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Ci è impossibile imprendere l'esame e l'analisi del trattato de Monarchia, senza risolvere prima una quistione intimamente connessa col problema, che abbiamo posto nell'antecedente capitolo, e dalla soluzione della quale dipende a mio parere la retta interpretazione non solo della Monarchia ma ancora di tutta la Divina Commedia. La questione si è: L'idea monarchica quale è decantata in quella sublime epopea e quale la vediamo formulata e sviluppata con processo rigorosamente scientifico nel trattato politico, che ci siam posti ad esaminare, ha le sue origini nella prima fase della vita politica dell'Alighieri, o non è piuttosto la conseguenza di un pro

gresso lento e graduale operatosi per mezzo della esperienza e di uno studio scientifico nella mente del nostro autore? Come possiamo noi conciliare il guelfismo che Dante segue prima dell' esilio colle successive convinzioni ghibelline? come conciliare le libere aspirazioni di un repubblicano colla proclamazione di un potere assoluto? infine come conciliare l'opera del genio colle condizioni e colle limitazioni di un'epoca e di un paese?

È questo un problema che ha tormentato per molto tempo illustri ingegni e la di cui soluzione non si troverà mai fintanto che si vorrà spiegare certe apparenti anomalie che si rinvengono nella storia di un genio, sollevandolo di troppo fino ne' suoi inizii dalle condizioni della età e del paese nel quale esso ha operato, considerandolo troppo in sè stesso e poca importanza attribuendo alle sue relazioni col mondo esterno. Il genio procede anch'esso gradatamente come qualunque altra facoltà della umana intelligenza; esso rivela sempre le ammirande sue caratteristiche in tutte le varie fasi del suo sviluppo; ma i suoi trovati, quelli che si elevano al di sopra di ogni età e creano una scienza, più scienze e gettano nelle menti il fremito di grandiose idee, questi trovati sono sempre il risultato di esperienze, di tentativi sovente falliti, di prove rinnovate, di continue rettificazioni, di schiarimenti, di indagini sempre maggiori. Il genio, di qualunque specie esso

sia, non può sottrarsi a questo processo; l'azione del caso è una frase senza significato si nella scienza e si nell'arte; Galileo non ha trovato tutto a un tratto la teoria della sfericità della terra, come Platone non ha per suoi primi lavori il Fedone e la Repubblica, nè Goethe il Fausto, nè Alfieri il Saule.

La vita e le opere di Dante mi confermano in questa convinzione e mi mostrano come l'idea monarchica, quale ci si presenta nelle due ultime cantiche e nella monarchia, non appartenga che all'ultimo periodo della storia del pensiero dantesco e sia il grande trovato che fece quel genio portentoso dopo una lunga serie di speranze deluse, di tentativi falliti e di infelicissimi eventi. Altrimenti non mi so tôrre la contraddizione di un Dante guelfo e di un Dante ghibellino; Dante con una convinzione ghibellina e con una teoria monarchica alla testa di una repubblica guelfa, m'appare un fenomeno strano e che in nessun modo puossi attribuire a quell'anima schietta, passionata e gagliarda. Una dottrina imperialistica, quale è formulata nella Monarchia, già esistente. nella mente di Dante, quando egli dettava la maggior parte delle sue liriche e la Vita Nova, mi appare come una rivelazione istantanea ma non logica, ed avendo noi la storia che ci mostra lo svolgimento naturale e progressivo di quel genio eminentemente logico, bisognerebbe ammettere, per cosi dire, come articolo di fede, il sistema delle idee innate, a pro

posito del quale si è fatto tanto vano battagliare sui campi della filosofia.

Non mi resta che provare il mio assunto colla stessa vita di Dante.

Come ci si presenta primamente Dante nella storia della sua patria? Non certamente come un italiano, nel senso che attribuiamo ordinariamente a questa parola, nè molto meno come un Imperiale: egli non è che un fiorentino, il suo sguardo non si spinge oltre le mura della sua città; è un repubblicano come tutti gli altri di quel tempo, cioè un repubblicano che non sa ravvisare il diritto a libero reggimento se non nel proprio comune e che considera come nemici tutti quelli che sono fuori di questo diritto. Dante è guelfo come lo era il suo maestro Brunetti, come lo erano stati i suoi antenati (1), come lo era la sua famiglia, come lo era tutta la Repubblica; Dante infine non presenta in quella prima fase della sua vita politica se non quei caratteri di isolamento, i quali, come nel primo capitolo ho tentato mostrare,

(1)

Chi fur li maggior tui?
Io, ch'era d'obedir desideroso,
Non gliel celai, non tutto gliel' apersi:
Ond' ei levò le ciglia un poco in soso:

Poi disse: Fieramente furo avversi

A me e a miei primi e a mia parte
Sì che per duo fiate gli dispersi.

S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogni parte,

Risposi io lui, e l'una e l'altra fiata: ecc.
Inferno, X.

designavano il sistema politico delle repubbliche italiane e specialmente di Firenze. Infatti Dante crede compiere un sacro dovere combattendo assieme ai liberi suoi concittadini contro la libertà di altri municipii toscani; è fra i primi nella battaglia di Campaldino contro gli Aretini; assiste con gioja alla dedizione fatta dai Pisani del castello di Caprona; e trovasi nella festosa turba di coloro i quali nel tempio di S. Giovanni offerivano al santo le armi che avevano debellato i nemici della repubblica.

Repubblica e amore! ecco le ispirazioni della gioventù di Dante; il municipio gli dà coscienza di cittadino e cavaliero, il sorriso ed il saluto di Beatrice lo fanno poeta; e Dante combatte a Certomondo nell'epoca stessa che scrive le prime rime e la Vita Nova. Queste non ci rivelano che il poeta e l'amante; ed io non saprei punto rinvenirvi quel simbolismo ghibellino e quel geroglifico delle idee imperiali che l'argutissimo ingegno del Rossetti ha creduto di scoprire in esse, se non attribuendo alle sublimi manifestazioni dell'arte e della letteratura i meschini intenti dei rebus e degli acrostici.

Abbiamo altrove veduto come il Guelfismo si fosse imposto alla repubblica fiorentina, rappresentandone la politica nei suoi rapporti cogli altri stati italiani, mentre il ghibellinismo si era ridotto nei confini di una opposizione non molto efficace. Pur tuttavia all'epoca di cui ragioniamo in seno allo stesso guel

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