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letterale, o almeno sul serio, darebbe un' alta idea della dulcezza dei costumi e della benigna indole di Sordello. « Non dovrebbe, egli dice parlando del suo avversario, accusarmi di doppiezza: io son leale e di tal umore che non oserci far le corna ad un gatto!»>

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Il tratto è bizzarro, sebben semplice ed ingenuo; ma da simili tratti non potrebbe riconoscersi il Sordello di Dante. Vorrei terminare questo rapido cenno sulla vita di Sordello con qualche citazione di sue poesie, più estesa delle precedenti e più acconcia a dare un' idea del suo ingegno. Ne rinvengo una che sembra convenire al mio scopo. È una serventese in morte del signore di Blacasso, personaggio di cui è indispensabile il saper qualche cosa, per meglio valutare la poesia per lui composta da Sordello. Questo signore di Blacasso è rappresentato nelle tradizioni provenzali sic-come il tipo, siccome l'ideale più perfetto delle virtù cavalleresche, quali le intendevano in Provenza nella seconda metà del secolo XIII. Un biografo anonimo ha lasciato di lui una vita, o per dir meglio un ritratto in poche linee, che riesce molto interessante. Questo ritratto è in tal guisa caratteristico, e serba in tal guisa l' impronta dello spirito dell'epoca, e le idee e le dottrine cavalleresche vi sono riassunte e concentrate in sì poco spazio, che per far ben comprendere queste poche linee, e per ben svilupparne il senso vi si dovrebbe aggiungere un lungo commentario.

Io non ho il tempo di far ciò, ed essendo questo tratto introducibile in francese moderno, mi limiterò a tradurlo letteralmente, senza lusingarmi di riuscir chiaro abbastanza.

<«< il signor Blacasso fu di Provenza, nobile, alto e potente barone. Ei compiacevasi nel far doni, nella guerra, nelle larghezze, nel tener corte, nel dar feste, negli allegri tumulti, nei canti, nei sollazzi e in tutte le cose colle quali un nobil uomo acquista pregio e valore. Non vi fu mai uomo

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che siccome lui amasse tanto a ricevere quanto a dare. Egli fu quello che mantenne gli abbandonati, che difese i deboli, e quanto più s' inoltrò negli anni tanto più crebbe in larghezza, in cortesia, in valore, in armi, in onori ed in beni; tanto più l'amarono i suoi amici, lo temettero i suoi nemici, e si accrebbe il suo gusto, il suo sapere, il suo valore e la sua galanteria. »>

Tale è l'uomo di cui Sordello dovea deplorar la morte e celebrar la memoria. Fino a quel punto i poeti provenzali in simili casi, non avevan prodotto che monotone e poco commoventi lamentazioni. Sordello ringiovanisce il subbietto in modo ingegnoso ed originale; egli non fa direttamente l'elogio di Blacasso, lo loda in modo indiretto e più piccante, con tratti satirici lanciati contro i re e le potenze di quel tempo. Per dare a questi grandi personaggi le virtù e l'eroismo che loro mancavano, egli vuol dividere tra loro il cuore magnanimo di Blacasso e darne a ciascuno a mangiare una parte. Ecco le due prime stanze del componimento, che basteranno a darne un'idea :

« lo voglio piangere il signor Blacasso in questo canto familiare e con cuore mesto e dolente, e ho ben ragione di piangere, poichè ho perduto in lui un buon amico ed un buon signore. Tutte le nobili qualità essendo perite con lui, il male (pubblico) è oramai si mortale, che io non vi scorgo altro rimedio se non quello di strapparsi il cuore a Blacasso e darsi in cibo a tutti i baroni che vivono senza cuore, così ne avranno uno dappoi.

«Che l'imperatore si cibi a bella prima di questo cuore. poichè ne ha gran bisogno, se vuol trionfare dei Milanesi, che di lui trionfano togliendogli il paese, a dispetto de' suoi Tedeschi. Che il re di Francia ne mangi dopo lui, e potrà allora conquistar la Castiglia, che egli perde per la sua melJonaggine; ma non ne mangerà, se ciò dispiace a sua madre. perciocchè si vede che non fa nulla che le dispiaccia.

" I re d'Inghilterra, di Castiglia e di Aragona, i conti di Tolosa e di Provenza han del pari bisogno del cuore di Blacasso, e Sordello gli spinge a mangiar prestamente il pezzo che loro ne presenta. »

Vi ha certamente qualche cosa di nuovo e di felice nello scopo e nello stile di questa poesia, e sarebbe difficile il dire quali siano più piccanti se i tratti di lode o quelli di satira, che si vivamente e con sì energica franchezza emergono gli uni dagli altri.

Potrei, se ne avessi tempo, rinvenire nelle poesie provenzali di Sordello altri tratti da citare; ma ho già toccato i limiti di questa lezione, e spero averne detto abbastanza per un cenno limitato, ma difficile ed oscuro.

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Che ha voluto far Dante dipingendo in questa guisa il ritratto di Sordello? Ricordarne semplicemente la esistenza istorica, il fatto materiale e semplice di questa esistenza?

Certo che no, poichè non vi ha nulla in questo ritratto che corrisponda alle notizie storiche, che possa da queste dedursi con verisimiglianza, che ne ricordi alcuna, per vaga ed indiretta che fosse; ma vi è tra l' uno e le altre una vera opposizione.

Non può dubitarsi dell'identità del Sordello poetico e del Sordello istorico; ma non se ne potrebbero facilmente darne prove dirette e positive.

Dante volle fare e fece di Sordello il tipo ideale del pa

(1) Ho trovato, fra le note relative ad un' altra lezione, le seguenti riflessioni del Fauriel suli' uso che fece Dante del nome di Sordello; e qui le aggiungo quel compimento alla precedente lezione.

FAURIEL

(Nota di G. M.)

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triotia in genere * particolarmente forse iet partotta Italiano: egli ne fece in Tibetlino. one non perdona 110dolfo ti shargo ti er jegtetto le cose ƒ Tania + i werie con cin peggiorato che era Tondimeno la matro peritore la salute del paese.

Ma perche a questo ritratto a dato nome di Fordello? Gilera 1 1050 ti questo nome? Yoi creao.

Wa sembra impossibile che Dante con abbia avuto maiche seopo, sebben debole ed indiretto, ii asociare ! den di Sardello a quel tratto del mio poema. & mesto scopo sara fondato a qualcuno dei casi obuiati feila vita jei Manto

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Ma in qualunque modo è intenda i raito in parola, e una novella prova del poco rispetta fi Dante pei fatti, e feila sa invincibule tendenza di servirsene di base per le creazion della via fantasia

VIII.

I MANGIATORI SULLE TOMBE

(Purgatorio Canto XXIII v. 36.)

Ho indicato in una lezione anteriore (1) alcuni tratti della barbarie dei costumi italiani prima del regno di Federico II, cioè anteriormente all' anno 1220. Se ne rinvengono un gran numero nei cronisti di quel tempo, come Ricobaldi ed altri, ma proferisco citar qui il rapido cenno che ne fa un cronista monaco, conosciuto sotto il nome di Jacobo d' Aqui. Ecco com' egli si esprime :

ed agi

<< In quel tempo gl' Italiani erano ruvidi ancora, vano rozzamente in ogni cosa, in ciò che riguarda il nutrimento, il vestito, la calzatura e le armi. Avevan eglino quasi in tutto serbato i costumi dei primi Lombardi, le loro pratiche e le loro crudeltà, soprattutto nell' estremità e nel centro della Lombardia, cioè nei luoghi dove i Lombardi stabilirono la loro prima dimora, d'Aquila a Pavia, e da Vercelli a Bologna. La maggior parte degli usi, dei sortilegi, delle bestialità, che si vedevano allora da per tutto e di cui si vedono ancora gli avanzi, provenivano dagli anti.. chi Lombardi, che furon pagani e singolarmente rozzi. Ciò si riconosce ancora dalle antiche armature che sono di cuoio grossolanamente fatte, dall' abbigliamento delle donne,

(1) Ved. pag. 79.

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