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LETTERA

ALLA SUA CUGINA ENRICHETTA MAZZUOLI.

Io ti

veggo di qua mandarti a male Dalle solite risa sgangherate,

E dir ch'io sono nell' anno mortale;

Vedendoti davanti spiattellate

Quattro o sei carte di corbellerie,
Sotto forma di lettera, rimate.

E anch'io scrivendo, senza dir bugie,
Rido di me medesimo, che m' abbia
A lasciar ire a certe fantasie.

Chi canta per amore e chi per rabbia,
Dice il proverbio; ed io che mi ritrovo
Da più di venti giorni chiuso in gabbia,
Se non invento qualcosa di nuovo,

O l'uggia mi fa dare in ciampanelle,
O dovento barlacchio come un ovo.

Sai che le cose mie son cosarelle,

Che vo in Parnaso per la via maestra,
Che le Muse mi piacciono in pianelle:

Dall' altro carto, tu non sei maestra
Di sinfonie poetiche.... presumi,
Come fan tante, di guidar l' orchestra.

E ringraziamo Dio, che certi fumi

Di poetesse e di letteratesse

Son vanumi, vecchiumi e bastardumi.

Che si direbbe d'uno che mettesse,
Esempigrazia, un asino a covare,
E una gallina a tirare il calesse?

D'uom che tu vegga tessere o filare

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La donna che non vale a intelaiarli, Colle cure di madre e di compagna, Ci fa la testa e l'animo per farli.

Ma t'ho detto di scriver da campagna

E da gala.

vestito

Mettendomi la testa in cappamagna.

A DAMIANO ED EUGENIA CASELLI.

FRAMMENTO.

Voi, cara Eugenia, e tu, caro Damiano,
Quando quel vispo abate di Pistoja
Prega o bestemmia per serbarsi sano,
E dice che il campar non viene a noja ;
E a burlare oramai presa la mano
Sull' affaretto di tirar le cuoja,

Come chi soffre d' incubo, e si sogna
O di volare o di cader dal tetto,
O d'essere col capo in una fogna,
O d'avere una macina sul petto,
O di trovarsi pieno di vergogna
In piazza, nudo, al pubblico cospetto,
Si scuote molle d' un sudor di morte,
E col cor che gli batte forte forte;

E desto appena, tuttavia gli dura

Della molesta vision la traccia,
E tremante tra il sonno e la paura,
Sul letto qua e là tende le braccia;
Così l' anima mia, non ben sicura
Di questa lieve e subita bonaccia,
Ritiene il senso de' sofferti mali,
E lente move e faticose l'ali.

Qual se dinanzi al miope, spalancato

Tu ponga un libro, tre braccia lontano,
Vede la forma, vede lo stampato,

Ma non sa s'è la Bibbia o l' Alcorano;
Tale per me gran tempo è trapassato
Il refrigerio del consorzio umano;
E delle cose il desiato aspetto
Senza gusto di senso e d' intelletto.

Gran tempo in me ragione e fantasia
Han combattuto con fiera tempesta,
D'arte, di crudeltà, di gagliardia
Gareggiando superbe e quella e questa:
E qui, dove il duello inferocía,
Qui ne' campi del cuore e della testa,
Tutto mi sento lacero ed infranto,
Sebben ragione ha della pugna il vanto.

Così la smorta fiamma si ravviva
Se ne dirompi il tizzo semispento,
E di luglio, ne' prati arsi, ridesta
L'odor dell' erba il piè che la calpesta.

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арросо арросо
Là dalla spugna del cervello attratto,
Mi s'accendeva per subito foco
La testa e il volto a guisa di scarlatto;
E allor de' nervi s' inaspriva il gioco ;
De' nervi a cui dal capo era sottratto
Lo spirito sottil che gli alimenta,

allenta.

E così dolorando mi sentia

Brillar la vita alla superna stanza,
E il corpo tuttoquanto egro languia,
D'una fronda appassita a simiglianza,
E nella mente accesa che patia
Cogli strumenti suoi disuguaglianza,
Si contorceva doloroso e fiero,
Come serpe troncata, il mio pensiero.

Di meste larve in mezzo allo squallore,
Mi balenava d' una luce pura
Una leggiadra vision d'amore,
Che di donna pensosa avea figura.
Cosi velata di sottil vapore,

Pare e non pare a me da questa altura
La casa vostra biancheggiar distante,
E bruno intorno il folto delle piante.

Come in gentil natura un suon di lode

Li mi destava e mi faceva prode
La cara voce e la vista ridente;
E si sposava in forma di melode
Al concetto smarrito entro la mente,

E già l'animo sorge, e si compiace

Di molti errori alleggerito e scosso:
Nè questa è vana ambizïon fallace,
Ma lode alla pietà che m' ha percosso;
Sento una gioia d'amore e di pace;
Sento a maggior bellezza il cor commosso;
Sento inalzarmi.

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