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si daran la mano

l'affetto e la parola

E una famiglia d'ogni gente unita
Sotto l'unico Re cosmopolita;

Saremo eguali, e tutti al tempo stesso
Senato, nobiltà, popolo e clero ;
Resulterà d' un unico congresso

Sempre un governo e sempre un ministero ;
Senza corda lassù, senza processo
Cercando, amando e celebrando il vero,
Dirà l'inquisitore un laus Deo,

E darà la diritta a Galileo.

Oh meraviglia! Si vedranno in Dio

Fraternizzar l' adesso, il prima e il poi;

E finalmente in amoroso oblio
Il Me sepolto co' puntigli suoi;

Sarà finito l' Io e il Tutto-mio :
Anco voi altri Re direte Noi,

Senza darcelo a bere in senso improprio,
Come fate quaggiù nel Motuproprio.

PALINODIA

DELL' EGLOGA SECONDA DI VIRGILIO.

AL SUO AMICO ANTONIO GUADAGNOLI.

Formosum pastor,

Delicias domini.

Per Lisa, vanto delle scene, ardea
Un miserabil cavaliere, e indarno
E notte e giorno passeggiar solea
Sotto le sue finestre, e in riva all' Arno,
Talor con voce tremula ed incerta
Le sue doglie esalava all' aura aperta.

Donna crudel, dicea, teco non vale
Lodarti per le prime società,
Batter le mani ancor se cánti male,
E lasciarsi dir dietro guarda là
Quel superbo signor, quel titolato,
Di chi s'è follemente innamorato.

Che brami tu da me? Vuoi tu ch' io mora?
Idolo mio, per te son pronto a tutto;
Ma lascia ch'io nol faccia, almen per ora,
Acció possa pagar l' ebraico frutto
Coi creditori miei già stabilito :
Altrimenti diran che son fallito.

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Vedi, mia cara, la stagion s' innuova,
E spiegan le farfalle in aere il volo;
E gli augelletti hanno già fatte l' uova :
Tutto si allegra l'universo; io solo,
Mentre mi lagno ed a te ronzo intorno,
Idolo mio, non mi rispondi un corno.

Quant' era meglio sopportare in pace

D' Adelaide lo sprezzo e l'ira acerba,
Benchè fosse men bella e men vivace
Di te, che sembri un fiorellin fra l'erba!
Ma insuperbirti il volto tuo non dè,
Chè tutti non son bestie come me.

Messo della mia croce alla presenza,
Cosa sarebbe mai picciolo pane?
Eppure eppure, a dirla in confidenza,
Se alcuno me l'offrisse in questa mane,
Tanto appetito mi tormenta e cuoce,
Che per un pane scorderei la croce.

Ti sono entrato in tasca, e ciò ch' io sia
Non ti curi saper nè dimandare.
Ho cavalli, carrozze e fattoria,
E quasi sempre ci ho da desinare:
È ver che v'è de' debiti parecchi ;
Ma pagheremo tutti: non siam vecchi.

Che forse sono un mostro? Un

par

d'orette

(Allor che i creditor tempo mi danno) 1.
Son solito passare alla toelette;

E, seppur da me stesso io non m' inganno,
Non temo il paragon di chicchessia :

E giudica pur tu la beltà mia.

Var. Se i creditori miei.

Oh Dio volesse che ti fosse grata
Una camera umil nel mio palazzo!
Che saresti servita e ben trattata

Sempre ad uccelli ed a ciliege in guazzo;
Ed in quell' ore che non v'è da fare,
Meco danzar potresti o strimpellare.

Devo avere in soffitta una spinetta
Ricamata di tarli e ragnateli,
D'una voce si dolce e si perfetta,
Che vince l'armonia di tutti i cieli:
La fece nel seicento un falegname,
E la vendè per non morir di fame.

L'ebbe un poeta poi, non so perchè,

E sopra vi cantava all'improvviso;
Per testamento indi lasciolla a me
Quando il misero andette in Paradiso;
E n' ebhe invidia, a quel che parve,
Perchè credea di poter farne un foco.

Ho inoltre in casa mia due cagnoletti

A cui sono obligato per le spese,
Perch' eran da mia madre prediletti
E da tutte le vecchie del
paese.
Ella gran cose ne dicea : se vuoi,
Saran capaci pe' bisogni tuoi.

Più d'una bella femmina, cui sono

Le doti lor ben cognite, mi secca
Perchè de' cani miei le faccia dono.
Io finora le ho fatta la cilecca;
Ma se d'offrirli a te vana è la cura,
Gli regalo ad un' altra addirittura.

il coco,

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Ecce, ferunt Nymphæ.

Ipse ego cana

Addam cerea pru

na.

Et vos, o lauri, carpam et te, proxima myrte.

Vieni ecco l'ortolan che a te presenta
Vaga corona di bei fior tessuta :
Rosolacci vi son, bietola e menta,
Malva, cicoria, camumilla e ruta,
E l'erba rara che un dottor d'Alfea
Dissecca e cangia in pillole d' Igea.

Io poi vi aggiungerò persiche e mele,
E le prugne dolcissime e le fave
Che furo un di della mia cara Adele
Il pasto più bramato e più soave;
E cocomeri e zucche e cedriuoli,
E se ne' avrai desio, paste e fagiuoli.

Ne tu negletto andrai, fregio de' dotti,
Eterno allor; ne tu, cipria mortella,
Che puoi di scottature e di decotti
Offrir copia propizia alla mia bella,
Qualor le sopravvenga un qualche male;
Chè temo di affidarmi allo speziale.

Rusticus es, Corydon.

Che

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acerba

pena
per un pover uomo
Aver unito il titolo alla fame!

Ah certo, quel canonico del Duomo,
Se, donando, con lui vengo a certame,

Mi supera d'assai; ma è colpa orrenda
Il frutto scialacquar della prebenda.

1

O speranza crudel! Che fare intesi

Quando in tua man riposi il mio destino?
Ah certamente d'insegnar pretesi
Monsignor della Casa a un contadino. 2
La pietra volli far filosofale,

E cercai la giustizia in tribunale.

1 Var. L'entrate.

2 Var. A un Aretino. Ah! ah!

2

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