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Suolsi affermare comunemente che il trattato intorno alla Monarchia venisse scritto da Dante collo scopo di sostenere le pretese dell'Imperatore Arrigo VII sull'Italia e di tracciare, per dir così, lo statuto del Ghibellinismo italiano. In altra parte di questa trattazione tenterò dimostrare come il libro de Monarchia, assieme alla cantica del Paradiso, fosse il frutto del pensiero politico di Dante arrivato all'ultima sua fase ed al suo completo sviluppo. Ma anche ammesso che i tempi ai quali appartiene il trattato, che forma il soggetto dei presenti nostri studii, sieno stati quelli in cui tutti gli Stati e le fazioni italiane variamente si commossero ed agita

rono dinanzi alle armate ghibelline del Lussemburghese, andrebbe grandemente errato colui che volesse considerare i tre libri della Monarchia siccome un libello di occasione, o siccome la protesta di una fazione che perdente, ma dalla sconfitta non isgagliardita, invoca il proprio creduto diritto, cerca di convalidarlo coi dati della tradizione, della storia e della scienza, e tenta di formularlo esattamente prima di venire a propugnarlo nelle battaglie o nelle rivoluzioni.

Il genio di Dante visse e si sviluppò in mezzo allo svariatissimo mondo di un'epoca di transizione, quale fu il secolo XIV, e ne senti potentemente l'influsso; ma esso si rivelò appunto come genio perchè dal tramestio politico de' suoi tempi seppe elevarsi alle serene regioni della scienza e quivi trovare la teoria del patrio risorgimento e della civiltà universale. Dante visse ne' suoi tempi e pe' suoi tempi; ma sarebbe un abbassare questo genio, tanto l'attribuirgli le vedute limitate di un opuscolista moderno, che traduca in un'opera politica le opinioni non sempre rette delle moltitudini o le mire ambiziose di qualche possente, quanto il circoscriverlo in tutte le sue fasi nella sfera di un partito che pei suoi intenti affatto speciali e limitati non poteva più rappresentare i generali interessi di tutta la nazione. Il libro de Monarchia è l'espressione scientifica, di una grande idea, che si andò formando e sviluppando gradata

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mente mercè l'esperienza e la scienza ed alla quale mise capo tutto il processo del pensiero filosofico, politico e poetico di Dante.

Qual'è questa idea che ha ispirato la più alta creazione della poesia italiana ed il primo trattato che vanti la filosofia del diritto? Essa non è che una di quelle idee ardite, chiamate utopie, che in epoche di politica e morale anarchia, di lotta fra il diritto e la forza, di angosciosa universale incertezza, balenano dinanzi alle menti dei magnanimi, ringagliardiscono le speranze dei popoli, risollevano l'onore dell'umana natura e dettano a Platone la Repubblica, a Tomaso Campanella la Città del Sole ed a Gian Giacomo il Contratto sociale.

Non è però ad una idea astratta che ricorre il nostro filosofo nel proporre la soluzione di un gravissimo problema politico e sociale; Dante è in ordine colle idee del suo secolo; propugna un potere conosciuto e venerato, dalla riforma del quale egli crede dover provenire libertà e potenza alla patria, ed ai popoli tutti pace e felicità; combatte una autorità egualmente nota e riverita, che però volta ad altri fini torna esiziale all'Italia. Dante sviluppa una questione affatto italiana e di interesse presente, ma egli la toglie dai confini di una quistione particolare per innalzarla alle più ampie regioni dell'umanità; trasforma lo scopo speciale di un partito in un principio universale di civiltà; ed a questo principio dà la

riprova per mezzo delle indistruttibili leggi della logica e della morale, gli deriva il diritto dalla storia e la sanzione dalla divinità. Sarà una utopia l'idea a cui si rivolse l'Alighieri per istabilire il diritto dei popoli; ma essa deve essere una delle più grandi utopie se fu sempre ad essa che in seguito ricorse il pensiero italiano, quando volle formulare le speranze e i tentativi del patrio risorgimento, e se il più grande dei nostri scrittori politici ne fece la teoria della riscossa; e una terribile utopia deve essere quella svolta nel trattato intorno alla Monarchia se contro di essa avventaronsi mai sempre i nemici d'Italia, papi e papisti, guelfi e neoguelfi, scagliando impossenti anatemi sul gigante che l'aveva concepita e dannando alle fiamme i volumi nei quali egli l'aveva esposta.

Basta por mente al titolo che ha ciascun libro del trattato intorno alla Monarchia, per farsi un'idea generale del carattere di quest' opera. De necessitate Monarchiae. - Quomodo Romanus populus de jure sibi adsciverit officium Monarchiae sive Imperii. Qualiter officium Monarchiae sive Imperii dependet a Deo immediate. L'Impero solo è la istituzione per la quale l'uman genere può raggiungere il suo fine, la felicità; è solo l'Impero che dalle leggi razionali e da tutta quanta la storia derivi un diritto di preponderanza politica; solo l'Impero, la forma politica per eccellenza e che non riconosca altra sovranità al

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