Sayfadaki görseller
PDF
ePub

triotta in genere, e più particolarmente forse del patriotta italiano; egli ne fece un Ghibellino, che non perdona a Rodolfo di Asburgo di aver negletto le cose d'Italia e di averle con ciò peggiorato, e che spera nondimeno da un altro imperatore la salute del paese.

Ma perchè a questo ritratto ha dato il nome di Sordello? Gli era d' uopo di questo nome? Nol credo.

Ma sembra impossibile che Dante non abbia avuto qualche scopo, sebben debole ed indiretto, di associare l'idea di Sordello a quel tratto del suo poema, e questo scopo sarà fondato su qualcuno dei casi obliati della vita del Manto

vano.

Ma in qualunque modo s' intenda il tratto in parola, è una novella prova del poco rispetto di Dante pei fatti, e della sua invincibile tendenza di servirsene di base per le creazioni della sua fantasia.

VIII.

I MANGIATORI SULLE TOMBE

(Purgatorio Canto XXIII v. 36.)

Ho indicato in una lezione anteriore (1) alcuni tratti della barbarie dei costumi italiani prima del regno di Federico II, cioè anteriormente all' anno 1220. Se ne rinvengono un gran numero nei cronisti di quel tempo, come Ricobaldi ed altri, ma proferisco citar qui il rapido cenno che ne fa un cronista monaco, conosciuto sotto il nome di Jacobo d'Aqui. Ecco com' egli si esprime:

<< In quel tempo gl' Italiani erano ruvidi ancora, ed agivano rozzamente in ogni cosa, in ciò che riguarda il nutri→ mento, il vestito, la calzatura e le armi. Avevan eglino quasi in tutto serbato i costumi dei primi Lombardi, le loro pratiche e le loro crudeltà, soprattutto nell' estremità e nel centro della Lombardia, cioè nei luoghi dove i Lombardi stabilirono la loro prima dimora, d'Aquila a Pavia, e da Vercelli a Bologna. La maggior parte degli usi, dei sortilegi, delle bestialità, che si vedevano allora da per tutto e di cui si vedono ancora gli avanzi, provenivano dagli antichi Lombardi, che furon pagani e singolarmente rozzi. Ciò si riconosce ancora dalle antiche armature che sono di cuoio grossolanamente fatte, dall' abbigliamento delle donne,

(1) Ved. pag. 79.

dall'antica moneta, che è pesante e mal fabbricata. Ruvidi e grossolani eran del pari il loro modo di parlare, i divertimenti e le danze. »

Questo tratto della cronaca di fra Jacobo da Aqui è molto interessante, non pei fatti che si limita ad indicare in modo vago e generale, ma per le ragioni che assegna alla poca cultura della società italiana pria dell'avvenimento di Federico II all'impero. Egli l'attribuisce alle influenze della dominazione lombarda; nè può dubitarsi che non abbia generalmente ragione. Vi sono nei costumi italiani dell' epoche indicate, alcuni tratti che sembrano esser piuttosto derivati dalle abitudini dei barbari che formati spontaneamente nel corso della decadenza romana in Italia. L'uso, cui Dante fa allusione nel tratto da noi citato, è uno degli usi più caratteristici che ritardarono il progresso della civiltà: era questo il dritto che arrogavasi ogni famiglia, cui era stato uccis uno de' suoi membri, di uccidere l'omicida, o in suo difetto ogni altro individuo della di lui famiglia. A questo barbaro principio si erano associate alcune strane superstizioni. Credevasi che se un omicida o qualcuno de' suoi pervenisse, nel termine di otto giorni, a contar da quello dell'omicidio, mangiare una zuppa o tutt'altra cosa sulla tomba della vittima, ogni probabilità di vendetta era perduta pei parenti di questa. Così la guerra inevitabile tra le due famiglie cominciava intorno alla sepoltura della vittima, l' una spiando il momento di mangiarvi qualche cosa, l'altra vegliando notte e giorno per allontanarne i mangiatori.

2

a

[ocr errors]

FINE DEL PRIMO VOLUME.

[merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small]

<< Che mi permetta di sperar da lei mercè, e qualunque sia il dolore ch'io provo, non ascolterà da me un sol lamento. >> << Ohimè che fanno i miei occhi quando non vedono quello ch'io voglio? »

I componimenti satirici di Sordello sono in generale più ingegnosi ed originali delle sue canzoni amorose. Ma l'effetto di queste satire si lega ad allusioni rapide ed oscure, e quand' anche chiare fossero, non potrebbe darsene un'idea, riferendosi la maggior parte a fatti di poca importanza. Ne citerò solo alcuni tratti sparsi, che dipingono il carattere di Sordello, e ci offrono qualche lume sulla vita che menava alla corte di Provenza.

Un trovatore, chiamato Pietro Bermonte da Ricanova, fu, a quel che sembra, uno dei più accaniti nemici di Sordello; egli scrisse contro di lui ingiuriose serventesi, alle quali Sor. dello rispose con altre non meno ingiuriose. Tra gli altri rimproveri che fa a Sordello, lo tratta da giullare, termine vago, che, fra i suoi diversi significati, ne avea taluni non favorevoli. Ecco come Sordello risponde a questo rimprovero:

<< A torto ei mi tratta da giullare; il giullare è quello che segue un altro; io conduco qualcuno al mio seguito; io non ricevo nulla, ma dò; egli non dà nulla, ma riceve; le vesti che indossa l'ha ricevuto per compassione; io non accetto nulla che possa farmi arrosire io vivo dei miei beni, ricusando tutto che sarebbe un salario, non accettando nulla che qual pegno di amicizia. »

Questi versi, convalidati da altri tratti delle poesie di quel tempo, indicano chiaramente che Sordello viveva in Provenza nella condizione e nel grado di cavaliere, e che il titolo di trovatore non era per lui che un titolo se condario, nobilitato dal primo: egli era trovatore come lo erano parecchi dei più distinti gentiluomini della corte di Provenza.

Uu altro tratto della medesima serventese, preso nel senso

« ÖncekiDevam »