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collo spirito neo-guelfo che domina la dissertazione che su tale argomento l'erudito Somasco recitò nell'Accademia Tiberina di Roma, l'anno 1844; ma qui non si tratta di vestire delle nostre idee gli uomini e i fatti dei tempi passati, ma di constatare la verità, la pura verità; e gli è pertanto che irrepugnabili confesso essere le argomentazioni che nel sopradetto discorso sono svolte a provare l'ortodossia del nostro autore.

Dante è cattolico quantunque riformatore; si leggano i canti 24, 25, 26 e 27 del Paradiso; nella professione che Dante vi fa delle sue dottrine teologiche non mi pare che si possa rinvenire il pensiero dell'eresiarca, a meno che non si voglia scomporre e sconvolgere bizzarramente le parole del nostro autore, come ha fatto il Rossetti delle Canzoni e della Vita Nuova, per trovarvi la chiave del linguaggio geroglifico della setta ghibellina. Il domma cattolico in tutte le opere di Dante è riconosciuto, rispettato, venerato senza restrizione di sorta: dal fervore del sentimento religioso derivarono le più stupende bellezze alla sua creazione poetica; le questioni sulle verità rivelate sono da lui trattate colla profondità dottrinale di un padre della Chiesa e coll' entusiasmo del più devoto credente. E non solo il domma cattolico viene difeso da Dante con tutta la dottrina del più erudito teologo, ma ancora l'autorità e l'infallibilità della Chiesa e del papato, nel dominio e nel governo delle

coscienze, sono da lui solennemente proclamate. Moltissimi esempj si potrebbero trarre da tutte le opere dantesche in prova di questo argomento; ma bastino questi tre passi, l'uno del Paradiso:

Avete il vecchio e il nuovo Testamento,
El Pastor della Chiesa che vi guida:
Questo vi basti a vostro salvamento (1);

il secondo del Convito (tratt. 2. C. 4.): Questo è il luogo degli spiriti beati, secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna; e l'altro del lib. 3.° del trattato che abbiamo studiato: Il successore di Pietro è veramente il portatore delle chiavi del Cielo. - La penna di un eresiarca non poteva stendere certamente professioni di fede così esplicite e formali; Dante è cattolico per sentimento, per dottrina, per convinzione; ed io non so punto convenire nella sentenza di Bayle, il quale stima Dante fornire prove tanto a coloro che lo dicono buon cattolico, quanto a quelli che vogliono sostenere il contrario.

Pur troppo i concetti del nostro autore furono assai spesso rivolti a confermare le più strane e le più contrarie asserzioni; pur troppo essi furono torturati, dilaniati, smembrati sul letto di Procuste dei sistemi e delle opinioni. Se liberi pensatori, caldi di sdegno contro i pregiudizii che travagliano l'umanità e fre

(1) Canto V.

menti contro la sacerdotale tirannia, hanno esagerato le dottrine di Dante e creduto di renderne l'opera ancor più grande ed ammirabile, ponendo il grande ghibellino a lato dei novatori del secolo XVI, non mancò ancora d'altra parte chi tentasse fare di Dante nientemeno che un sostenitore del potere temporale del papa. Il tentativo è recente; sarà una prova, una prova grandissima d'ingegno, ma non certamente un omaggio alla santità del vero (1).

Del resto Dante nella sua lotta contro l'autorità sacerdotale, trasportatosi nelle regioni della scienza, si toglieva affatto all'animosità di un partito, e se scoppia talora veemente in mezzo ad una disquisi

(1) V. La monarchia temporale del romano Pontefice secondo Dante Alighieri, commento di Giambattista Marcucci: Lucca, 1864. — Questo a proposito delle teorie politico-religiose di Dante; per ciò che spetta alle sue dottrine politico-civili, furonvi persino alcuni i quali ardirono asserire come il trattato de Monarchia, appunto mercè la somma perfezione intellettuale e morale attribuita al sovrano ideato, tendesse a dimostrare la impossibilità della forma imperiale e fosse, per così dire, come un indiretto e tacito ammaestramento dato ai popoli di rivendicarsi ognuno in franco e libero vivere e di raccogliere tutta la loro attività nell' angusta sfera determinata dal loro speciale carattere nazionale, dalle loro tradizioni particolari e dalla loro propria geografia politica. Così lo stupendo concetto della pace universale e della fratellanza di tutte le genti scompare, ed il generoso tentativo di conciliare tutte le forme politiche sotto un solo principio di amore e di civiltà, svanisce dinanzi all'egoistico individualismo che rialza fra i popoli le barriere degli odii nazionali. Se tale fosse stato l'intento di Dante nello scrivere il libro che abbiamo ammirato, ci bisognerebbe dire, la vita politica di Dante non essere stata che una continua inutile finzione.

zione filosofica e teologica la sua indignazione, essa è la nobile indignazione del filosofo che vede disconosciuta la verità, è la protesta in nome della civiltà la di cui luce lo illumina, in nome della Religione che egli vede falsamente interpretata e dalle fondamentali sue istituzioni traviata a giustificare e legittimare interessi e passioni mondane.

Ma nel campo, nel quale Dante aveva tratta la questione, i suoi avversarj non vollero rientrare ed impossenti a combattere quelle ardite teorie fondate sulla ragione e sull'umano diritto, vollero restare nelle limitazioni di un partito. Eppertanto che rimaneva loro in difesa di un potere che si voleva ridurre a canone di fede, ed a sostegno degli argomenti che il nostro autore aveva l'uno dopo l'altro distrutti, se non anatemizzare siccome empia quella confutazione e consacrarla alla universale riprovazione?

Questa fu appunto la sorte che toccò al trattato di Dante. I Guelfi di Firenze avevano condannato Dante ghibellino ad essere arso vivo; ventisette anni dopo un Legato del Pontefice Giovanni XXII faceva abbruciare in pubblica piazza come eretico il libro De Monarchia; e poco mancò che quell'iniquo forsennato violasse il sepolcro del grande Italiano e diseppellitene i sacri avanzi, questi pure desse in preda alle fiamme. Certo la memoria del difensore dell'Impero fu dalla Chiesa dannata siccome quella di

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un eretico; il suo trattato posto all'indice; ed i secoli successivi videro dalle schiere di fanatici ecclesiastici sorgere continuamente dei confutatori di quelle dottrine. Ma la natura della dimostrazione dantesca fu mai da loro compresa? Pare che no, oppure che non si sia mai voluto comprenderla. E invero, per darne un esempio, un frate del secolo XV con arcadica ingenuità ripete come assioma scientifico irrepugnabile la buffa allegoria del sole e della luna; un altro del secolo XVI per tutta confutazione dichiara essere bestemmia esecrabile quanto Dante ha scritto sulla Santa Sede, chiamando fortuna per la causa della Religione che quelle teorie non possano essere alla portata di tutti a motivo della oscurità del loro inchiostro (!); e ancora nel secolo XVIII si ripetono dai teologi come verità assiomatiche gli argomenti così vittoriosamente confutati dal nostro autore. Ma che dico nel secolo XVIII? Gli argomenti che si adducono oggidì in difesa di una istituzione, che nei nostri tempi come in quelli di Dante tanti ostacoli oppose al riordinamento politico del nostro paese, sono essi nella loro sostanza diversi molto da quelli che l'Alighieri combatteva nel terzo libro del trattato intorno alla Monarchia? Ma quella istituzione è un fatto del Medio Evo, come i barbari, come il feudalismo, come il Faustrecht ; essa, al pari di qualunque altra istituzione di quell' età di gravissima tirannide, deve cadere sotto i colpi della libera ragione, mentre per l'Italia i principii su

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