Dice il proverbio è meglio Una volta che mai.
Sento che andando in lungo
La veglia mi fa male: Ho trovato un guanciale, E mi ci allungo.
Un sonno v'è che rende Paga, riposo e incerti, Un sonno che si vende Dormito ad occhi aperti. Son pieni di rovesci
Il mondo e le sue forme: Chi dorme in oggi, dorme E piglia pesci.
Curiosa! Il sonno e l'ozio
Li presi per fratelli ; Ma in un certo negozio Si tirano i capelli. Non ogni giorno è festa, E bisogna mangiare :
Cominciate a russare, O gente desta !
DELL'ACCADEMIA DELLA CRUSCA.
Al sollecito fornaio
Che, seduto sullo staio, Ripulisce e raggranella Il bel fior della favella, Già s'intende che non basta Di tener le mani in pasta, Perché il pubblico ammirato Di vederlo infarinato, Gli s'affolli sul cammino Quando torna dal mulino; Ma desidera sul sodo,
Che si mangi un pane ammodo, Di quel pane a cui la sporta Apron tutti i ricorrenti, Che ogni stomaco conforta, Ed è buono a tutti i denti. E per questo attende bene All'origine del grano, S' egli è indigeno, o se viene Da vicino o da lontano.
*Nè l' appaga ogni frumento *Li battuto del momento, *Ma lo cerca riposato, *Ventilato e noleggiato, *Per veder che non ribolla *Quando all'acqua si marita,
*E ne resti inaridita
*O la crosta o la midolla.
E cavandolo dal sacco,
Non lo passa al macinio, Quando sappia un po' di stracco, O che pigli di stantío. Che se a volte si prevale Del gran duro forestiero, Lo corregge col nostrale, Chè non faccia il pane nero; Chè si lievita e si spiana Per la gente grossolana, Che avvezzatasi oggi giorno A servirsi d'ogni forno, Non distingue il pan dai sassi.
Qui la Superbia, piena di sẻ stessa, Dura, arcigna e diritta come un fuso, Passa e calpesta la folla sommessa.
Li l' Avarizia, che raggrinza il muso,
E conta e trema in veste ricucita, Pascendo l'occhio d' un sacchetto chiuso.
Poi la Lussuria, stracca e rifinita,
Co' borsoni di piombo all'occhio osceno, E colla pelle incartapecorita.
Vien dopo l' Ira, che sputa veleno, E grida al diavol che la porti via, Ogni sbarra spezzando ed ogni freno.
La Gola arrota i denti per la via:
Lurida, guercia e secca allampanata, Si lecca i labbri e annusa un' osteria.
L' Invidia, gialla come una frittata,
Si mangia dentro, e s'arrovella invano, E tra gente che balla è disperata.
Con una trippa da Padre Guardiano, L'alma Poltronería, sudicia, grulla, Sbadiglia e canta colle mani in mano.
Ed ecco in quella un giovinetto alato Rifolgorò di contra alla parete, Come in color di perla effigïato;
E qual messaggio di novelle liete, Guardò l'afflitta, e porgendo la mano, La consolò dell' ultima quïete.
Come d'un lago s' alza piano piano La nuvoletta candida, e leggiera
Va senza vento per
Tal dalle coltri su spirante e vera Di lei sorgeva una seconda forma, Più di quel che solea bella e sincera.
Giacea l'altra che morte non deforma, Muta sul doloroso letto intanto, Come persona che soave dorma.
E tacquero le preci e crebbe il pianto; Ma coll' anima santa nelle braccia Volando suso al ciel l'angelo santo
Nascoso nel fulgor della sua traccia
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