L'ELEZIONE. ALL'AMICO ATTO VANNUCCI. Iliacos intra muros peccatur et extra. Suonava la campana a deputato, Se si tratti di greco o di latino, Se la faccenda è intesa o non intesa, Per me direi che il popolo l'ha presa Come la prende appunto la campana, Che chiama gli altri e che non entra in chiesa! Dall' altare di Dio poco lontana Si distende una mensa lunga e stretta, Al destro lato vedi una cassetta Che fa le veci d' urna, e de' votanti Seggono alla gran tavola davanti In giubba nera i tre squittinatori, Ex officio presiede a quei lavori Il Pater Patriæ, e fa, secondo l'uso, « Come le pecorelle escon dal chiuso » A una, a due, a tre, e l' altre stanno » Timidette, atterrando l'occhio e il muso; » E ciò che fa la prima e l'altre fanno, >> Addossandosi a lei s' ella s'arresta, Cosi procede la gente foresta, La gente a cui la libertà rifatta Senza tanto vagliar dal grano il loglio, E qui, Vannucci mio, non è un imbroglio A una libera penna esser tarpata, Battezzata la scheda e ripiegata, Dell' aureo nome nel povero scrigno A questo monetata, un muso arcigno E ridendo d' un riso stralunato: « Costui è un burbero mezzano, >> Cittadini ruffiani, andate piano Colle risa scambievoli, chè in questo 1 Chi non compra e non vende è l' uomo onesto. Rimane il seggio, e aspetta chi non viene, Di secento elettori, anderà bene Se degnano la chiesa un cencinquanta : Per quanto o bene bene, o male male E ciò, perchè giustizia, a chi l' ascolta, Non ch' io ne speri già miglior raccolta : Temo il collare, il ricco, il titolato, Vinca il voto per tutti: avrai tu vinte Viltà, bassezza, inerzia e noncuranza? Non sai che mentre la città dinanza, La campagna rincula? O ignori forse Guarda, e vedrai se libera risorse La folla, e s' argomenta del Padrone Vadano le gazzette a processione, Finchè sventura non ruoti la mazza Percotendo a castigo e a medicina, Come Dio vuole, la terza mattina Posti a correre il palio i soli due Debbe ogni scheda le larghezze sue Che se dell' urna stitica, sortire Di' pur che il mondo è arcanamente retto A mala pena sboccia il neonato, Quasi sbrogliati d' una gran fatica, Il seggio e gli altri che l'hanno ponsato Lo mandano, che Iddio lo benedica, Ed ecco rintostare il diavoleto, Ecco la frusta che spietata batte, Se viene a galla, immagina, un Maratte, Che gli elettori eleggono in ciabatte. Se poi galleggia invece un di quei cosi Ovvero un ferma là de' più famosi ; Apriti cielo al fiotto, al trepestío Di cent' altri che strillano: smettete Di dare il voto, per amor di Dio! Sull' Eletto, o li si che d' inquïete Vespe il ronzíò stizzoso e l'ira cresce, E si sbizzisce del forar la sete. Per te rïesce, per me non rïesce, Per lui non leva un ragnolo d'un buco, Per quelli là non è carne nè pesce; Questi lo chiama grullo, e quegli eunuco, Ghiotto d' onori, ingordo di denari ; Uno lo bolla a birba, un altro a ciuco. E questi colpi di venti contrari Sullo stangone e sui repubblicano Chi t' ha sforzato di votare a caso, Di stare a letto, di beccare un tanto, Un'altra volta lascialo in un canto, E più lento di lui piglia o più desto, Dirai che adesso a giudicare è presto, |