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si pubblicano dai moderni e contemporanei seguaci della nuova scuola, e scende sul loro campo, e li confuta e debella colle loro armi. A nuovi argomenti oppone nuovi argomenti, come a nuovi libri viene cosí opponendo nuovi libri. Noi condividiamo pienamente le idee ed i concetti del professore Sichirollo, ma dato ancora che da lui dissentissimo, per non mancare alla buona fede che lealmente deve conservarsi anche cogli avversarî, noi converremmo che difficilmente con maggior chiarezza si potrebbe enunciare e far vedere ove stia il punto di disaccordo fra le due scuole. Riconosceremmo ancora che egli, scolastico, mostra di essere a pieno giorno delle teoriche positiviste e di possederne effettivamente i concetti fondamentali, e che egli irrepugnabilmente dimostra come i positivisti invece non siano a piena cognizione della scolastica e del valore e forza dei suoi argomenti, ai quali pure si studiano di contrapporne di contrarî, e si sforzano di confutarli. La scolastica, si sa, è cosa da medio evo. Tuttavia uno scolastico come il Sichirollo non isdegna di studiare a fondo le novissime teorie del positivismo ed un positivista se vorrà avere una vera vittoria su di uno scolastico dovrà adattarsi a cercare almeno ove sta di casa la scolastica.

Pur troppo, per confutare le teoriche dei seguaci del libero arbitrio, convien adattarsi a studiare la scolastica e quell' insigne monumento di essa che è la Somma del grande Aquinate, come ha osservato anche il prof. Filomusi-Guelfi (Giornale dantesco, quaderni VIII, IX, e X del primo anno) a proposito dei commentatori del divino poema, i quali vogliono studiare questa opera eminentemente scolastica, senza curarsi della scolastica stessa, e quindi cadono in errori e incongruenze inevitabili (errori e incongruenze che, per uno strano concetto della giustizia, affibbiano al poeta).

Si sa, la scienza esige severità e profondità di studî, e non ammette né riconosce certi nomignoli propri solo delle sette politiche. La volontà umana è, fu e sarà sempre mai libera. Tale libertà genera la imputabilità e se la volontà umana non è più libera per condizioni speciali patologiche dell'individuo, o perché il medesimo è costretto ad agire per impellente e invincibile necessità, allora anche per la scolastica vien meno la imputabilità, cade la responsabilità ed anche alla scolastica, nei casi veramente patologici, si fa manifesta la convenienza di una prevenzione o repressione differente dall'applicazione di una pena, e non c'era d'uopo che i positivisti venissero ad apprenderle tali novissime (mi si scusi la paronomasi) novità. Ma che dico? per i positivisti tutte le azioni, anche piú comuni, degli uomini sono necessarie: ma allora come sussistono ancora e si vedono visibilmente attuati i concetti di merito e demerito? Perché si conferiscono medaglie ai valorosi, e si mandano ancora all'ergastolo i delinquenti? Sarebbe forse venuto meno il principio che ogni azione prodotta da necessità merto di lode o di biasmo non cape? (Purg., XVIII, 60), e l'altro, pure del poeta nostro (Purg., XVI, 70-72) che se in noi fosse

. . . distrutto

libero arbitrio, non fora giustizia
per ben letizia e per mal aver lutto?

Cavarzere, 1894.

SILVIO SCAETTA.

NOTIZIE

Stralciamo dalla Tribuna del 31 di agosto, una importante corrispondenza che descrive le feste fattesi in Aquila pel sesto centenario della incoronazione di Celestino V.

Aquila, 29 di agosto 1894.

È difficile poter assistere ad uno spettacolo cosí artisticamente bello, come quello a cui ieri ho assistito qui in Aquila dalle 6 alle 8 pomeridiane.

A circa un chilometro dalla città, attraversando una via larga e comoda che si eleva come una grande muraglia divisoria su dalla vallata ricca di alberi e di acque, si giunge sulla piazza di Collemaggio, vasto e largo recinto capace di contenere venti o trentamila persone.

In fondo alla piazza si erge la chiesa, costruzione solidissima che rimonta al secolo decimoterzo, ricca sulla facciata ed all'interno di fregi, di statue, di pitture tali, che fanno della chiesa un monumento d'arte nazionale.

Ai fianchi della piazza il terreno si rialza all'altezza di pochi metri declinando, ed è per tutta la sua lunghezza tagliato irregolarmente, cosí da formare una comoda gradinata.

Ora, ecco quello che ho visto fra le 6 e le 8 di ieri. Tutta la vasta piazza, tutta la strada che dalla città conduce alla chiesa, tutta l'ampia, immensa gradinata che fiancheggia la piazza, erano cosí fitte di popolo, che visto dall'alto, e piazza e strada e gradinata scomparivano e la folla ondeggiante pareva formasse le membra di un immenso, mostruoso animale che avesse colla vastità del suo corpo tutto il suolo coperto.

Quelle migliaia e migliaia di persone aspettavano che dall'alto della torretta della chiesa, il cardinale De Rende, venuto apposta da Benevento, mostrasse ad esse le reliquie di san Pietro di Morone, che fu al secolo papa Celestino V. E quando dopo lunga attesa il cardinale è comparso ed ha mostrato al popolo il reliquario fra il suono delle trombe squillanti verso il cielo, giú sulla piazza tutta quella immensa popolazione è caduta in ginocchio, adorando. Poi, a poco alla volta, si è riversata per la città per i giardini pubblici, e le tenebre hanno ravvolto la chiesa e la torretta da cui per poco erano stati mostrati i resti mortali del santo.

Questa festa, di cui ho cercato di ritrarre il momento culminante, si celebra nell'Aquila degli Abruzzi ogni anno, ai 28 di agosto, e non è, come si può credere, soltanto una festa religiosa. Ad essa partecipano tutte le classi della città, cosí che può dirsi che la festa, pur mantenendo l'origine che ebbe, abbia in progresso di tempo assunto però un carattere civile, e stia a rappresentare un avvenimento artistico e storico, nel quale gli aquilani sono orgogliosi di far rivivere tutto un passato di grandezze politiche e commerciali di primo ordine.

Ma, come dicevo, l'origine è religiosa, e sta a ricordare l'incoronazione di papa Celestino che fu compiuta seicento anni fa precisamente in Aquila e nella chiesa di Collemaggio dinanzi al popolo ed ai re di Napoli e di Ungheria, venuti qui insieme a molti vescovi e cardinali dopoché il conclave di Perugia aveva deliberato di strappare Pier Celestino ai silenzî del suo eremitaggio del Morrone (un monte distante poche miglia da Sulmona) per gettarlo nella lotta politica, ove perí vittima dell'ambizione di Bonifacio.

Non potete immaginare come gli studi letterari prodotti da aquilani sieno ricchi di documenti e di critica storica a riguardo di questo avvenimento, che per quello che specialmente di poi seguì, è rimasto singolare nella storia del papato.

A prescindere dagli studi recenti di Enrico Casti, un abate dotto che vale tutta una biblioteca, e di Giovanni Pansa sindaco di Sulmona, giovane di rara cultura ed erudizione,1 il più curioso documento letterario resta sempre la narrazione in versi in dialetto aquilano che fece dell'incoronazione di Celestino V, uno quasi contemporaneo credo dell'epoca: tal Boetio di Rainaldi de Coppleto.

Comincia cosí:

Quando lu gloriusu ecco [?] fu coronato

correano li anni Domini come fia contato,

anni mille e duecento novanta quattro questo è stato
et esaltò assai l'Aquila; benedetto sia et laudato.

E prosegue cosí lungamente, narrando la cerimonia. Pietro sopra un gran parco aperto ed eretto innanzi alla chiesa, vestito di raso bianco ed oro, ricevé un battesimo di olio sacro dal vescovo Ugone, e ricevuto il pallio di lana candida, fu incoronato d'una mitria preziosa da un tal Rosso Matteo, cardinale. Ma il punto più importante del poema è quando Boetio descrive l'entrata di Celestino in città.

Ecco due quartine:

Ma, come si sa,

Poi ch'ebbe la corona, et lu papale ammanto
intrò ad cavagliu in Aquila sull'asino lu santo:

lu re Karlu dalla destra, lu figliuolu dall'altro canto,
che era re d'Ongaria come dice questo canto.
Santo Piero beneditto quando se coronao,
all'hora ad Colle Majo la indulgentia donao;
due cardinali de Aquila ei fece et consacrao:
beneditto sia et laudato, che l'Aquila esaltao.

Celestino resisté poco sul trono di san Pietro, ed un bel giorno abdicò e se

ne ritornò al suo romitaggio di Morrone.

Morto, fu sepolto nella chiesa che l'aveva visto incoronato, e si dice che il suo cranio mostri presso l'una delle tempie un foro, ciò che avvalorerebbe l'opinione di quegli storici che pretendono il santo morisse per un colpo di chiodo ricevuto sulla testa per mandato di Bonifazio.

1 E, aggiungo io, del dotto e valente avvocato Nicola Jorio, che ha recentemente publicato, sull'argomento, un'erudita monografia della quale il Giornale dantesco presto si occuperà.

IL DIRETTORE.

Comunque sia, per questo monaco tranquillo, chiamato suo malgrado ad onori che non aveva mai desiderato, la vita fu piena di amarezze, ed anche morto lo raggiunse l'ira di Dante che lo mise nell'inferno come colui che aveva fatto per viltude il gran rifiuto.

Il signor Giovanni Melodia ci fa sapere che da qualche tempo sta lavorando attorno ad un suo studio sui Trionfi del Petrarca, nel quale, fra altro, egli si ripromette di spargere nuova luce sulle relazioni fra Dante Allighieri e messer Francesco.

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Il professore Antonio Fiammazzo ha publicato in questi giorni una elaborata illustrazione del codice dantesco Grumelli (Udine, tip. Doretti) della biblioteca civica di Bergamo. In questo coscienzioso ed utile lavoro, l'egregio collaboratore nostro ci dà la descrizione esterna del prezioso codice ed un esame diligente del testo. Ad uno studio speciale che ci auguriamo di poter aver presto sottocchi il Fiammazzo riserba l'esame del commento lanèo, che il codice di Bergamo contiene nella piú ampia redazione (se non forse nella veramente originale) della traduzione latina di Alberico da Rosciate.

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Nel quaderno di aprile del periodico romano L'Arcadia (Anno VI, no. 4), monsignor Agostino Bartolini ha cominciato a publicare un suo studio sopra Il quaresimale dantesco del p. Paolo Attavanti.

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A Fusignano, in provincia di Ravenna, presso il dottor Leone Vicchi, è incominciata la ven dita degli autografi della collezione di Giuseppe Manuzzi, il celebre filologo ed epigrafista. In questa ricca raccolta, della quale abbiam esaminato il diligente catalogo, vi sono, tra le altre, molte lettere di dantisti, quali il Torri, il Costa, il Tommaséo, l'Alizeri, il Fraticelli, il Ferrazzi, ecc. ecc.

Il 20 di settembre venne inaugurata a Poppi, nel palagio che fu dimora dei conti Guidi, ospiti di Dante, la nuova sala delle publiche udienze, in presenza delle autorità di tutto il mandamento e di numerosi invitati.

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Nell'atrio del ginnasio comunale di Trieste la mattina del 23 corrente è stato scoperto un monumento a Dante, opera dello scultore Ferrari. Parlarono il podestà di Trieste e il professore Rovalico, insegnante di lettere, suscitando una imponente dimostrazione in onore di Dante e della grande patria italiana. Contribuirono alla erezione del monumento anche gli emigrati che furon già alunni del ginnasio di Trieste.

Il direttore del Giornale dantesco ringrazia, con animo commosso, i suoi valenti collaboratori e gli amici per le gentili manifestazioni di affetto con le quali han cercato di recar conforto alla sua recente, gravissima e irreparabile sventura.

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stab. tip.-lit. S. Lapi, 30 settembre 1894.

G. L. PASSERINI, direttore

LEO S. OLSCHKI editore-proprietario, responsabile.

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All' illustre prof. conte Angelo de Gubernatis.

La Beatrice di Dante, foss'ella figliuola del caritativo messer Folco di Ricovero Portinari, od altra fanciulla di casata e nome ignoto, com'altri parve credere, fu di certo una donna viva e vera per cui Dante usci dalla schiera dei volgari, la quale mori appunto nel 1290, a testimonianza del fervido ed appassionato poeta. A dire la vita di lei breve discorso si richiederebbe, e gli archivi fiorentini poca o nessuna notizia potrebbero offrirci intorno a fanciulla o donna cost presto morta e vissuta come tante giovinette d'allora e d'oggi nelle mura domestiche. sua vita è tutta nella poesia di Dante.

La

Pure, in questi giorni che, ad invito suo, le gentili donne italiane sono convenute in Firenze a commemorare il sesto centenario della morte di Beatrice mostrando quanto possa tra noi l'ingegno femminile, ho pensato mandarle questo scrittarello. Il quale se pel suo nessun merito (che da me riconosco, prima dei soliti insulti critico storici di noti aristarchi) dovrà rimanere inedito, vo' che sia presso di Lei, testimonianza dell'affetto di un antico discepolo, che, nonostante i pochi meriti, Ella non ha mai cessato d'amare e d'incoraggiare.

Nicastro in Calabria, 8 di aprile 1890.

' Diamo luogo nel Giornale a questo lavoro che il compianto Apollo Lumini avea preparato per il centenario di Beatrice. Lo pubblichiamo tal quale, benché la questione in esso trattata siasi col tempo arricchita di nuovi elementi, sembrandoci opportuno di lasciare ad uno studio complesso ed armonico la sua fisonomia genuina, mentre poi, anche cosí come sta, esso ci pare ben adatto tanto a porre la questione nella sua vera luce, quanto a facilitarne in qualche punto la soluzione.

Giornale dantesco.

N. d. D.

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"Idillio di Dante e Beatrice, sorgeva l'alba del maggio del 1283. Firenze, la bella, lieta del suo pacifico e prosperevole stato che poco dovea durare, a festeggiarne il ritorno bandí feste solenni e ne corse la fama dovunque. Dalle terre vicine e dalle città toscane accorsero all'invito le genti per vedere dappresso questa nobilissima figliuola di Roma, come già l'antica madre i popoli del Lazio all'invito di Romolo. Dai castelli feudali, resistenti ancora alla democrazia vincitrice, pieni di sospetto pel sovrastante destino, discesero i baroni in splendido arnese e meravigliarono di quei cittadini mercanti, politici ed artisti, che fieri di libertà osavano pubblicare leggi contro i nobili i quali, disfatti dal popolo i loro castelli, furono costretti a ridursi a vivere in città da privati, e minacciavano distruzione ai resistenti ancora nel contado, mentre si accingevano a rendere coscienza d'uomini liberi ai servi della gleba (6 agosto 1289), ed a ritrarre nei grandiosi monumenti di Arnolfo di Cambio i popolari decreti. 2 Meravigliarono i signori, e dall'animo loro cadde ad un tratto quel superbo disdegno, che, affidato ne' loro castelli sorgenti, qual nido d'aquile, su monti e dirupi affettavano verso quei plebei, de' quali però s'affrettarono solleciti all'invito. E i baroni accompagnavano cortigiani e menestrelli che superbi della loro servilità, pure non sdegnarono misurarsi nell'arte loro in un agone dove la plebe era giudice. Donzelli armati leggermente accompagnavano i forestieri fino a santa Felicita, ove mille uomini in vesti candidissime guidati dal Signor d'Amore e trecento cavalieri armati di tutto punto, tra canti e balli giostravano. E Firenze risuonò tutta di un inno d'amore cui dai colli circostanti, che brillavano al sole di primavera, rispondeva allegra la canzone maggiajola.

3

I cronisti del tempo si intrattengono con compiacenza nel descrivere le feste di quei giorni, profano preludio a quelle del Battista, quasi

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1 G. CARDUCCI, Nuove Odi Barbare. A la Regina d'Italia. Bologna, Zanichelli, 1882. 2 V. C. GUASTI.

3 G. VILLANI, lib. VII, 89. A. VANNUCCI, I primi tempi della libertà fiorentina. Firenze, Le Monnier, 1862, cap. V.

4 J. BURCHKARDT, La civiltà del secolo del Rinascimento in Italia. Traduzione Valbusa. Vol. I, Firenze, Sansoni, 1876.

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