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disopra di sè se non quella dell' Onnipossente. Come arrivò Dante a stabilire questa necessità e questo diritto? Non si trovavano altri diritti di fronte a quello dell'Impero e di quale natura erano questi? ossia, il problema del riordinamento politico e civile dell'Italia non poteva trovare altra soluzione che nel ristabilimento e nella riforma della imperiale autorità?

Il libro de Monarchia è cosi strettamente connesso colla storia del pensiero politico di Dante, di cui esso rappresenta l'ultimo periodo, e colla storia dell'epoca nella quale esso fu scritto, che ci è impossibile disgiungere lo studio di questo trattato dallo studio dello sviluppo graduale del pensiero politico dantesco e dall'esame delle condizioni in cui si trovava l'Italia nel secolo XIV. Riserbando adunque ad altro capitolo della presente trattazione il primo esame, tentiamo ora di rispondere alla seconda delle dimande che ci siamo proposte, ossia cerchiamo stabilire quale fosse la questione italiana nel Medio Evo e particolarmente ai tempi di Dante, ciò facendo per mezzo dei criterii fornitici dalla storia complessiva di quell'epoca considerata nelle sue antecedenze, nel suo sviluppo posteriore e ne' suoi risultati.

Molteplici furono gli elementi che vennero mano mano a costituire la società italiana nel Medio Evo, varie le forme del loro sviluppo, ed a seconda delle varie condizioni di luogo e di schiatta, diversissimi

gli aspetti che questa società presentava all'epoca del rifiorimento della coltura italica. Le varie popolazioni italiane erano state fra loro dall'opera dei secoli riavvicinate, gli elementi barbarici spenti od assimilati ad esse, e, se consideriamo come i Comuni postisi vittoriosi di fronte al feudalismo e proclamando in tutta Italia lo stesso diritto si appalesassero con pressocchè eguale fisonomia, rappresentando ogni dove il trionfo della schiatta indigena sulla straniera, si può dire che unità nazionale fosse stata raggiunta. Eppure questa era una unità rivelata soltanto dalla somiglianza dei linguaggi e da una identità di interessi fra le varie parti della penisola, unità ben diversa da quella che era stata creata in Francia, in Ispagna ed Inghilterra, anche attraverso le più calamitose vicende, dal feudalismo politicamente ed uniformemente subordinato all'azione del potere monarchico. — In Italia i feudi sopravvivono ancora a denotare la conquista barbarica, ma la suprema autorità che rappresenta il loro sistema è al di là delle Alpi; i comuni hanno corabattuto tutti per la stessa causa, ma le singole libertà sono come calamite di egual nome, si respingono quando vengono a contatto fra loro. La feudalità rappresenta il diritto barbarico, eppure essa entra in città a sottoporsi alla giurisdizione del municipio; il municipio ha fatta sua la causa della libertà e proclamata la sovranità del popolo, e tuttavia in alcune câtă

dalle file della borghesia, come altrove dai castelli, sorge i desposta a signoreggiare la repubblica. Uno solo dovrebbe in questi centri di libertà essere lo scopo e l'opera concorde; eppure mentre le repubbliche nascono tutte sorelle e nemiche fra loro, tramandando quell'infausto legato di nimistà ai successivi principati, non v'ha in essa alcuna la quale non soggiaccia ad un deplorabile dualismo interno dal cui seno si producono suddivisioni interminabili a fiaccare cogli orrori di guerre fratricide l'ingenita energia della nazione. - - Al disopra pói dei feudi e dei comuni, delle signorie e delle fazioni suornotano in quel pelago burrascoso della politica italiana due nomi, due principii, due autorità, l'Impero e la Chiesa, che si contendono l'egemonia delle cose italiane e dividono anch'essi alla lor volta la nazione in due campi, danno origine a due magne fazioni, le quali avviene che in seguito, perduto di vista il loro fine primitivo ed il loro carattere essenziale, non servano che di bandiera al moltiforme parteggiare degli Italiani.

Tale era la condizione dell' Italia nel secolo al quale appartiene il trattato politico di Dante, condizione la quale se nelle singole parti era cagione di grande attività civile e politica, impediva però il costituirsi della nazione ad unità, la rendeva incerta de' suoi destini, impossente ad effettuare un'opera di interesse e di beneficio generale e, continuando, doveva condurre a

gli aspetti che questa società presentava all'epoca del rifiorimento della coltura italica. Le varie popolazioni italiane erano state fra loro dall'opera dei secoli riavvicinate, gli elementi barbarici spenti od assimilati ad esse, e, se consideriamo come i Comuni postisi vittoriosi di fronte al feudalismo e proclamando in tutta Italia lo stesso diritto si appalesassero con pressocchè eguale fisonomia, rappresentando ogni dove il trionfo della schiatta indigena sulla straniera, si può dire che unità nazionale fosse stata raggiunta. Eppure questa era una unità rivelata soltanto dalla somiglianza dei linguaggi e da una identità di interessi fra le varie parti della penisola, unità ben diversa da quella che era stata creata in Francia, in Ispagna ed Inghilterra, anche attraverso le più calamitose vicende, dal feudalismo politicamente ed uniformemente subordinato all'azione'

del potere monarchico. -In Italia i feudi sopravvivono ancora a denotare la conquista barbarica, ma la suprema autorità che rappresenta il loro sistema è al di là delle Alpi; i comuni hanno combattuto tutti per la stessa causa, ma le singole libertà sono come calamite di egual nome, si respingono quando vengono a contatto fra loro. La feudalità rappresenta il diritto barbarico, eppure essa entra in città a sottoporsi alla giurisdizione del municipio; il municipio ha fatta sua la causa della libertà e proclamata la sovranità del popolo, e tuttavia in alcune città

dalle file della borghesia, come altrove dai castelli, sorge il desposta a signoreggiare la repubblica. Uno solo dovrebbe in questi centri di libertà essere lo scopo e l'opera concorde; eppure mentre le repubbliche nascono tutte sorelle e nemiche fra loro, tramandando quell'infausto legato di nimistà ai successivi principati, non v'ha in essa alcuna la quale non soggiaccia ad un deplorabile dualismo interno dal cui seno si producono suddivisioni interminabili a fiaccare cogli orrori di guerre fratricide l'ingenita energia della nazione. Al disopra pói dei feudi e dei comuni, delle signorie e delle fazioni suornotano in quel pelago burrascoso della politica italiana due nomi, due principii, due autorità, l'Impero e la Chiesa, che si contendono l'egemonia delle cose italiane e dividono anch'essi alla lor volta la nazione in due campi, danno origine a due magne fazioni, le quali avviene che in seguito, perduto di vista il loro fine primitivo ed il loro carattere essenziale, non servano che di bandiera al moltiforme parteggiare degli Italiani.

Tale era la condizione dell' Italia nel secolo al quale appartiene il trattato politico di Dante, condizione la quale se nelle singole parti era cagione di grande attività civile e politica, impediva però il costituirsi della nazione ad unità, la rendeva incerta de' suoi destini, impossente ad effettuare un'opera di interesse e di beneficio generale e, continuando, doveva condurre a

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