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III. LEZIONE

COSTITUZIONE DELLE REPUBBLICHE ITALIANE.

Ho parlato nell'ultima lezione delle costituzioni delle repubbliche d'Italia; ma non ho potuto parlarne che rapidamente e coll'unico intento di dinotarne la origine. Mi propongo ora di darne un'idea più positiva, quantunque ancor generale. Queste costituzioni non furon tutte, a dir vero, che uno sviluppo più o meno rapido, più o meno compiuto della prima organizzazione consolare delle città italiane. Così, non ostante alcune varietà di forma, si riconoscono agevolmente in tutte gli stessi dati fondamentali, l'ispirazione di un medesimo spirito nazionale, la espressione di un medesimo stato politico.

Nel secolo XIII, sebbene a diversi intervalli, la organizzazione delle repubbliche italiane raggiunse il grado di sviluppo, che può esser riguardato siccome il loro punto di maturità e di perfezione.

L'istituzione del podestariato fu la prima innovazione importante introdotta nel governo consolare. Ma io non parlerò in particolare di questa innovazione se non dopo averne fatto conoscere alcune altre, da cui fu seguita, e che ne furono il compimento.

Il primo cangiamento da notarsi nella istituzione consolare delle città d'Italia fu un mero cangiamento di nome. I ma

gistrati superiori di queste città, che da per tutto chiamavansi consoli, presero da per tutto altri titoli, che variarono di luogo in luogo e di un tempo all'altro. Si denotaron sovente dal loro numero: così vi furono in Firenze dapprima i XII, indi i XIV: in Siena i IX, indi i XV. Si diè loro pure il nome di rettori, vi furono città è tempi in cui ricevettero il titolo di sapienti, e quello più singolare di abbati del popolo. Ma la denominazione più ordinaria dei magistrati superiori delle repubbliche italiane nel secolo XIII fu quella di anziani; e di questa mi servirò abitualmente per indicare questi magistrati in modo collettivo ed astratto.

La durata degli uffici dei consoli era stata in sulle prime di parecchi anni, dappoi generalmente ridotta ad un anno. Ma lo spirito nel secolo XIII, essendosi oltremisura accresciuto democratico, questo termine di un anno sembrò troppo lungo per la durata dei poteri degli anziani, e si ridusse a sei mesi in parecchie città, e nella maggior parte a due mesi soltanto.

Ho rinvenuto pochi indizi sul modo di elezione degli anziani; solamente si sa che in parecchie repubbliche, in Firenze per esempio, erano eletti dai loro predecessori che uscivano di carica; in altre, dai consigli pubblici, o da elettori delegati a quest'uopo.

Quanto alle classi nelle quali erano scelti gli anziani, le cose variarono secondo i tempi. —Le classi inferiori del popolo disputarono da per tutto e da per tutto finirono per conquistare il dritto di essere eletti a questa magistratura suprema. Là dove la democrazia persistette lungo tempo per giungere alle sue ultime conseguenze, siccome in Firenze, i magistrati governanti cessarono di essere eletti, ma furono tratti a sorte, in borse che esclusivamente contenevano nomi di artigiani.

Però sembra che durante la maggior parte del secolo XIII,

non furono appellati alla prima magistratura delle repubbliche italiane se non personaggi appartenenti alle classi superiori della società, sia nobili, sia borghesi..

Pria di dare un'idea degli uffici degli anziani, è indispensabile il far conoscere gli altri poteri che dovevan concorrere secoloro all'azione del governo.

Nelle repubbliche consolari, i consoli erano assistiti, nelle deliberazioni dei loro atti, da un consiglio più o men numeroso. Questo consiglio, in sulle prime unico e di una semplice organizzazione, si decompose dappoi in diversi consigli, avente ciascuno un'organizzazione ed attribuzioni diverse e concorrente ciascuno a suo modo e per sua parte alle deliberazioni pubbliche.

Questi consigli variavano in modo notevole quanto al numero vi eran repubbliche che ne avevan due. In altre, come in Firenze, ve n'eran cinqué o sette, di cui si distinguono a fatica le attribuzioni speciali. Ma, per regola generale, si trovavano in ogni repubblica tre diversi consigli.

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Il primo era quello, cui si dava il nome di gran consiglio, perchè cra da per tutto il più numeroso ; ma però senza alcuna proporzione determinata nè colla popolazione delle città, nè col numero degli altri consigli. Non conteneva, per quanto io ne sapessi, meno di trecento membri, come in Firenze, nè più di mille, come in Pavia. Era, dir proprio, il consiglio del comune o della repubblica, quello il cui concorso era indispensabile in tutte le deliberazioni, quali che ne fossero il motivo, l'oggetto e la gravità. Era composto di plebei e di nobili, ma con proporzioni diverse, secondo le città ed i tempi. I membri ne erano eletti in diversi modi, generalmente da elettori tratti a sorte, o specialmente delegati a quest'uopo dagli altri poteri. Il loro ufficio era essenzialmente temporaneo, per lo più annuale, ma in alcuni luoghi di tre mesi soltanto o di sei.

Il secondo consiglio si nominava il consiglio speciale. Era men ́ numeroso del precedente, ma senza alcuna proporzione stabilita. In Firenze si componeva di novanta membri, in Arezzo di duecento, di venticinque in Lucca. I membri di questo consiglio erano eletti per un tempo determinato, siccome quelli del gran consiglio; ma erano eletti dai magistrati, e con essoloro questi magistrati discutevano gli affari correnti pria di rimetterli al gran consiglio.

Il terzo consiglio, men numeroso ancora e più speciale del precedente, era il consiglio segreto, in italiano il consiglio di credenza. Con questo i magistrati governanti deliberavano al bisogno sugli affari difficili ed imprevisti, pria di sottometterli al consiglio speciale.<

Questo consiglio, siccome il richiedeva il suo ufficio, era composto di uomini ragguardevoli per la loro discrezione e la loro abilità negli affari. Men numeroso dei precedenti, lo era molto importante pel suo nome e le sue attribuzioni. In Treviso era composto di ottanta membri, di trentasei in Firenze. Si riconoscono fino in queste cifre l'esigenze di una democrazia sospettosa che voleva che ogni atto, che dovea risolversi in un-atto di governo, fosse il risultato del maggior numero possibile di volontà e d'intelligenze.

Dopo avere oltrepassato questi tre gradi di deliberazione e di prova, una risoluzione, per divenire un atto pubblico, una legge, doveva ancora esser discussa e sancita dal consiglio generale, composto di tutti gli altri e comprendente le magistrature secondarie e tutti i poteri dello Stato, senza eccezione. I suoi elementi variavano un poco nelle diverse repubbliche, in ragione delle maggiori o minori diversità che potevano esservi nelle parti accessorie della organizzazione di queste repubbliche. Ma, senza fermarmi alle varietà, io mi attengo a notare ciò che formava da per tutto la sostanza dell' istituzione.

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Il consiglio generale, detto parlamento, parlamento generale, costituiva in ogni repubblica il potere sovrano; ed era da per tutto sì considerevole, relativamente alla massa del popolo che rappresentava, che si potrebbe, senza incorrere nel falso, indicarlo col nome di popolo, di universalità del popolo. Era preseduto dal podestà, similmente incaricato di convocarlo. Vi erano convocazioni ordinarie ed obbligate, che avean luogo ad epoche fisse; ve ne erano straordinarie nelle occasioni imprevedute.

Ogni membro del consiglio generale poteva farvi tutte le proposte che giudicava convenienti agli interessi ed ai bisogni pubblici. Ma, generalmente parlando, questo consiglio non deliberava che sulle proposte che gli erano sottomesse dai governanti e sulle quali si eran fatte deliberazioni preparatorie nei consigli particolari. Nessun dubbio che assemblee si numerose e che avrebbero potuto agevolmente divenir tempestose, non avessero una disciplina e convenevoli regolamenti; ma di questi regolamenti e di questa disciplina non si sa quasi nulla. Le risoluzioni erano prese a maggioranza assoluta di voti, nei casi ordinari; la maggioranza doveva essere molto più grande quando trattavasi di modificare o di cangiare qualche punto della costituzione. I voti si davano ordinariamente a scrutinio segreto, e come dicevasi allora a lupini ed a fave, in guisa di palle bianche e nere.

La discussione avea certi limiti, cioè si sentivano dapprima sopra ogni quistione un numero determinato di oratori, ed esaurito questo numero, nessuno poteva più parlare senza un'autorizzazione espressa e, per così dire, eccezionale, del podestà. Così almeno facevasi in Firenze.

Tutti gli atti dell'autorità probabilmente non eran soggetti a forme si solenni e sì complicate, ma sarebbe difficile di fare su questo riguardo distinzioni precise, una sola cosa è certa e degna di nota, cioè che il consiglio generale di ogni repub

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