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mura, ma ai martiri». O da quando in qua martiri significò sepolcri? Il Blanc traduce tormenti: e sotto quel nome sono indicate più le fiamme che gli avelli, o tutt' e due insieme; così è vero che se si leggesse alti martìri, noi spiegheremmo intensi, acuti, aspri tormenti. E l' Alighieri altrove scrisse (Inferno, XVI, 6):

Sotto la pioggia dell' aspro martìro.

A pagina 25 del mio lavoro ho abbastanza dimostrato come gli avelli siano molto ampi, e i coperchi sollevati visibili da lontano, onde non è il caso d' annoiare il lettore, benchè il Barbi abbia trovato molto comodo il

tacerne.

Nella questione di Malebolge egli, senza però affermarlo apertamente, in generale si mostra del mio avviso, ma mette in dubbio l'eguaglianza nella inclinazione degli argini, credendo che alcuni abbiano più dolce pendio, come quello per cui i poeti riescono a discendere nella bolgia dei simoniaci, e l'altro per cui si allontanano dagl' ipocriti. Fo notare, senza troppo fermarmi (cfr. p. 31 e n. 5 c. III del mio lavoro), che nella terza valle Dante è trasportato sulle braccia da Virgilio (Inf. XIX, 34, 43, 124 segg.), mentre l'argine settimo è praticabile, a fatica, per le pietre della ruina del guasto ponte (XXIV, 19, 24). L'obbiezione del Barbi non ha dunque alcun valore.

Riguardo al nono cerchio egli afferma: «Non è vero che il Giambullari l'abbia concepito proprio in forma d' un imbuto, come vuole il prof. Russo, il quale ha qui la cortesia di scrivere che il Michelangeli ed io avrem certo sognato, quando leggevamo il trattato dello scrittore cinquecentista, perchè gli demmo lode d'aver dimostrato piano il lago di gelo, dicendolo quell' autore espressamente piano e non concavo, sebbene n'ammetta una leggera pendenza». Prima dichiaro che con quella frase un po' vivace non avevo intenzione di menomare la stima che i cultori di Dante hanno dei due egregi uomini, nè sospettavo che si sarebbe tanto risentito l'animo del dott. Barbi; ma lasciando in un canto la cavalleria, egli fa male a persistere nell' errore. Era sufficiente infatti la nota 3 del IV cap. a chiarire che la ghiaccia del Giambullari è in forma di cono rovesciato (la base di raggio un miglio, l'altezza d' un quarto); poichè non basta, aggiungo che a pag. 129 del suo trattato il cinquecentista disegnò il triangolo rettangolo ABC con le seguenti indicazioni: A A

cocuzzolo di Lucifero; B = mezzo il petto

di Lucifero; C = punto ove Anteo posa i poeti.

Se questi si recano dal punto C al punto B,в

forse Cocito non è in forma d' imbuto ? Rotiamo la retta BC intorno ad AB come asse, e si rigenererà una superficie concava.

Il Barbi poi, per mettere in discredito la grande profondità del nono cerchio, voluta anche dal Manetti, dal Landino, dal Benivieni, salta a pie' pari la mia osservazione sul significato del nome pozo (luogo meno largo che profondo), discute sulle ragioni che io stesso ho date come probabili, e, avvolgendo tutto nel dubbio, afferma cose ripetute già da me sino alla noia.

Ci domanda: «da che risulta che le traverse di ogni cerchio, girone, zona di girone, bolgia, dove vien punita ciascuna classe di peccatori, siano tutte eguali, e che per tutte valga la misura di miglia 1,75 data dal poeta come larghezza massima d'ogni bolgia, compresi gli argini?». Trattando delle proporzioni ho dichiarato (p. 69, 70): «il lettore non si aspetti numeri infallibili.... un' esatta misura dell' Inferno è impossibile.... » ; dopo queste parole mettere in dubbio ciò che fu dato come ipotesi, mi pare in verità poco serio. Invece si sarebbe dovuto discutere se le mie ipotesi sono più attendibili di quelle degli altri, il che mi sono sforzato di chiarire nel VI cap. del mio lavoro. E il Barbi:- perchè Cocito non misura 1,75 di raggio invece che di diametro? Perchè Dante lo volle così, quando ci diede per la decima bolgia una circonferenza di 11 miglia. E ancora il Barbi: - se il terzo girone dei violenti ha di largo tre volte l'unità di misura, come il poeta dal termine della selva dei suicidi vede le diverse gregge d'anime punite nel sabbione? - Quante altre cose Dante non vede, che giudicate coi criteri del nostro mondo sembrano inverosimili! La straordinaria larghezza di quella zona ci viene chiaramente indicata, quando egli, pur non avendo ancora attraversato tutto il sabbione, sull' argine del ruscello osserva (XV, 13):

-

Già eravam dalla selva rimossi

tanto, ch' io non avrei visto dov' era,
per ch'io indietro rivolto mi fossi.

Il poeta allora non aveva visto di particolare che Capanèo, e camminando sempre, dopo lunghi tratti di via s'incontrò con ser Brunetto, Guidoguerra, ecc. (cfr. pp. 68, 71, 72 e app. 3 del mio lavoro). Insomma il Barbi non si è spogliato interamente di quei preconcetti che spingono a inconscie illusioni, prima di giudicare, prendendo in esame gli altrui lavori, la topografia dell' Inferno; egli si lascia vincere dalla persuasione che i luoghi d'abisso debbano rispondere alla verosimiglianza, nè più nè meno, e mi fa notare che nel misurare la discesa del Minotauro non ho tenuto. conto della pendenza della ruina. Tra le gigantesche proporzioni dei cerchi infernali voler badare agli avvallamenti e alle ruine del terreno, mentre non si possono avere misure precise, è in vero da sognatori.

Veniamo alla questione dell' orario: ho rimesso in onore l'opinione di Donato Giannotti, che il viaggio dall' entrata in inferno sino al centro terrestre durasse ore 48 e non 24, ed ho dimostrato come seguendo la comune ipotesi, andiamo incontro a certe stranezze, a certe contraddizioni che offendono il buon senso. A me sembra logico che dal IV al VI cerchio s'impieghino 4 ore, attraversando due zone di peccatori e una discesa breve, mentre se ne impiegano meno di 3 a passare dal VI cerchio alla quarta bolgia, attraversando sette zone e due discese grandissime (il burrato e l'alto burrato).

Il Barbi osserva che la mezzanotte del IV cerchio non è sicura, tanto che io segno in quel luogo circa le 2 am.; neppure l'ora del VI cerchio (le 4 dei mat.) egli crede certa, e vuole col Sorio segnare invece le 2 11⁄2.

Dato che presso gli avari sia mezzanotte e presso gli eresiarchi le 2 11⁄2 (il Barbi non pretenderà che si segnino le 2 al IV, le 2 1/2 al VI cerchio), avremo a passare lo Stige e la campagna di Farinata ore 2 1/2; pel Flegetonte, la selva, il sabbione, i lenoni, gli adulatori, i simoniaci, gli indovini, oltre le due discese, ore 4 12. Nel primo lasso di tempo ritardano l'andare Filippo Argenti, le Furie, Farinata con Cavalcante e il puzzo della valle; nel secondo invece Chirone e il cammino lungo il fiume di sangue, Pier delle Vigne, le cagne, Capanèo, Brunetto, i tre Fiorentini, gli usurai, Venedico, Giasone, Alessio Interminelli, Taide, Niccolò III, gl'indovini, l'origine di Mantova. Se a questi episodi aggiungiamo il cammino, lungo più del consueto, sul ruscello del terzo girone, la discesa e la salita sull'argine della terza bolgia, la discesa pel burrato, durante la quale Virgilio trova modo anche d'intrattenere il suo alunno (XII, 28 segg.), e il lento volo di Gerione giù per l'alto burrato, appar chiaro che la differenza del tempo dev'essere molto considerevole, non come uno sta a meno di due (211⁄2 sta a 41⁄2).

Il Barbi però argomenta che Gerione vada giù «in modo più sollecito» e non ricorda, o non vuol ricordare, che la fiera

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Se volessimo concedere anche questo, egli non avrebbe mai ragione; infatti, per andare dalla V alla IX bolgia tutti sanno che sono impiegate ore sei, un'ora e un quarto in media per ogni bolgia; per le prime quattro dunque saran passate ore cinque. E come si fa dopo ciò a spiegare che attraversando queste quattro bolge, e i tre gironi dei violenti, e il burrato, e l'alto burrato passano meno di cinque, 4 ore /? Come il Barbi rimedia alla stranezza da noi ossesvata? Ora si noti che la contraddizione esiste anche

ammettendo le premesse del mio critico, il quale pretende che la frase i Pesci guizzan su per l'orrizzonta (XI, 113) possa significare « la costellazione dei Pesci si è appena affacciata all' orizzonte ». Tutti invece intendiamo l'avverbio su nel suo vero significato, e l'ora del VI cerchio per le 4 del mattino, il che rende più illogico l'orario comune.

Ecco un' ultima obbiezione: se Dante si perde nella selva la notte del mercoledì, non si riesce a spiegare le parole da Virgilio dette la mattina del sabato (XX, 127):

E già iernotte fu la luna tonda:

ben ten dee ricordar, chè non ti nocque

alcuna volta per la selva fonda.

Io ho provato fino alla prolissità che il poeta nella selva dei vizi e dell' ignoranza (oscura... selvaggia ed aspra e forte... tanto amara che poco è più morte... la notte ch' ei passò con tanta pièta... là dove il sol tace...) non poteva essere rischiarato e favorito della luna piena. Solo quando Virgilio guida il poeta fuori della selva verso il cammino d'inferno, appare la luna (ragione umana) che riflette i raggi del sole (Dio), e favorisce il viaggio. La parola iernotte pronunciata il sabato, giustamente va riferita alla notte avanti il venerdì, quella che comincia quando lo giorno se n'andava e Dante s' apparecchiava a sostener la guerra Si del cammino, ecc. Questa interpretazione, avvalorata da un confronto con un luogo del Purgatorio (XXIII, 118), è del padre Ponta, e al dott. Barbi non so proprio cosa aggiungere, se non se ne vuol persuadere; egli però più tosto che dichiarare erroneo l'orario del Giannotti, accennando con dubbie frasi ai nostri argomenti, avrebbe dovuto o combatterli validamente o non parlarne addirittura.

Conchiudo il miò recensore, mal disposto verso quell'opuscolo che in veste dimessa veniva alla luce e senza pretensioni, me lo concia come. meglio può, usando di tutti i mezzi, che pei suoi meriti d' erudito facilmente avrebbero potuto persuadere ogni lettore: mi nota financo che poco felicemente ho decifrato i caratteri del codice Magliabechiano. Confesso che la scienza paleografica non è il mio forte, e gli chiedo perdono se la scrittura del quattrocentista mi è sembrata punto chiara; ma ho anche motivo di non prestar fede a quest' altra sua aşserzione, fino a tanto che non me ne venga una prova (1).

Catania, febbraio 1894.

DOTT. V. Russo.

(1) Facciamo seguire alle osservazioni del dr. Russo una breve risposta del dr. Michele Barbi al quale inviammo, per debito di cortesia e di amicizia, le bozze di questo scritto. LA DIREZIONE.

Vorrei rispondere al sig. Russo, perchè fa apparire la mia critica incerta, infondata e maligna, mentre io ho la coscienza d'aver dato del suo libro un giudizio pensato e sereno. Ma che debbo dire a uno che mi chiede prove e indicazioni, che nell'articolo ho già date? che avendo io scritto « dentro il fummo del pantano e oltre », omette questo e oltre per dedurre che le meschite verrebbero ad esser secondo me fuori della città di Dite, nel pantano? che nega valore a mie argomentazioni fondandosi su versi conciati in questa maniera Mi pinser tra la sepoltura e lui? che scherza sulla mia acutezza, perchè nel verso Passammo tra i martìri e gli alti spaldi intendo martiri per sepolcri? che mi fa porre di più dolce pendìo così l'argine per cui i poeti riescono a discendere nella bolgia de' simoniaci (che è vero), come l'altro per cui si allontanano dagl' ipocriti (che è il contrario)? che non vuole tenere nel debito conto l'espressione « piano e non concavo» del Giambullari per fare del lago disegnato da questo propriamente un imbuto? che continua a credere che posare al fondo del Pozzo significhi avviare d' un brevisssimo tratto (sin dove può arrivare Anteo con le sue braccia) verso il fondo lontano 88 miglia ? che mi dà del sognatore, perchè, essendo i ripiani dei tre ultimi cerchi relati vamente molto stretti (il settimo è miglia 8.75, l'ottavo 17.50, il nono 0,875), penso fosse da non trascurare la base necessaria alla rovina del Minotauro, alta, secondo il prof. Russo, 800 miglia e composta di pietre che si muovono sotto i piedi del poeta ? che fa ragionamenti e calcoli a proposito dell' orario dell'Inferno, presumendo ch' io accetti l'opinione del p. Sorio a preferenza d'altre, e facendo anch' altra supposizione, mentre io mi limito ad osservare che c'è possibilità di togliere una data contradizione, nei termini in cui vien posta dal Russo, senza allungare il viaggio per l'inferno di 24 ore? che s'ostina a credere che la luna la quale non nocque alcuna volta a Dante per la selva fonda, abbia invece dato aiuto ai poeti quando, «volgendo le spalle alla selva» (p. 59), si misero per « via profonda, inclinata e sotterranea» (p. 59) in cammino per l'inferno? che non presta fede neppure a una mia asserzione circa una cosa materiale, qual' è quella di vedere se il prof. Russo ha saputo o no legger bene un brano d'un manoscritto? Poichè questa prova occupa poco posto, e nel mio articolo veramente manca, non vo' trascurare di darla qui.

Russo

Ms.

... e questa è la ragionevole forma dello inferno col viaggio di Dante e per uno luogo per lo quale si vede parte d'ogni particularità.

... e questa è la ragionevole forma dello inferno, e el viagio di Dante è per uno luogo per lo quale si vede parte d'ogni particularità.

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