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meno che gli furono offerti in Ravenna da Guido Novello; ed è da notarsi che in queste offerte vi era per lui qualche cosa di particolare e di nuovo che ne accresceva il valore.

Fino a quel punto infatti la corona di alloro non era stata concessa che a poeti eruditi, che avevano scritto in latino ed erano stati reputati continuatori dei poeti della classica antichità. Dante dunque sarebbe stato il primo poeta coronato per un poema in lingua volgare; e il suo trionfo sarebbe stato quello della lingua e della letteratura italiana, e tanto per l'uno, quanto per l'altra sarebbero cominciati nuovi tempi e nuovi destini.

Dante, pria della sua coronazione, voleva dar termine alla cantica del Paradiso, allora vicina al suo compimento. Ma alla speranza oramai certa di questa coronazione si mescolava invincibilmente una dubbia speranza, quella di essere coronato in Firenze. Nei luoghi stessi della sua culla, nei luoghi dove avea balbettato i suoi primi versi, sembravagli dolce e glorioso esservi proclamato poeta d'Italia. Era questo il suo più vivo desiderio, il suo sogno più caro, e, lo ripeto, la sua più tenace speranza.

Immaginavasi, almeno talvolta, che compiuto il suo gran poema, il governo fiorentino, o per vanità, o per riguardo all' opinione dell'Italia intera si addolcirebbe alfine per lui, decretandogli quella corona che città straniere gli avevano offerto. Nel peggior caso, immaginava che in qualunque luogo fosse coronato, la fama che conseguirebbe da un tale onore commuoverebbe il governo di Firenze e renderebbe più facile il suo richiamo.

Di queste speranze, di questi pensieri e di queste agitazioni si rinvengon le tracce non solo nel tratto del Paradiso, testè citato, ma ancora in due composizioni di Dante in versi latini, scritte, l'una nel 1320, e l'altra nel 1321. Sono due epistole, in forma di egloghe virgiliane, scritte in risposta

a due epistole o egloghe del medesimo genere, che gli aveva diretto Giovanni di Virgilio di Bologna, poeta latino allora celebre. In questi due componimenti latini del nostro poeta vi sono allusioni a diverse particolarità de' suoi ultimi anni, e queste allusioni, sebben vaghe e sovente oscure, son tuttavia preziose per la biografia dell'autore, e meritano di esser tenute in pregio più di quanto non lo sono state finora. Ma ritorno alla vita di Dante, e quanto a dir mi rimane sarà breve, più breve ancora di quanto ho detto` de' suoi ultimi disegni.

Egli terminò la cantica del Paradiso nei primi mesi del 1321. Non appena l'ebbe terminato, lasciò Ravenna per recarsi in qualche altra città d'Italia, non può dirsi con certezza in quale, ma probabilmente in Venezia ; e in questo caso non può esser certo che vi fosse inviato da Guido Novello per trattar qualche negozio col senato della repubblica. Qual fu il risultato della missione, se pur ne ebbe l'incarico? Ciò s' ignora; solo è certo che la lontananza di Dante, qual che ne fosse il motivo, fu breve; ei ritornò in fretta a Ravenna, dove, appena ritornato, fu colto dalla malattia, di cui non doveva liberarsi, e morì il 14 settembre di quel medesimo anno 1321.

Guido Novello volle mantenere all' estinto poeta la promessa che fatto avevagli in vita; i funerali di Dante furono il mesto e freddo simulacro di un trionfo poetico. Egli fu trasportato in un carro riccamente ornato, vestito di magnifiche vesti, coronato di alloro e con un libro aperto sul petto, e quindi seppellito nel cimitero della chiesa dei Frati minori, sotto l'abito de' quali dicono, avesse voluto morire.

Per dir qualche cosa dell' esterno e delle maniere di Dante, non posso se non togliere ciò che ne dice il Boccaccio, che solo potè saperne e dirne qualche cosa.

<< Fu Dante di mediocre statura ed ebbe il volto lungo ed

il naso aquilino, le mascelle grandi e il labbro di sotto proteso tanto che alquanto quel di sopra avanzava; nelle spalle alquanto curvo e gli occhi anzi grossi che piccoli, e il colore bruno e i capelli e la barba spessi, crespi e neri e sempre nel viso malinconico e penoso. Rare volte, non domandato, parlava, quantunque eloquentissimo fosse, sommamente si dilettò in suoni ed in canti nella sua giovinezza, e per vaghezza di quegli di quasi tutti i cantori e suonatori famosi suoi contemporanei fu domestico » (1).

(1) Ho tolto da questo frammento alcune particolarità che cita il Fauriel come attinte dalla vita di Dante del Boccaccio, quali son quelle che Dante ricevette nella sua giovinezza lezioni di pittura dal Cimabue e fu legato in amicizia col Giotto. Per quante edizioni abbia consultato della vita di Dante del Boccaccio, non vi ho rinvenuto tali cose, nè so da quale edizione abbia il Fauriel tolto il frammento di cui si tratta. (Il Traduttore)

VII. LEZIONE

TROVATORI PROVENZALI IN ITALIA.

In tutto ciò che ho detto finora di Dante, mi son limitato al racconto degli avvenimenti della sua vita, pubblica o privata, ed ho cercato di notare tra questi avvenimenti quelli che credeva più acconci a dare un'idea del suo carattere, de' suoi costumi, delle sue opinioni politiche, e dell'andamento particolare della sua immaginazione. Queste promesse, io spero, non sarauno perdute pel giudizio delle sue diverse opere e particolarmente della Divina Commedia.

Tuttavia questo giudizio richiede più diretti ed immediati antecedenti; perchè non potrebbe darsi un' idea precisa di ciò che Dante fece per l'italiana letteratura, nè di ciò che vi rappresenta, senza mostrare cos' era prima di lui questa letteratura, cioè senza farne conoscere la origine e i primi sviluppamenti. A ciò saran consacrate questa e le due o tre seguenti lezioni, il cui obbietto generale sarà da me sulle prime specificato.

Si possono stabilire all'anno 1300 i primordi della nuova letteratura, che può dirsi creata da Dante, ed alla quale si darà, se si voglia, il nome di classica. Quanto alla letteratura che la precedette e che ne fu quasi il germe, può farsi risalire ad epoche più o meno antiche, secondo il modo con

cui si concepisce, e lo scopo con cui si tratta. È mio divisamento il cominciare sin dai primi tempi. Lo studio delle origini e dell'epoche primitive delle letterature è divenuto e diverrà sempre più uno dei rami più interessanti dell' istoria dello spirito umano; e fra le letterature moderne di Europa la letteratura italiana è senza dubbio una di quelle, dal cui studio trar si possono maggiori vantaggi.

Ne' suoi limiti ordinari e più o meno generalmente riconosciuti, l'istoria della cultura letteraria degli Italiani prima di Dante comprende tre serie di fatti principali nelle quali possono metodicamente dividersi i noti particolari di questa istoria. Ecco i fatti di cui si tratta.

I primi poeti in lingua volgare che esistessero in Italia furono i provenzali. Nella metà del XII secolo, o al più tardi nel 1162, i trovatori del mezzogiorno della Francia cominciarono a frequentare le corti d'Italia, tanto quelle dei signori del paese, quanto quelle degli imperatori di Alemagna al tempo delle loro discese e delle loro spedizioni; e continuarono a visitarle costantemente fin verso il 1263, cioè per più di un secolo.

Nei ventiquattro e trenta anni di quel secolo, dal 1162 al 1185 o 1190, non vi è un solo Italiano noto per aver composto versi in idioma volgare (1). Ma trascorse queste ultime

(1) Francesco Trucchi nella sua pregiatissima raccolta di poesie italiane inedite di dugento autori dall' origine della lingua, infino al secolo decimosettimo, stampata in Prato nel 1846 pei tipi di Ranieri Guasti, pubblica fra le diverse poesie di trovatori italiani, un frammento di un poema in nona rima di un anonimo siciliano che, secondo lui, fu scritto verso la prima metà del 1100, ed è un monumento prezioso della civiltà e della letteratura arabo-sicula -normanna. Ne citerò i primi versi:

Al novel tempo e gaio del pascore
Che fa le verdi foglie e fior venire;

FAURIEL

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