tametsi fontem non habeas, rebus tamen vetitis uti, non potes. Caeterum vite consortem invenire difficile non est ».

(2) Il Concilio di Toledo (anno 400, tollerava il concubinato. Il canone 17 é così formolato: Allorchè un cristiano ha per moglie una cristiana e mantiene inoltre una concubina, non lo si ammetterà alla comunione: ma, se non è ammogliato ed ha una sola concubina, lo si ammetterà » (Héfélé: Hist. des Conciles. T. II p. 257). (3) Voigt: Storia di Gregorio VII. traduz. del tedesco).

(4) Gesù Cristo ha voluto spandere, mercè questo sacramento, una benedizione abbondante sulla sorgente della nostra nascita, affinche coloro che si uniscono nello stato del matrimonio non pensino che ad avere dei figli, e meno ad averne che a darne a Dio di tali che rassomiglino al loro padre celeste. Il vincolo del matr monio rende le due persone inseparabili Lo spirito di Dio l'ha regolato così pel bene degli uomini, affin di reprimere l'incostanza e la confusione che turberebbero l'ordine delle famiglie e la stabilità necessaria per la educazione dei figliuoli » (Fenelon: Opere spirituali. cap. 1).

(5)

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La carne ha desiderii contrarii a quelli dello spirito S. Paolo: Ad Galath, V. 17).

His enim modus orationis debitus impeditur, nisi etiam ille actus nuptialis secreti, de quo maxime silere decet, et rarius et seditiore animo, ac minus impotenti fiat; cum is qui dicitur hic consensus discordiam enim affectuum evanidam reddat (Origene: De orat., T. I. p. 198, n. 2. versione latina).

(6) Tous les peuples ont fait intervenir le Ciel dans un contrat qui a une si grande influence sur le sort des époux, et qui liant l'avenir au présent, semble faire dépendre leur bonheur d'une suite d'événements incertains, dont le résultat se présente comme le fruit d'une benédiction particulière. C'est dans de telles occur rances que nos espérances et nos craintes ont toujours appelé les secours de la religion établie entre le ciel et la terre, pour combler l'espace immense qui les sépare Portalis: Esposizione dei motivi del Tit. V del Códice Napoleone).

(7) Pothier: Pand. T. II. p. 17.

condo il Cristianesimo, le unioni non contratte mediante il ministero ecclesiastico denno ritenersi occulte ed illecite; questo legame naturale dev'essere santificato dalla benedizione (1). Fu questo un principio, che entrò molto tardi nella Legislazione civile; la società aveva precedenti diversi. La sola cerimonia religiosa che i Romani avevano tenuta era stata la Confarreatio. Se non che la Confarreatio era stata propria dei soli Patrizii; i figliuoli nati da un matrimonio contratto con la Confarreatio avevano essi soli il diritto di aspirare alle cariche più elevate nelle dignità sacerdotali. Ma tale cerimonia andò col tempo in desuetudine. All' epoca di Gaio, la Conferratio adoperavasi soltanto nel matrimonio coi Pontefici e si faceva ad sacra tantum, cioè coll' esclusivo effetto di abilitare al sacerdozio i figli (patrimi et matrimi) di genitori confarreati.

Le forme civili erano la coemplio e l'usus, forme usate dalle classi popolane (2). La sostanza del matrimonio romano era sempre un contratto d'istituzione civile: « Principium urbis et quasi seminarium reipublicae » (3). Ed ecco perchè il novello principio enunciato dal Cristianesimo non richiamò l'attenzione del legislatore civile se non con Giustiniano. Nell'epoca precedente, sotto gli stessi Imperatori cristiani, la celebrazione religiosa, cioè la benedizione ecclesiastica dei matrimonii si era praticata piuttosto come una pia costumanza che come precetto rigoroso della Chiesa, nei suoi primi secoli. Gl'Imperatori Teodosio e Valentiniano avevano solennemente dichiarato la pompa e la celebraziono nuziale non essere della sostanza del matrimonio, ma bastare alla sua validità e fermezza, specialmente inter pares honestate personas, il consenso dei contraenti e la fede degli amici (4). Ma molti disordini si verificavano dal riconoscersi valide le nozze celebrate ex solo affectu senza istrumenti dotali e sopra equivoche o false testimonianze di stato coniugale. Allora Giustiniano prescrisse che, tranne i senatori ed illustri personaggi, le cui nozze erano celebrate validamente quando vi fosse la confezione degli istrumenti dotali, tranne il popolo minuto, che era dispensato di contrarre le

«

(1) Ideo penes nos occultae quoque conjunctiones, id est, non prius apud Ecclesiam professae, juxta moechiam et fornicationem, judicari periclitantur» (Tertulliano: De Prudentia. Cap. IV).

(2) Gaio: Institut. I. 112

Tacito: Annali. 4. 16.

Heinecius. Antiquitates romanae Lib. I. Tit. X—

(3) Cic.: De Officiis. Lib. I. cap. XVIII.

(4) L. 22. Col. de nuptiis.

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