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a Roma nel 1468 medesimo. Il fatto che Lattanzio e sant'Agostino furono editi insieme, nota acutamente il Fea, dimostra che essi erano uniti nella tradizione letteraria comune; tradizione comune, notiamo noi, che già ci è attestata nel '300 dal Petrarca, che a questa tradizione comune non sorta per certo d'un tratto, ma forse sin da quando sant'Agostino sfruttava le opere del Cicerone cristiano, si riconnette; tradizione più antica quindi del Petrarca e del tempo di Dante, che la conosce e se ne vale opportunamente.

Secondo noi, non v'ha dubbio l'avvocato dei tempi cristiani, cui Dante accenna, è Celio Firmiano Lattanzio.

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Qualche osservazione ancora: posto in sodo che Dante intenda parlare di Lattanzio, come deve spiegarsi il primo verso della nostra terzina? Il Fea, che ha nel suo opuscolo talune giuste osservazioni, ma anche taluni spropositi, dice che Dante uní Lattanzio e sant'Agostino e indusse Lattanzio a compiacersene col ride (?!), per aver balenato il primo, dato lume e aperto la strada coll'opera sua, non tanto voluminosa, però piccioletta (?!), Naturalmente non c'è bisogno di confutare il Fea: Lattanzio ride come anima beata; non sta in luce piccioletta, perché la sua opera è poco voluminosa, perché invece le Institutiones sono l'apologia del cristianesimo piú completa e piú ampia (in ben sette lunghi libri) che fosse stata scritta contro i pagani fino a sant'Agostino; e nemmeno ci pare giusta l'opinione dello Scartazzini, che Lattanzio sia posto in piccioletta luce, avendo il poeta riguardo alla sua povertà, testificataci da un passo di san Girolamo (Chronic. ad ann. Abr. 2333); perché sarebbe questa proporzione della beatitudine alla ricchezza una incongruenza in Dante. Secondo noi Lattanzio sta in piccioletta luce, perché è inferiore a Salomone, a san Dionigi che lo precedono, perché né sommo fra i sapienti, né santo; come è inferiore a Boezio, anima santa, che lo segue. Ad un altro passo di san Girolamo (Epist., LVIII, 10) si potrebbe piuttosto pensare, in cui si dice che Lattanzio fu sommo nel distruggere gli avversarî non però nel fondare su salde basi la dottrina cristiana: "Lactantius, quasi quidam fluvius eloquentiae tullianae, utinam tam nostra adfirmare potuisset quam facile aliena destruxit!, Forse a questo passo pensava Dante3 o, per lo meno, non sappiamo da quali fonti, attingeva e volgeva in mente un identico e diffuso concetto?

Pisa, giugno 1894.

AUGUSTO MANCINI.

1 Op. cit., pag. 457-458.

2 Op. cit., pag. 264.

3 Anche nel passo surriferito del PETRARCA (De ocio religiosorum, 2) si può trovare un accenno allo stesso concetto nelle parole "Lactantius.... Gentilium erroribus exarmatis Fidem nostram, quantum quivit, armavit.,, Si ricordino anche le quistioni sulla maggiore o minore ortodossia di Lattanzio, che già sono accennate nel passo surriferito di san Girolamo.

I SUPERBI, GL'INVIDIOSI, GLI ACCIDIOSI

NELL'INFERNO, DANTESCO

Benché molto siasi scritto su tal questione, ed alcuni siano forse convinti d'averla risolta; tuttavia mi sembra se ne possa dubitare con ragione. E se anch'io entro in essa, lo faccio senza pretesa, e al solo scopo di facilitare agli studiosi di Dante il modo, se pur è possibile, di risolverla.

Secondo la Chiesa i peccati capitali sono sette; e Dante nel Purgatorio si attiene a questa divisione, e procedendo dalla maggiore malizia intrinseca di essi, li distribuisce nei sette cerchi in questa maniera: 1° Superbia, 2o Invidia, 3o Ira, 4o Accidia, 5° Avarizia, 6° Gola, 7° Lussuria. La ragione di tutto questo ce la offre il canto XVII.

L' Inferno invece co' suoi nove cerchi e le loro suddivisioni accoglie ventiquattro classi di peccatori, non tenendo conto degli ignavi. Mentre però ben si vede dove son puniti i lussuriosi, i golosi, gli avari, gl'iracondi; è necessario studiare con molta attenzione per trovar il luogo dei superbi, degli invidiosi, degli accidiosi, i quali pure, come apparisce dalla distribuzione dei peccatori in purgatorio, sono quelli della maggior malizia.

Alcuni interpreti, seguendo Pietro di Dante al quale nessuno vorrà negare grande autorità, vogliono che tutti coloro sieno immersi nello Stige insieme. con gl'iracondi. Fa però meraviglia, che l'alta fantasia dell'Alighieri siasi potuta decidere a porre quattro vizi capitali in un medesimo luogo e alla medesima pena. Altri ammettono che in compagnia degli iracondi sieno solo gl'invidiosi e gli accidiosi ; i superbi poi sarebbero rappresentati o dai violenti contro Dio, o dai giganti, o dai traditori, o forse da altri. Né manca chi cerca indarno la punizione dell'invidia o dell'accidia (si badi però sempre che sono peccati di grande malizia); e conclude dicendo che, fra tanta divisione di colpe, queste due nell' Inferno dantesco non si trovano.

Che manchi la punizione di alcuni peccati capitali è impossibile; che tre o quattro di questi peccati sieno puniti nello stesso luogo e quasi della stessa pena, mi sembra improbabile.

Ma potrebbe aver torto Pietro di Dante, che seppe forse la cosa dal padre? In un senso può aver ragione anch'egli; e, se si ha la pazienza di seguirmi in questo mio scritto, lo si vedrà.

Il mio lettore sa bene perché certi vizi si chiamano capitali: questi sono come i capi, o capitani, dietro cui cammina una lunga schiera di vizi, i quali

nascono da ognuno di essi. Prendiamo un poco ad esame la superbia, l'invidia, l'accidia.

La superbia è una soverchia stima di sé. Da questa nascono mille peccati: alcuni restano in noi, altri riescono a danno del prossimo, altri sono contrari direttamente a Dio. Ne nomino alcuni: la vanità, l'ambizione, la finzione, l'ipocrisia la disobbedienza, la contumacia verso ogni autorità, la durezza verso gl'inferiori, le contese, le risse, l'ingratitudine, il livore, la crudeltà, l'omicidio l'infedeltà, l'eresia, l'odio formale a Dio.

L'invidia è un rattristamento che si ha, in veder altri forniti di beni di qualsiasi fatta. Sgorgano da essa il piacere delle avversità del prossimo, l'afflizione della sua prosperità, l'odio contro questo, la smania di nuocergli, le mormorazioni, le calunnie con tutte le conseguenze che possono avere. Caino per invidia uccise Abele, i giudei per invidia vollero che morisse Gesù Cristo.

L'accidia è un rincrescimento o tedio in fare il bene. Da essa provengono la trascuratezza o non curanza delle opere buone, la mancanza ai doveri anche essenziali, l'avversione al bene e a chi lo comanda, l'ozio con tutti i peccati, di cui è padre, la disperazione con tutte le male azioni, a cui può trascinare.

È ben chiaro che questi vizi, benché sieno detti capitali, pure non diventano mortali che per l'oggetto o per il concorso di certe circostanze. Si è poi mostrato che ora restano nella propria natura specifica, ora si trasformano in altri vizi; ed è ben difficile che in questo passaggio non diventino gravi.

Pongasi che la passione predominante di uno sia o la superbia o l'invidia o l'accidia; egli è facile che, nell' incontro di certe occasioni, questi vizi arrivino all'eccesso. E cosí il superbo può diventare un ipocrita, un ingrato, un omicida, un miscredente, un odiatore della divinità, e via e via. L'invidioso, se concepisca l'idea di rovinare il prossimo, può diventare frodolento, traditore.... ed anche omicida. Finalmente l'accidioso, annoiandosi di una legge che gli pare insopportabile, può giungere all'odio, al furore contro chi volesse correggerlo, alla infedeltà, allo sdegno contro Dio, per non parlare di altri delitti, quali possono essere la scostumatezza, il suicidio....

È da riflettersi anche, che il poeta, nell'assegnare a ciascun peccatore la pena, ebbe di mira non tutti i peccati, di che poteva esser bruttato, ma solo quello che in lui era il predominante, o quello che era il più grave.

Ora accingiamoci a dare una corsa per lo Inferno dantesco. Noi troviamo nell' antinferno una gente, il cui peccatc non è facile di qualificare. Sono anime che non hanno lasciato alcuna fama di sé, sono sciaurati che mai non fur vivi; e di uno in particolare si nota la viltà, per la quale fece un gran rifiuto. (Come mai costui ha potuto vivere senza infamia?). Egli sembra uno di quei timidi, riprovati da Dio, dei quali parla san Giovanni, pare un pu

1 V. Giornale dantesco, anno I, quaderno VI, pag. 256.

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sillanime, secondo la morale.

Anche gli altri poi, se non han fatto grandi rifiuti, avranno rifiutato di esser fedeli a Dio. Or qual cosa vieta di vedere tra costoro gli accidiosi nel primo stadio, dirò cosí del loro peccato, quelli cioè a cui rincrebbero certe opere buone, e che però le trascurarono? Forse in molti di costoro non mancarono azioni civilmente buone; ma religiosamente furono infingardi.

Sorvoliamo il limbo.

Scendendo nel vero inferno ci incontriamo nei lussuriosi, nei golosi, negli avari uniti a' prodighi. Qui è da dirsi che il vizio predominante o massimo di costoro sia stato o la lussuria o la gola o l'avarizia o la prodigalità. Non mancarono forse di altre pecche, ma il sopravvento lo ebbero questi vizi. Dopo costoro vengono varie classi di rei, che possono essere stati determinati ai loro delitti da varie cause. In fatti nello Stige troviamo certamente gl'iracondi. Ma l'ira, come può derivare dall' indole focosa, cosí facilmente può derivare dalla superbia o da altra passione, non esclusa certo l'invidia ed anche l'accidia, come già ho mostrato. Che se l'indole, la superbia, l'invidia, l'accidia o altra passione fanno che l'uomo si lasci dominare specialmente dall'ira, egli sarà punito nello Stige: se passa ad atti piú maliziosi, sarà punito più in basso. Siccome dunque gl'iracondi sono tali per diverse cause, cosí si potrà dire che le persone immerse nello Stige sono iraconde e insieme superbe, invidiose, accidiose, ecc.; o, se anche si vuole, si potrà dire che lí vi sono degli iracondi, dei superbi, degli invidiosi, degli accidiosi. Quel che si dice del bizzarro Filippo Argenti conferma abbastanza quanto sono venuto dicendo. Egli non fu solo un cane rabbioso, ma fu anche persona orgogliosa, non fregiata di alcuna bontà. Perciò, a dir poco, fu iracondo, superbo ed invidioso. Poste queste cose, Pietro di Dante ha ragione di dire quello che dice.

Dopo il peccato dell'ira non si fa più cenno di peccati capitali. Ma se tutte le colpe si possono ridurre a sette capi, è anche facile mostrare che tutte quelle, di cui si parla in seguito, sono gli stessi peccati capitali rivestiti di malizia speciale, o colpe da questi derivanti, come i figli dai genitori.

Continuiamo ad esaminare i peccatori nell'ordine, in che li pone Dante. Dopo gl' iracondi vengono gli epicurei e gli eresiarchi. Nei primi trovi facilmente la lussuria, la gola, l'avarizia o piuttosto la prodigalità. I secondi non saranno certo diventati tali per indole, ma per superbia e per iscostumatezza. La storia lo mostra troppo bene.

Seguono i violenti contro il prossimo. Se sono tiranni od omicidi, furono certamente o iracondi o invidiosi o avari, o tutto insieme, anche coll'aggiunta di altri vizi. Se poi furono predoni o assassini di strada, potremo ravvisare in loro una classe bestiale di avari e d'iracondi.

Siccome i suicidi possono divenir tali per diversi motivi; cosí, trovati questi, si saprà da qual vizio capitale proviene il loro delitto. Dante accenna a due cause, all'ira e alla prodigalità.

Negli scialacquatori dei proprî beni ravvisi una classe esagerata di prodighi, seguaci, fors' anco, della superbia, della lussuria e della gola.

Giornale dantesco

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Nei violenti contro Dio, ossia ne' bestemmiatori, converrà pure cercar la causa che li spinse a tanto eccesso, la quale potrebb'essere la superbia, l'ira, la lussuria, l'accidia....

I violenti contro natura formano una nuova classe, ma assai degradata, di lussuriosi.

I violenti contro l'arte, cioè gli usurai, costituiscono una genia spietata di avari.

Chi seduce femmine per conto altrui, lo fa, generalmente, per interesse; chi seduce per suo conto, mostra facilmente che cosa egli sia. Lo stesso dicasi delle femmine lusinghiere. L'adulatore è guidato dalla superbia, dall'avarizia....

I simoniaci che comprano le cose sante, sono sacrilegamente superbi, come sono sacrilegamente avari quelli che le vendono. Gl'indovini sono superbi ed avari; avari i barattieri; superbi e invidiosi gl'ipocriti; i ladri di cose sacre sono avari sacrileghi.

Nei consiglieri frodolenti domina or la superbia, or l'avarizia, or l'invidia. Nei seminatori di discordie la superbia, l'ira, l'invidia e spesso l'avarizia. Nei falsatori l'avarizia; nei traditori la superbia, l'invidia, l'ira, l'avarizia.

Ecco dunque come Dante ha potuto, senza assegnare un luogo particolare alla superbia e all'invidia, punire nel suo Inferno i superbi e gl'invidiosi, considerando quei peccati non in sé stessi, ma nelle loro manifestazioni. Qui ommetto di parlare degli accidiosi, perché, se altri non mi illuminerà, io continuerò a crederli nell' antinferno. Questi superbi ed invidiosi io comincio a vederli nello Stige, e poi giú giú fino a Lucifero, prototipo di ogni superbo e di ogni invidioso.

Dunque dentro la città di Dite si trovano di nuovo dei lussuriosi, dei golosi, degli avari, degli iracondi, ma piú rei di quelli che ne sono fuori; ed insieme con questi si trovano i superbi e gl'invidiosi, che fuori di essa appena si possono trovare, se si escludono gl'iracondi; non portando di necessità la lussuria, la gola e l'avarizia che sieno accompagnate dalla superbia o dall'invidia intese nel loro senso ovvio. Il che non si può dire degli eresiarchi, dei tiranni, dei violenti contro Dio, degl'indovini, degl'ipocriti, dei consiglieri frodolenti, dei seminatori di scandali e di scismi, dei traditori, i quali di necessità sono o superbi o invidiosi, o hanno ambedue questi vizi.

Mi si potrebbe muovere la seguente difficoltà: Se Dante nel Purgatorio colloca in luogo distinto i superbi e gl'invidiosi, perché non darà loro un posto anche nell' Inferno? Rispondo che il sistema distributivo della prima cantica è affatto diverso da quello della seconda. E in ciò il poeta potrebbe avere avuto questa ragione. Il purgatorio appartiene al corpo mistico di Cristo, formando esso la Chiesa purgante, come i fedeli in terra formano la Chiesa militante, e i beati la trionfante. E però le anime del purgatorio sono distribuite secondo la dottrina della Chiesa, che riconosce sette vizi capita li; mentre l'inferno nulla ha che fare con essa. In secondo luogo, i superbi e gl'invidiosi si trovano veramente nell'Inferno dantesco, come ho giá

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