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tardi vietarono tali legami anche Zenone (1) ed Anastasio (2). Dalle citate Costituzioni si rileva come le nozze tra cognati anticamente erano lecite; esse furono alcune volte permesse; (3) altre volte furono vietate secondo la varietà dei tempi e le vicende della Legislazione imperiale romana. La forza delle abitudini era contraria a tali proibizioni, le quali venivano spesso rinnovate, appunto perchè non si osservavano nei casi concreti (4).

Se non che bisogna osservare che la L. 6. Cod, de incestis et inutil. nuptiis commina delle pene contro colui, che incesti vetitique coniugiis sese nuptiis funestaverit, ma l'unione tra cognati non la dichiara incesto (5). Il Diritto Romano distingue

(1) Zenone riconosce, nell' Egitto, benchè Paese soggetto alla dominazione romana, hujusmodi connubii firma esse (L. 8 Cod., de incest. et inutil. nupt.)

(2) Anastasio rinnovando le proibizioni attesta che nei tempi anteriori molti rescritti e costituzioni permiserunt ut eam, quae cum fratre quondam nuptiali jure habitaverat, uxorem legitimam liceret amplecti (L. 9. Cod., de incest. et "inutil. nupt.)

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(3) Diocleziano e Massimiano enumerando nella L. 17. Cod., de nupt. gl' impedimenti al matrimonio a motivo di cognazione o di affinità, a proposito dell' affinità parlano soltanto dei matrimonii cum priverca, noverca, nuru et socru; non parlano dei cognati.

(4) La L. 5. Cod., de incest. et inutil. nupt. dice: « Fratris uxorem ducendi, vel duabus uxoribus conjungendi licentiam penitus submovemus, nec dissoluto quocumquo modu conjugio». È locuzione di Teodosio ed Arcadio; la espressione suddetta comprende il fatto che anteriormente una tale facoltà reputavasi esistente.

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(5) Secondo il Giureconsulto Paolo, delle nozze tra collaterali, ovvero tra affini nei casi d' impedimento legale, si dice che non bene contrahuntur. L'incesto è l'unione contraria'al diritto naturale (Ius Gentiun), come tra ascendenti e discendenti Iure gentium incestum committit qui ex gradu ascendentium, vel descendentium uxorem duxerit. Qui vero ex latere eam duxerit quam vetatur, vel adfinem, quam imped tur, si quidem palam fecerit, levius; si vero clam hoc commiserit, gravius punitur. Cuius diversitatis illa ratio est circa matrimonium, quod ex latere nun bene contrahitur» (L. 68. I. de ritu nupt.) Ed il Gotofredo scrive: « non bene; quid est? An incestum quidem non commitere, sed non honeste contrahi » - Secondo Papiniano, non sono incestuose le unioni proibite soltanto dal diritto positivo: Mulier tunc demum eam poenam quam mares, sustinebit, cum incestum iure gentilium prohibitum admiserit; nam si sola iuris nostri observatio interveniet, ab incesti crimine erit excusata» (L. 28. ff. ad Leg. Iul. de adult) Qualificando come incestuose certe unioni tra affini, le limita a quelle inter novercam

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et privignum, nurum et socerum iuris gentium incestum committitur», non sono quindi comprese le unioni tra cognati (L. 5. ff. de cond. sine caus.) Lo stesso pensiero è formolato da Giustiniano nelle Istituzioni: «inter eas personas, quae parentum liberorumve locum inter se obtineut, contrahi nuptiae non pussunt. « si tales personas inter se coierint, nefarias atque incestas nuptias contraxisse dicuntur » (1) E nella Novella XII parla delle nozze incestuose « contrarias naturae, quas lex incestas et nefandas et damnatas vocat »... qui talia concupierit, qualia plurima etiam irrationabilia. amovent animalia (cap. 1)

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Uniforme é stata la dottrina degl' Interpreti. Così il Fabro: « Incestus proprie contrahitur ratione consanguinitatis (Cod., lib. V, tit. 3. de incest, et inutil nupt.) Così il Claro: Quaeritur an dispositio locum habeat solummodo in nuptiis proprie incestis ratione consanguin tatis, an autem etiam in nuptiis inutilibus, vel illicitis» (Clar. sentent. lib. 5, 2 Incestus). Così lo Struvio: Incestum illam conjunctionem vocamus veneream, quae nuptias nullo modo admittere potest» (Syntagma juris universalis Lib. XXXVI, cap, 7). Così il Muller: « Incestae nuptiae vocantur quae destituuntur pudore, solemnitate, ac legibus conjugalibus, contractae in illi personis, quibus hoc neque divino, neque humano iure licitum est» (Add ad Struv. ex. 49, lib. 48, tit. 5, n. 37).

le nozze incestuose, nefarie o dannate con quelle semplicemente dalla legge proibite, inutili ovvero non bene contratte; distinzione importantissima per le conseguenze pratiche, imperocchè le sole proli derivate da unioni della prima specie erano allontanate per tutti i modi dal beneficio della legittimazione (1).

Il Cristianesimo aveva stabilito, col battesimo, una parentela spirituale tra il patrino e la figlioccia. E, questo legame, sotto. gl'Imperatori cristiani, costituiva un impedimento al matrimonio (2).

2) Tra gl'impedimenti relativi sono le cosiddette Nozze indecorose. Su questa materia il Cristianesimo influl potentemente col principio novello della eguaglianza. Prima della Lex Canuleja erano vietate le nozze tra patrizii e plebei. Prima che la cittadinanza fosse stata estesa a tutti i popoli dell'Impero, era proibito il matrimonio tra i cives ed i non-cives, tranne che non fosse stata accordata una dispensa speciale, come p. e. : quella con cui gl'Imperatori accordavano ai veterani congedati il connubium con le donne latine (3). Dopo Valentiniano II, furono vietate le nozze coi Barbari (4); tale Costituzione non si trova nel Codice Glustinianeo (5).

Più innanzi abbiamo accennato alle Leggi di Augusto (Lex Julia et Papia Poppea). Secondo queste leggi, era vietato agl'ingenui il matrimonio con liberti, con persone infami e specialmente

(1). Per Diritto Romano dall' incesto si distinguono quelle altre unioni matrimoniali, che propter diversas rationes contrahi prohibebantur Instit. de nupt 11), o perchè impedite da affinità in linea trasversale, o da certi gradi di parentela collaterale non recte contrahebantur ( 8, ovvero che fossero contra legum praecepta, vel contra mandata constitutonesque Principum (L. 4. Cod., de inc. et inntil. nupt.), nè le unioni con donna, quae sine peccato non erat Nov. 74 preafat. et cap. 1. Nov. 89. cap. 9), ovvero i matrimonii semplicemente inutili, perchè vietati dalle leggi e dai mandati imperiali, come le unioni dei senatori con le ancelle o con le donne da teatro (LL. 3 e 7 Cod., de incest, et inutil. nupt), o tra il tutore e la pupilla (LL. 1 e seg. Cod. de interd. matrim. inter pupil. et tutor ) e via discorrendo Ed il Gotofredo accennando alle varie locuziont testè citate scrive: non sine peccato uxorem habet, qui eam duxit quam leges duci vetant» (L. 7. Cod. de incest et inutil. nupt.: Ad nov. 89. cap. XI. Accanto ai cennati divieti eranvi le dispense, che si accordavano dagl'Imperatori; ciò si rileva dai testi. (L. 22. Cod. de nupt; si vegga il litolo del Codice Teodosiano: « nuptiae ex rescripto potantur»; si veggano le Novel. 139 e 154 coi titoli rispettivi: Indulgentia illicite contractarum nuptiarum e De his qui in Osdroena illicitas contrahunt nuptias; in detti testi si accorda in massa ad intere popolazioni, come agli abitanti di Tiro e delle Provincie di Mesopotamia e di Osdroena, la dispensa dalle proibizioni delle nozze. In tal modo si toglieva l'ostacolo al matrimonio; e la prole anteriormente nata rimaneva legittimata, nè alla detta prole potevasi attribuire il titolo di adulterina ed incestuosa.

(2) Cost. 26 in fine. Cod., de nupt. V. 4.

(3) Gaio: I, 57-Ulpiano: V, 3 e 4 Contuzzi: Istituzioni di Diritto Internazionale. Vol. 1, per la estensione progressiva del Diritto di cittadinanza.

(4) Cost. unic. Cod. Theod., de nupt. gent., III. 14.

(5) Doveri: Istituzioni di Diritto Romano. Vol. I. Tit. II. Parte III.

con quelle, che avevano dato spettacolo di sè (1); era vietato ai Senatori ed ai loro lipendenti di sposare donne di cattiva condotta; in forza di un Senatoconsulto, sotto Marco Aurelio, a queste stesse persone anche il legame coi liberti (2); in seguito anche con le donne di teatro (3). Costantino, estendendo i suddetti divieti, proibi il matrimonio ai senatori, ai prefetti, ai duumviri di sposare figlie di liberti, di gladiatori, locandieri, mercanti al minuto ed in generale le donne reputate vili ed abbiette (4); erano escluse dalla cennata categoria le donne povere, ma oneste (5). L'Imperatore Giustino, zio di Giustiniano, emanò una Costituzione dichiarando anche esclusa dalla cennata categoria le donne che avessero lasciato il teatro (6). Giustiniano aboll i precedenti divieti (7). Proibl soltanto ad un colono di sposare una donna libera (8).

3) Erano proibite alcune nozze pel pericolo che potevano produrre in varii sensi; ecco le nozze pericolose o nocive. Laonde erano vietate le nozze fra tutore, curatore, figlio del tutore del cura

tore con la pupilla, prima del rendimento dei conti (9); erano vietate le nozze fra adulteri, e fra il rapitore e la rapita (10). Quindi i pubblici funzionarii, come prefetti, presidi, ed i rispettivi figli, ed i militari non potevano sposare donne della medesima provincia in cui disimpegnavano il loro ufficio (11).

Per timore che l'affetto coniugale producesse l'apostasia, sotto la medesima rubrica, vennero poste le nozze tra ebrei e cristiani (12).

(1) Fr. 41, 42, % 1, 43. D. de ritu nupt., XXIII, 2—Ulpiano: XIII, 1; XVI, 2. (2) Fr. 3. & 1., de donat. int. vir. et ux., XXIV, 1.

(3) Fr. 42, 2 1. de ritu nupt., XXIII, 2.

(4) Cost. 1. Cod. de nat. lib., V. 27.

(5) Cost. 7 Cod., de incest. et inutil. nupt.

(6) Cost. 23, Cod. de nuptiis., V, 4.

(7) Nov. 117. c. 4.

(8) Nov. 22. c. 17; cost. 24. Cod., de agric. et cens., XI, 47.

(9) Fr. 59, 60 e 63. E.. de ritu nupt., XVIII, 2; e Fr. 49, 66 D de ritu nnpt. XXIII, 2 pel caso, in cui il divieto cessava per desiderio manifestato dal padre premorto della pupilla.

(10) Fr. 11, 11. D. ad Leg. Iul. de adult. XLXIII, 5, 5; Cost. un., 2 1. in fine, Cod, de rap. de virg., IX. 13; Nov. 144, 150.

(11) Fr. 38, 57 pr., fr. 63 65. D. de ritu nupt., XXIII, 2.

(12) Cost, 6. Cod. de judaeis. I, 9,

H. La Patria Potestà.

Le tradizioni romane sulla patria potestà erano ispirate ai sensi del più aspro rigore (1). I) Il Paterfamilias aveva il jus vitae et necis sopra i figli. Nella Lex Pompeja de parricidiis non si annovera tra i parricidii la uccisione del figlio commessa dal padre. Questo diritto destava raccapriccio; e nel periodo imperiale era destinato a scomparire; dapprima fu condannato dal sentimento popolare (2). Gl'Imperatori ne decretarono l'abolizione. Sotto Traiano, il padre, che facevasi a maltrattare i figli, era punito con l'obbligo di emanciparli (3). Sotto Adriano, fu condannato alla deportazione un padre, che aveva ucciso il figlio, benchè quest'ultimo fosse colpevole di adulterio con la matrigna; i magistrati furono incaricati di frenare gli abusi della patria potestà; e questa doveva consistere in pietate, non in atrocitate (4). Sotto Alessandro Severo, venne proibito al padre di applicare di proprio arbitrio pene ai figli, fu loro imposto l'obbligo di ricorrere ai magistrati per la relativa punizione (5). Sotto Costantino, venne comminata la pena del parricida al padre, che avesse ucciso il figlio (6). Rimase nel padre ciò che poteva rimanere di tanta durezza antica, il diritto della diseredazione; ma la personalità del figlio fu dichiarata sacra ed inviolabile di fronte alla patria potestà.

II) Veniva dall' antichità il diritto del padre di dare il figlio in risarcimento dei danni da esso arrecati (noxae datio, noxali causa mancipare); era lecito vendere il figlio sino a tre volte (7). Ai tempi di Gaio esisteva il diritto di vendere il figlio con la mancipatio, ma piuttosto come una finzione per la emancipazione e per l'adozione (8). Era condannato alla relegazione un creditore,

(1) Ex horrida illa antiquitate ad praesentem usum quaedam Augustus flexerat (Tacito: Annali. IV. c. 16).

(2) Ai tempi di Seneca, Erissone, cavaliere romano, colpevole di uccisione del figlio, fu perseguitato nel Foro dall' ira popolare (Seneca: De Clementia: Libro 1. capo 14).

(3) Fr. s. D. si a parente XXXVII, 12.

(4) Fr. s. D. de leg. Pomp. de parricid. XLVIII, 9

(5) Cost. 3. Cod. de patr. pot., VIII, 47.

(6) Cost. un: Cod. de his qui par. vel lib. occid. IX. 17.

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(7) Liberos a parentibus, neque venditionis, neque donationis titulo, neque pi

gnoris jure, aut alio quomodo titulo.

in alium transferri posse, manifestissimi

juris est (L. I. Cod. lust. de patrib. qui filios distraxerunt).

(8) Gaio: I, 117 e 118.

CONTUZZI Istituzioni di Diritto Canonico.

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che scientemente riceveva in pegno un figlio dal padre (1). Praticavasi ancora l'abbandono noxale dei figli; ma ciò era vietato quando la vittima doveva essere una figlia (2); l'esercizio di questo potere era assolutamente cessato all'epoca in cui furono pubblicate le Istituzioni (3). Ai tempi del giureconsulto Paolo, si usava ancora vendere i figli per estrema miseria (4). Sotto Caracalla, Diocleziano e Massimiano, venne vietato al padre questo diritto, come pure quello di oppignorare o di donare il figlio (5).

Sotto Costantino, si permise la vendita dei figli a due condizioni, primieramente, che fossero neonati (sanguinolenti), secondariamente, che fossero venduti per estrema miseria del padre nell'impotenza di alimentarli (6).

Valentiniano I considerò come omicida il padre, che esponeva

(1) Paolo: V, 1, fr. 5. D. quae res pign. XX. 3.

(2) Gaio: IV, 75.

(3) Instit. 8 7. de nox. act., IV. 8:

(4) Paolo: Sent., lib. V. t. I. n. 1.

(5) Cost. 1. Cod. de lib. causa, VII, 16. Cost. 1. Cod. de patrib. IV. 43; Cost. 6. Cod. de patr. pot, VIIII, 47.

(6) Il Cristianesimo levo alta la voce contro la crudele usanza di vendere i figli e di esporli bambini. S. Girolamo dipinge a vivi ritratti la disperazione di una madre, i cui tre figliuoli erano stati venduti per pagare le tasse fiscali: « Mihi est maritus, qui, fiscalis debiti gratia, suspensus est et flagellatus, ac, poenis omnibus cruciatus, servatur in carcere. Tres autem nobis filii fuerunt qui pro ejusdem debiti necessitate distracti sunt (Vita Paphnutii). Atenagora, filosofo cristiano, qualificava di parricidio la esposizione dei figliuoli (Apologia dei cristiani). Tertulliano rimprovera ai pagani tali crudi modi di procedere (Apologetico 29 Lattanzio, precettore di Crispo, figliuolo di Costantino, ded cava all' Imperatore il suo Libro, in cui assimilava alla uccisione la esposizione dei figli « At enim parricidae facultatum angustias conqueruntur nec se pluribus liberis educandis sufficere posse praetendunt: quasi vero aut facultates in potestate sunt possidentium, aut non quotidie Deus ex divitibus pauperes, et ex pauperibus divites faciat. Quare si quis liberos ob pauperiem non poterit educare, satius est ut se ab uxoris congressione contineat, quam sceleratis manibus Dei opera corrumpat» (Lib VI. Divin instit., c. 20) E Costantino dapprima, compenetrato della miseria a cui era costretto il padre, che esponeva i figli, obbligò le Autorità a soccorrere i figliuoli abbandonati e soccorrerli prontamente; fece una legge in proposito da applicarsi in Italia. (L I. C. Theod. de alimentis quae inopes parentes; poscia estese tale misura egualmente all'Africa nell' anno 322; e conchiudeva la sua prescrizione con le seguenti parole: « Abhorret enim nostris moribus ut quemquam fame confici vel ad indignum facinus prorumpere concedamus» (L. 2. Cod. Theod. de alimentis quae inopes parentes). Queste misure furono un incentivo al male esistente, e Costantino passo ad una legislazione di rigore verso il padre, spogliandolo della patria potestà sul figliuolo esposto, proibendogli di redimere il detto figliuolo dalle mani di chi lo avesse raccolto; questo figliuolo cadeva sotto l'autorità di chi lo avesse raçcolto e questa terza persona poteva trattarlo o come figlio o come servo, secondo la intenzione che aveva espressa un atto redatto innanzi a testimoni o soltoscritto dal Vescovo del luogo (L. 1. Cod. Theod de expositis, anno 331). In caso che il padre avesse venduto il figlio, quest'ultimo cadeva sotto l'autorità del compratore; il padre poteva reclamarlo dietro pagamento di prezzo o col fornire al compratore uno schiavo (L. I. Cod. Theod. de his qui sanguinolentos. anno 329); in caso contrario il compratore poteva ritenere il fanciullo e considerarlo, secondo i casi, o come figlio o come servo (Arg. L. 2. Cod. Theod. de expositis).

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