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numero se ne trovano alcune che gli furono ispirate dalla bella Cunizza. Ma indarno si cercherebbe in questi componimenti il minimo segno di una sentita distinzione tra persone e condizioni diverse, il minimo indizio d' inevitabili modificazioni del medesimo sentimento per effetto degli accidenti naturali della vita. È anche probabile che tutti questi componimenti siano stati composti per la stessa persona e nel medesimo giorno; ma, lo ripeto, non pochi contengono tratti dove le idee comuni della galanteria cavalleresca son manifestate con grazia ed in modo ingegnoso, e ne citerei alquanti, se simili tratti non perdessero tutta la loro bellezza e tutto il loro carattere perdendo la loro nativa melodia; ne citerò qualcuno fra i più brevi. Ecco il principio di uno de' suoi più gravi componimenti:

« L'uomo vive per quanto vive il piacere. Ogni altro modo di vivere non merita il nome di vita. Ecco perchè io mi sforzo a vivere ed a fiorire in allegrezza, onde servir con più ardore la dama che io amo. Nessun uomo, se vivesse dolente, potrebbe avere il coraggio di far nobili azioni ... »

Il medesimo componimento contiene un tratto importante per l'allusione, che vi si rinviene, all' uso della bussola, in un' epoca molto più antica di quella, cui si riferisce il tratto famoso, nel quale Guiotto da Provino descrive questo istrumento.

Un altro componimento amoroso di Sordello, meno elevato del precedente, ma più originale se non pel sentimento, almeno per la forma, comincia nella prima stanza con due versi che servono di ritornello a tutte le stanze seguenti :

« Ohime! che fanno i miei occhi, esclama il poeta, quando non vedono quello ch' io voglio?

Ecco un'intera stanza:

<< Benchè il suo amore mi tormenta, e mi faccia morire, io non mi lamento, poichè io muoio per la più amabile, e prendo il male per bene.

«Che mi permetta di sperar da lei mercè, e qualunque sia il dolore ch' io provo, non ascolterà da me un sol lamento. » « Ohimè ! che fanno i miei occhi quando non vedono quello ch'io voglio? >>

I componimenti satirici di Sordello sono in generale più ingegnosi ed originali delle sue canzoni amorose. Ma l'effetto di queste satire si lega ad allusioni rapide ed oscure, e quand' anche chiare fossero, non potrebbe darsene un'idea, riferendosi la maggior parte a fatti di poca importanza. Ne citerò solo alcuni tratti sparsi, che dipingono il carattere di Sordello, e ci offrono qualche lume sulla vita che menava alla corte di Provenza.

Un trovatore, chiamato Pietro Bermonte da Ricanova, fu, a quel che sembra, uno dei più accaniti nemici di Sordello; egli scrisse contro di lui ingiuriose serventesi, alle quali Sordello rispose con altre non meno ingiuriose. Tra gli altri rimproveri che fa a Sordello, lo tratta da giullare, termine vago, che, fra i suoi diversi significati, ne avea taluni non favorevoli. Ecco come Sordello risponde a questo rimprovero:

<< A torto ei mi tratta da giullare; il giullare è quello che segue un altro; io conduco qualcuno al mio seguito; io non ricevo nulla, ma dò; egli non dà nulla, ma riceve ; le vesti che indossa l'ha ricevuto per compassione; io non accetto nulla che possa farmi arrosire io vivo dei miei beni, ricusando tutto che sarebbe un salario, non accettando nulla che qual pegno di amicizia. »

Questi versi, convalidati da altri tratti delle poesie di quel tempo, indicano chiaramente che Sordello viveva in Provenza nella condizione e nel grado di cavaliere, e che il titolo di trovatore non era per lui che un titolo se condario, nobilitato dal primo: egli era trovatore come lo erano parecchi dei più distinti gentiluomini della corte di Provenza.

Uu altro tratto della medesima serventese, preso nel senso

letterale, o almeno sul serio, darebbe un' alta idea della dʊlcezza dei costumi e della benigna indole di Sordello. « Non dovrebbe, egli dice parlando del suo avversario, accusarmi di doppiezza: io son leale e di tal umore che non oserei far le corna ad un gatto ! »>

Il tratto è bizzarro, sebben semplice ed ingenuo; ma da simili tratti non potrebbe riconoscersi il Sordello di Dante. Vorrei terminare questo rapido cenuo sulla vita di Sordello con qualche citazione di sue poesie, più estesa delle precedenti e più acconcia a dare un'idea del suo ingegno. Ne rinvengo una che sembra convenire al mio scopo. È una serventese in morte del signore di Blacasso, personaggio. di cui è indispensabile il saper qualche cosa, per meglio valutare la poesia per lui composta da Sordello. Questo signore di Blacasso è rappresentato nelle tradizioni provenzali siccome il tipo, siccome l'ideale più perfetto delle virtù cavalleresche, quali le intendevano in Provenza nella seconda metà del secolo XIII. Un biografo anonimo ha lasciato di lui una vita, o per dir meglio un ritratto in poche linee, che riesce molto interessante. Questo ritratto è in tal guisa caratteristico, e serba in tal guisa l' impronta dello spirito dell'epoca, e le idee e le dottrine cavalleresche vi sono riassunte e concentrate in sì poco spazio, che per far ben comprendere queste poche linee, e per ben svilupparne il senso vi si dovrebbe aggiungere un lungo commentario.

Io non ho il tempo di far ciò, ed essendo questo tratto introducibile in francese moderno, mi limiterò a tradurlo letteralmente, senza lusingarmi di riuscir chiaro abbastanza.

<< Il signor Blacasso fu di Provenza, nobile, alto e potente barone. Ei compiacevasi nel far doni, nella guerra, nelle larghezze, nel tener corte, nel dar feste, negli allegri tumulti, nei canti, nei sollazzi e in tutte le cose colle quali un nobil uomo acquista pregio e valore. Non vi fu mai uomo

che siccome lui amasse tanto a ricevere quanto a dare. Egli fu quello che mantenne gli abbandonati, che difese i deboli, e quanto più s' inoltrò negli anni tanto più crebbe in larghezza, in cortesia, in valore, in armi, in onori ed in beni; tanto più l'amarono i suoi amici, lo temettero i suoi nemici, e si accrebbe il suo gusto, il suo sapere, il suo valore e la sua galanteria. >>

Tale è l'uomo di cui Sordello dovea deplorar la morte e celebrar la memoria. Fino a quel punto i poeti provenzali in simili casi, non avevan prodotto che monotone e poco commoventi lamentazioni. Sordello ringiovanisce il subbietto in modo ingegnoso ed originale; egli non fa direttamente l'elogio di Blacasso, lo loda in modo indiretto e più piccante, con tratti satirici lanciati contro i re e le potenze di quel tempo. Per dare a questi grandi personaggi le virtù e l'eroismo che loro mancavano, egli vuol dividere tra loro il cuore magnanimo di Blacasso e darne a ciascuno a mangiare una parte. Ecco le due prime stanze del componimento, che basteranno a darne un'idea :

« lo voglio piangere il signor Blacasso in questo canto familiare e con cuore mesto e dolente, e ho ben ragione di piangere, poichè ho perduto in lui un buon amico ed un buon signore. Tutte le nobili qualità essendo perite con lui, il male (pubblico) è oramai si mortale, che io non vi scorgo altro rimedio se non quello di strapparsi il cuore a Blacasso e darsi in cibo a tutti i baroni che vivono senza cuore, così ne avranno uno dappoi.

<< Che l'imperatore si cibi a bella prima di questo cuore. poichè ne ha gran bisogno, se vuol trionfare dei Milanesi, che di lui trionfano togliendogli il paese, a dispetto de' suoi Tedeschi. Che il re di Francia ne mangi dopo lui, e potrà allora conquistar la Castiglia, che egli perde per la sua mellonaggine; ma non ne mangerà, se ciò dispiace a sua madre. perciocchè si vede che non fa nulla che le dispiaccia

I re d'Inghilterra, di Castiglia e di Aragona, i conti di Tolosa e di Provenza han del pari bisogno del cuore di Blacasso, e Sordello gli spinge a mangiar prestamente il pezzo che loro ne presenta. »

Vi ha certamente qualche cosa di nuovo e di felice nello scopo e nello stile di questa poesia, e sarebbe difficile il dire quali siano più piccanti se i tratti di lode o quelli di satira, che sì vivamente e con sì energica franchezza emergono gli uni dagli altri.

Potrei, se ne avessi tempo, rinvenire nelle poesie provenzali di Sordello altri tratti da citare; ma ho già toccato i limiti di questa lezione, e spero averne detto abbastanza per un cenno limitato, ma difficile ed oscuro.

NOTA AGGIUNTA AL FRAMMENTO VII. (1)

Che ha voluto far Dante dipingendo in questa guisa if ritratto di Sordello? Ricordarne semplicemente la esistenza istorica, il fatto materiale e semplice di questa esistenza ?

Certo che no, poichè non vi ha nulla in questo ritratto che corrisponda alle notizie storiche, che possa da queste dedursi con verisimiglianza, che ne ricordi alcuna, per vaga ed indiretta che fosse; ma vi è tra l'uno e le altre una vera opposizione.

Non può dubitarsi dell'identità del Sordello poetico e del Sordello istorico; ma non se ne potrebbero facilmente darne. prove dirette e positive.

Dante volle fare e fece di Sordello il tipo ideale del pa

(1) Ho trovato, fra le note relative ad un' altra lezione, le seguenti riflessioni del Fauriel suli' uso che fece Dante del nome di Sordello; e qui le aggiungo quel compimento alla precedente lezione.

FAURIEL

(Nota di G. M.)

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