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Simili componimenti non potrebbero esser citati per se stessi, ma hanno sempre qualche interesse come punto di paragone o di partenza nell' istoria generale di una letteratura.

La poesia che abbiam veduto nascere o fiorire alla corte di Federico II, dal 1225 al 1250, epoca della morte di quell'imperatore, non decadde d' un tratto sotto il regno di Manfredi, suo figlio e suo successore. Ho provato in sulle prime che i trovatori provenzali accorsero alla corte di quest'ultimo siccome a quella di Federico. Ho citato altrove (1) un componimento di uno di questi trovatori sulla battaglia di Montaperti, vinta nel 1260 da un vicario del re di Sicilia sulla lega de' Guelfi di Toscana con a capo i Fiorentini. Più tardi nel 1265, quando Manfredi, ucciso alla battaglia di Ceperano, fu sepolto sotto il cumulo di pietre che scagliarono per pietà sull' ignudo suo cadavere i soldati vittoriosi di Carlo d' Angiò, un poeta provenzale, divenuto ghibellino, oso celebrare il re scomunicato e vinto e compose un canto funebre in onore di lui.

Si conoscono pure parecchi poeti siciliani che fiorirono alla corte di Manfredi; ed è certo ancora, che questa corte fu

(1) Vedi la VII lezione, pag. 208.

molto più galante di quella di Federico II. Gli storici ne dicono meraviglie; ma fra queste meraviglie si rinvengono insinuazioni vaghe, indizi oscuri, che alcun non osa rischfarare, o determinare, per tema di rinvenire sotto forme ricercate di gentilezza e di galanteria una mollezza ed una corruzione che non avevan nulla di cavalleresco. Secondo gli storici di cui si tratta, la corte di Manfredi era un paradiso di delizie, il centro di tutti i piaceri e di tutte le larghezze del mondo, la scuola di ogni genere di poesia e di canti, il luogo in cui trovavasi tutto ciò che poteva abbacinar gli sguardi in fatto di ornamenti e di belle donne. Fra gli uffizi di quella corte, eravi quello di una dea o regina d'amore, e quello di un dio o di un re delle Vanità, il quale, apprendeva agli uomini ed alle giovinette tutto che riguardava l'amore. Quanto alla dea, gli storici non dicono ciò che insegnava, nè noi siam vaghi d' indovinarlo.

Non eravi, il ripeto, in tutto questo nulla di cavalleresco, nulla di veramente favorevole alla nuova poesia italiana, in modo che prima ancora della morte di Manfredi, avea cominciato a decadere in Sicilia. In Bologna invece, in Romagna, e soprattutto in Toscana era coltivata con più splendore, e prendeva a poco a poco un carattere artistico più distinto ed elevato.

X LEZIONE

POESIA CAVALLERESCA ITALIANA

Scuola di Bologna.

Bologna era allora in Italia il centro e quasi il luogo principale di ogni genere di studi. Non vi accorrevan meno di dieci o dodici mila studenti da tutte le parti della penisola o da paesi stranieri. Oltre alla medicina ed alla giurisprudenza che formavano i rami di studio più in fiore, coltivavansi con ardore la filosofia è particolarmente la filosofia morale, che l'imperatore Federico II avea potentemente contribuito a mettere in voga. Egli avea fatto tradurre dall'arabo in latino la versione della morale di Aristotele, della quale avea mandato in dono un esemplaré all' università di Bologna; e da quel tempo la filosofia di Aristotele cominciò a rendersi popolare in Italia,

Gli studi che avevano un più diretto rapporto colla letteratura, siccome la grammatica, la rettorica e la eloquenza, non erano men fiorenti degli altri, ed ebbero sulla cultura della poesia volgare un' influenza che manifestossi in diverse guise.

Dal 1250 al 1270, si formò in Bologna, in quel movimento generale di spiriti, ciò che potrebbe chiamarsi una nuova scuola di poesia, la cui storia non è sventuratamente nota siccom' esser dovrebbe. Dei diversi poeti, che ne uscirono

quasi ad un tempo, non se ne conoscono che quattro o cinque, fra i quali Guido Ghislieri, Fabrizio, Onesto e Guido Guinicelli.

Dei tre primi non rimane che nulla o poco, onde non giova il parlarne; Guido Guinicelli è l'uomo distinto, il vero capo di questa scuola, di cui non posso dispensarmi di dir qual

che cosa.

Guido Guinicelli de' Principi discendeva da una delle più illustri famiglie di Bologna, che parteggiante pe' Ghibellini ne divise sino all' ultimo i pericoli, le sventure, i vantaggi. Dal 1246 al 1257, Guinicelli, padre di Guido esercitò importanti uffizi nel governo del suo paese. Più tardi, nel 1275 fu eletto podestà della città di Narni. Fu questo l'ultimo atto della sua vita politica; ritornò quindi in Bologna, ed ivi visse pochi anni, ma in uno stato d'infanzia e d'idiotismo, che era una morte anticipata.

Egli aveva tre figli, il maggiore dei quali era Guido. Sin dall' anno 1268, gli atti della repubblica di Bologna offrono qualche vestigio dell' intervento di Guido, negli affari pubblici. Ei si era particolarmente applicato allo studio della giurisprudenza, e servì il suo paese nell' uffizio di giudice.

L'anno 1274 fu anno funesto pe' Ghibellini di Bologna, poichè furono assaliti e discacciati dalla forza del partito popolare, e la famiglia de' Guinicelli partecipò a' rigori della proscrizione. Il vecchio Guinicelli fu risparmiato qual decrepito idiota; ma i suoi tre figli furon colpiti. Uberto, il più giovine fu esiliato in perpetuo, i due altri, Guido e Giacomo, furon trattati con più dolcezza, e il loro bando fu temporaneo.

S'ignora dove Guido si ritirasse, ma solo è certo che morì esule, nel 1276, nel vigore degli anni e dell' ingegno.

Le raccolte di antichi poeti italiani attribuiscono a Guido Guinicelli ventiquattro componimenti, sonetti o canzoni; ma

fra questi ve ne sono molti che non son di lui, e che gli surono per errore attribuiti. Tale, è fra le altre, una canzone diretta a Dante sulla morte di Beatrice. Guido era morto sedici anni prima della Beatrice di Dante, nè poteva in nessun modo deplorarne la perdita.

Paragonando la poesia di Guido Guinicelli a quella de' suoi antecessori siciliani può rilevarsene tutto il merito ed assegnare all'autore il posto che gli è dovuto nell' istoria dell'italiana letteratura. Eccetto pochi, questi componimenti, siccome quelli de' Siciliani, seguono il gusto ed il sistema de' Provenzali, e tutti si aggirano sull' amore cavalleresco, e sono la espressione dei sentimenti dell' amore per una dama, arbitra suprema de' suoi destini.

Questi componimenti non son tutti di un merito uguale. La maggior parte si distinguono per la diversità che indica il progresso dell' ingegno dell' autore; ma i più deboli e più cattivi sono per ogni riguardo superiori a quelli de' Siciliani. Vi si rinviene più ordine, più arte, più immaginazione e tratti ingegnosi, più elevazione di sentimenti e d'idee. La lingua, mettendo, da parte la purezza del dialetto, è incomparabilmente più flessibile, più raffinata, più grammaticale, infine vi si rinviene, ciò che manca ne' Siciliani, una certa libertà, una certa agevolezza, dirò quasi una certa originalità nello imitare i modelli provenzali.

Costretto di proceder più sollecitamente.di quanto vorrei, non posso fermarmi ad analizzar lungamente le poesie di Guido Guinicelli. Ne citerò soltanto alcuni frammenti, scelti nelle composizioni più caratteristiche dell' autore, in quelle che posson meglio segnare il grado cui egli innalzò la poesia cavalleresca italiana, lasciata sì basso da' Siciliani.

Uno di questi componimenti è una lunga canzone, che dal principio alla fine non è altro che un' effusione di amoroso entusiasmo per le perfezioni della sua donna. Egli è da lei

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