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Villari Pasquale- Le origini del comune di Firenze. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. I).

Il comune italiano creò la società moderna, il che né impero né chiesa avversi a indipendenza e ad eguaglianza, poterono. Il comune di Firenze è tra gli altri di Italia il più democratico: affronta i più difficili problemi della vita civile: ha una storia notissima, ma che troppo spesso è un enigma. Perché tante rivoluzioni? e come in mezzo ad esse possono fiorir rigogliose le arti che più si giovano della pace? Possono spiegarci questo enigma le origini del comune fiorentino? e quali sono queste origini? Abbiamo una leggenda che, per Cesare, le connette a Roma, pur derivando questa da Fiesole. I fiorentini avean la mente piena d'idee romane e del perpetuo antagonismo tra Firenze romana e Fiesole etrusca, che finisce con la distruzione di questa. Ma anche Dante accenna e il Machiavelli spiega come Firenze fosse un emporio fiesolano sul confluente di Mugnone e Arno: capanne poi divenute case: un municipio florido già sotto Silla, ingrandito da Augusto, da Totila oppresso, per la leggenda distrutto. Sotto Carlo Magno risorse e la leggenda dice che egli ricostruí la città. Quando la Toscana, uno dei, margraviati istituiti dai Franchi, fu tenuta da Matilde, cosí fida al papato, Firenze, a questo di già amica, cominciò a prosperare. La contessa, poco per volta, lasciò che un presidio municipale facesse, in nome di lei, quello che la città voleva. Il commercio intanto cresceva; ancora viva Matilde, combatton già i fiorentini contro i vicini castelli; e, semplici nei costumi, hanno già un' autorità che altre città toscane, messi imperiali, nunzî ponteficî riconoscono. Cosí che nel 115, quando la contessa morí, il comune, che già di fatto esisteva, si governò da sé, coi capi delle molte associazioni in che s'era diviso, senza bisogno d'un governo centrale. E si segnalo da allora sempre per profondo antagonismo tra i cittadini, tutti mercanti, di sangue latino, e i feudatarî germanici che avevano incastellato il territorio all' intorno. Questi furon via via debellati e forzati ad abitare in città di che, non già dal fatto dei Buondelmonti, nacquero le lunghe e feroci fazioni. Le torri sostituirono i castelli, e le strette vie si bagnaron di sangue, fino a che gli ordinamenti di Giano esclusero i nobili dal governo. Allora e' si collegarono col popolo grasso. Le guerre seguiteranno tra questa lega e il popolo minuto. S'inizia tuttavia, fin d'allora, quel contratto agrario che ha sempre resi i nostri contadini i piú felici e i più queti d'Europa. Intanto, la sana libertà dentro e fuori, l' interezza schietta del sentimento, la lietezza giovanile di questo popolo svolgevano in esso quell'arte cosí mirabilmente serena. Cfr. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894. (360)

Zirardini Claudio. Giubileo per la scoperta delle ossa di Dante Alighieri e sottoscrizione mondiale per erigere a Lui un mausoleo in Ravenna: frammenti di cronaca. Ravenna, Un. tip. editrice cooperativa, 1894, in-8°, fig., di pagg. 263.

Sommario: I. Giubilo per la scoperta delle ossa. II. Genesi della sottoscrizione (per un monumento a Dante in Ravenna). III. Come nacque l'idea di celebrare il giubileo. IV. Costituzione del comitato e della commissione (per festeggiare il giubileo). V. Profanazione delle ossa? e esperimento rimandato per una permanente esposizione di esse. (Fa voti perché le ossa del poeta siano esposte entro un'urna di cristallo in modo di renderle visibili sempre ai visitatori che cosi ce le invidieranno meglio [!!!]) VI. Rivelazione storica del dott. cav. Corrado Ricci intorno alle vicissitudini del sepolcro. VII. Celebrazione del giubileo. VIII. Concorsi e adesioni. IX. Lotte e vittorie nel nome del poeta. (Vi si parla della sottoscrizione mondiale per la erezione di un mausoleo a Dante, in Ravenna). X. Appendice. (Propone al municipio di Ravenna di erigere in ente morale il Comitato esecutivo pel maus oleo dantesco; di indire, con decreto del parlamento, una esposizione mondiale a Ravenna dei codici, dei commenti antichi della divina Commedia, e, contemporaneamente, un congresso di dantisti per collazionare tutti i testi e per avvisare ai modi di raccogliere all' erigendo mausoleo offerte per tutto il mondo; fondare un Archivio nazionale dantesco che dovrebbe raccogliere e conservare una biblioteca dantesca, tutti i codici e i manoscritti che potessero aversi sullo stesso argomento [sic], fac-simili di codici che sono all'estero o in mano ai privati, pitture, disegni, medaglie. Una cattedra dantesca dovrebb'essere annessa a questo archivio, al quale il governo dovrebbe assegnare una dote, e far man

dare tutti i documenti, codici, manoscritti, libri a stampa, quadri, medaglie e gli altri oggetti concernenti le opere e la vita di Dante, che si trovano attualmente negli archivi e nelle biblioteche, nelle gallerie e in altre collezioni dello stato. [!!!] Dovrebbe inoltre il governo invitare i municipi e i privati ad eseguire volontariamente il deposito salvo il diritto di proprietà di quanto servisse a rendere più completa la collezione). XI. Tribunale della stampa. (Riferisce i giudizi dei giornali in ordine alla sottoscrizione mondiale pel mausoleo). XII. Mausoleo mento. XIII. Sottoscrizione mondiale e non nazionale. XIV. Sfogo dell'anima. Dante.

e non monu

XV. A padre

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NOTIZIE

M. Barbi, nel primo fascicolo del II vol. del Bullettino della Società dantesca italiana assicura che presto saranno publicate, a cura della Società, le norme per la compilazione di una bibliografia dantesca generale, ragionata, in modo che vi possano partecipare quanti più studiosi sia possibile a far bene e presto, e che si stan facendo trattative con una casa editrice, per la raccolta di antichi commenti della Commedia inediti o mal publicati. Annunzia anche che Guido Biagi e G. L. Passerini attendono alla prima parte del Codice diplomatico dantesco (Famiglia e vita di Dante), opera che si pubblicherà in fascicoli in foglio mass. di circa dieci pagine in tipografia e cinque tavole fototipiche.

È uscito il fascicolo 11 (anno II) della pregievole Rassegna bibliografica della letteratura

italiana diretta da Alessandro D'Ancona.

Della Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari è sotto stampa il volumetto XVI, colle Lettere dantesche di Bartolommeo Sorio. Nei prossimi volumi saran ristampati gli Studi danteschi del Parenti, le Lezioni del Giambullari e il Discorso in difesa della Comedia di Giacomo Mazzoni.

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Il giorno 8 di decembre nell'aula 4. dell' Università di Roma il prof. G. A Cesareo intratteneva un numeroso uditorio intorno alla Francesca di Dante.

Alla Palombella, l'illustre professore Giovanni Franciosi continua, applaudito, il corso delle sue conferenze domenicali. Il 23 parlò del cerchio della bufera, e nel mese venturo tratterà di Dante appié della tomba di Farinata, della selva dei suicidi, di Ulisse, della ghiaccia di Cocito.

La direzione del "Giornale dantesco, prega gli autori e gli editori d'inviarle libri, opuscoli, riviste o giornali contenenti scritti di argomento dantesco, che saranno sempre annunziati nel " Bollettino bibliografico. „

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stab. tip. lit. S. Lapi, 31 di decembre 1894.

G. L. PASSERINI, direttore.

LEO S. OLSCHKI, editore-proprietario, responsabile.

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Il professore Michele Scherillo nella Nuova Antologia del primo e del sedici di novembre 1888, dopo aver provato largamente e con evidenza il differire dell' ignavia dall'accidia, respingendo cosí l'opinione di chi ponea nell' Antinferno ignavi ed accidiosi e sotto alla palude stigia gl'invidi, colloca sotto questa i puniti per accidia in compagnia degli iracondi; e, nel giustificare questo appaiamento, cita un brano del Tesoretto di Brunetto Latini che comincia:

In ira nasce e posa
accidia nighittosa,

e che prosegue svolgendo questo concetto. Dopo una parentesi nella quale si discute del perché Dante non abbia scoperto a Brunetto il nome della sua guida pel tristo regno, l'autore continua la ricerca dove pos

trovarsi i superbi e gl'invidiosi nell' Inferno, e li colloca nel ghiaccio di Cocito, sotto l' immediata presidenza di Lucifero, il primo superbo, il primo invidioso, circondato, quasi da uno stato maggiore, dalla ghirlanda dei giganti, che, forando l'aura grossa e scura, incoronano spaventosi l'orribile pozzo dei traditori.

Le prove, addotte in questo lavoro dal professore Scherillo, ebbero a convincere il D'Ovidio, il quale, nella Nuova Antologia del quindici settembre 1894, non sapendo poi comprendere come potesse Dante tormentare sotto nome di violenti e di semplici frodolenti altri peccatori oltre a quelli delle sette serie capitali, estese quella conclusione, spandendo mescolati i superbi e gl'invidi dalle torri di Dite al verme reo che trapassa il mondo. Secondo il D'Ovidio, il poeta, ad un dato punto dell'opera sua, avrebbe mutato maniera e, abbandonando la falsa

Giornale dantesco.

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riga teologica, si sarebbe attaccato alla classificazione etica di Aristotile, cavandone cosí una sua inaspettata suddivisione - minutamente analitica e costruendosi il teatro per una successione interminabile di spettacoli vari e strazianti, per una mostra maravigliosamente vivace di tanti nuovi tormenti e tormentati. Il salto poi tra l'una e l'altra maniera l'avrebbe Dante ricoperto cogli episodi del c. IX e del c. XI.

Quanto poi agli eretici, apparentemente esclusi sia dagli incontinenti, sia dai violenti, sia dai frodolenti, il D'Ovido li classifica fra i secondi.

Ma esaminiamo la questione principale.

Il D'Ovidio, a pag. 200 del citato fascicolo della Nuova Antologia, esce in queste parole: "Il poeta nostro adunque, pur superando di gran tratto l'arido scolasticume di cotesti e d'altri libri devoti e teologici (parla di quelli ove si suddividean i sette peccati capitali), non faceva a buon conto nulla di nuovo col perseguitare a suo modo alcuni dei vizi nelle lor varie sfumature, come poi, nel ricorrere ad Aristotile, non si dilungava dall'esempio dell'Aquinate e di Brunetto. In sostanza, egli non fé che una libera applicazione di procedimenti già in corso, adattandoli a' suoi propri fini, estetici, politici, morali. Si potrebbe perfino dire che, se si fosse contentato di considerare gli eretici ed i violenti come superbi, e i frodolenti e i traditori come invidiosi, e di suddividere la superbia e l'invidia secondo gli esempi che già la letteratura cristiana gli offeriva, avrebbe cosí soddisfatto a quelle ragioni artistiche di varietà che noi piú sopra abbiamo indicate. Ma quelle altre ragioni, che pure abbiam dette, gli consigliavano di piuttosto ricorrere ad Aristotile, né gli poteva d'altronde parer plausibile che p. es. i traditori non siano anche superbi oltreché invidiosi

In verità, tutte le altre ragioni che il D'Ovidio chiama "dette di sopra, e che si opporrebbero all'equivalenza dei superbi ai violenti, e dei frodolenti agli invidiosi, si riducono a questa, che cioè il poeta, seguendo la sintetica classificazione criminale della Chiesa, si sarebbe sbrigato troppo presto e preclusa la via ad empire tutte le carte or dite alla sua prima cantica, e questa gli sarebbe riuscita troppo conforme, troppo monotonamente parallela alla cantica seconda. E tale sola ragione non basta, poiché, anche senza ricorrere esclusivamente ad Aristotile, lasciando cosí da parte la classificazione ecclesiastica, a Dante sarebbe pur rimasto campo larghissimo di suddividere in molte sorte di peccatori coloro che in questa vita si fossero lasciati trascinare dai due peggiori fra i peccati capitali.

Non mi par poi interamente persuasivo quel che il D'Ovidio afferma più sotto: "al poeta non dovesse parer plausibile che p. es. i traditori non siano anche superbi oltreché invidiosi,, ; anzi cercherò di combattere questa asserzione, venendo a trattare particolarmente delle quattro suddivisioni della cerchia agghiacciata. Notiamo adunque intanto, che se

non ci fosse questo fatto ed altri consimili, supponenti cioè incompatibilità tra violenti e superbi, fraudolenti ed invidiosi, si potrebbe dire aver il poeta amalgamato la divisione della Chiesa con quella di Aristotile, non già mescolando alla rinfusa superbi, fraudolenti, violenti, invidiosi (cosa da cui dovea rifuggire il genio supremamente ordinatore dell'Alighieri), ma bensí comprendendo sotto il nome di violenti i peccatori per superbia, e sotto quello di frodolenti coloro che s'afflissero dell'altrui bene.

Passeremo poi all'esame particolare delle bolge; ora amo svolgere qualche altro argomento a conforto della mia tesi.

Sembra a me veramente molto strano che, mentre i santi padri e i dottori si erano tanto affaticati a stabilire i sette peccati capitali, e nel mentre il poeta avrebbe potuto conciliare benissimo i suoi intendimenti artistici colle partizioni già usate dei due peggiori peccati, egli abbia ad un certo punto abbandonato affatto la via che la dottrina religiosa gli apriva dinanzi, per accettare una novella classificazione (sia pure stabilita dal Saggio dei saggi), e per aver poi a nasconder con tutte le risorse del suo genio il gran salto (sia pure, come vuole il Minich, ideato dopo i primi otto canti, sia pure, come piace al Todeschini, provvidamente preordinato fino dal principio dell'opera, sia pure infine, come scrive il D'Ovidio, squisitamente velato dagli episodi dei canti IX ed XI, quasi arazzi di che un valente artefice ricopra le commessure d'un intavolato). Che bisogno c'è di costrurre ipotesi a cercare un mutamento nella dottrina penale di Dante, e costrurne poi delle altre per spiegare le prime? È bensí vero che, dal canto XI in poi, non ci appariscono piú dinanzi che violenti o frodolenti, e che la parola "invidiosi non ricorre mai, e quella "superbo, è solo attribuita a Capanèo, e piú giú a Fialte: ma l'Alighieri usa forse sempre una sola parola per indicarci una colpa determinata? E non dice di Folo che “fu sí pien d'ira, e, giunto alla riva del lago di sangue nel c. XII, non prorompe forse cieca cupidigia, o ira folle! dove parrebbe che invece di violenti contro il prossimo, vi bollissero iracondi od avari?

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E c'è un'altra ragione. L'Alighieri, come vedremo meglio fra poco, tentava di ricondurre la dottrina aristotelica sotto le grandi ali della Chiesa. Non era quindi molto giusto tacere la classificazione dogmatica conosciuta da tutti, che si sapeva esser d'obbligo il seguire, per usare invece la terminologia corrispondente e meno nota del grande di Stagira?

A me pare certamente di sí. Ed è quindi naturale che Dante conservasse la differenza che intercede tra i due peccati, anche nell'Inferno, cosí come fece poi nel Purgatorio, dove anzi la fa risaltare maggiormente, dipingendo con evidenza mirabile l'effetto che sui sette P, incisigli in fronte dalla spada dell'angelo alla porta, opera l'ala purificante di quello che promette sicura l'andata a lui libero da ogni superbo pensare.

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