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AL SUO CARO AMICO

FRANCESCO SILVIO ORLANDINI

L'AUTORE.

Mio caro Checco.

Tu avresti voluto che io ponessi via via in cima o in fondo a ciascuna di queste composizioni l'epoca della loro nascita ; ma siccome ho veduto praticare quest' uso a tali che puzzano d'arroganza, mi ricusai di farlo, se non altro per non entrare nel branco. Non ostante, se ti preme di sapere quando m' uscirono di capo, in questa copia destinata a te appunterò colla penna ciò che non ho voluto stampare. Così saremo contenti tutti e due, e un po' per uno non fa male a

nessuno.

Voglimi bene.

Nota alla FIDUCIA IN DIO.

La scrissi nel decembre del 1836, e m' usci veramente dal cuore. Io m' era trovato a un tratto, solo sulla terra; e l'opera dell' artista consuonò tanto col mio stato d'allora, che non potei fare a meno di prenderne ricordo.

Versi di serio argomento. Livorno, tipografia Bertani, Antonelli e Compagni, 1844.

Nota agli AFFETTI D'UNA MADRE.

Questi versi furono scritti nell' estate del 1837. Erano cessati i tormenti, ma durava la memoria d'un colpo terribile avuto un anno prima.

Nota ALL'AMICA LONTANA.

Mi dettò questi versi il bisogno di sfogare in qualche modo un amore vero, schietto, fortissimo, che mi sovrabbondava nell'animo. Eravamo nel luglio del 1836, e già da anni e anni io era preso di quella alla quale furono indirizzati. A lei come a me correva l'obbligo di non ismentire un amore dal quale non potevamo tirarci indietro nessuno di due. Di chi fosse la colpa non tocca a me a dirlo, ma il fatto è che fu sciolto poche settimane dopo che io le ebbi mandati questi versi. Dal dolore che n' ebbi nacque in gran parte il nuovo giro che presero i miei pensieri e il mio stile.

Nota ALL' AMICO NELLA PRIMAVERA DEL 1841.

Furono scritti nella primavera del 1841, quando in una nuova percossa avuta dalla donna medesima, lo sdegno ne potè più del dolore. Per inconsideratezza giovenile ho smentiti talvolta i sentimenti espressi in questi versi, ma l'animo mio prima che fosse disturbato desiderava e sentiva in questa guisa.

Nola al SOSPIRO DELL'ANIMA.

In tutta questa composizione v'è un certo che d'aereo e d' indefinito, colpa o del subietto medesimo o di me che non ho saputo svolgerlo più pieņamente. Posso dirti che la scrissi per bisogno, in uno di quei momenti che il cuore e l'intelletto s'abbandona quasi estatico al sentimento e alla contemplazione del bello e del buono. Fu cominciata nel 1839, e condotta a compimento nel 1841.

Nota AD UNA GIOVINETTA.

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È nata nella primavera del 1843. La fanciulla è una lontana reminiscenza, anzi quasi un sogno. È vero però che sul proposito dei miei Scherzi mi son sentito dire più volte dalle donne: V'è poco da fidarsi d'uno che scrive in codesta guisa. La scorza ha nociuto al midollo, e forse è stato meglio per me. Credo bensì di non avere mai derisa la virtù, nè burlati gli affetti gentili ma il mondo giudica a modo suo, nè io me ne curerò, rimettendomi al giudizio di chi ci vede chiaro.

Queste sei composizioni te le do per un saggio del mio modo di sentire in certe cose. Beato me se non mi fossi lasciato mai traviare o dall' esempio, o dall' errore, o dallo sgomento. Forse l' aver mirato alla perfezione, ha fatto danno a me e agli altri, e

l'andare troppo oltre è un uscire di via bell' e buono. Mi duole di non aver toccata più spesso questa corda malinconica, e prego chi se ne sente capace di non lasciarla muta, tantopiù che uno dei tanti errori di quest' epoca singolare, è quello di non tener conto degli affetti più miti, delle passioni più care e più necessarie al nostro cuore. Io quando sento o deridere o curar poco il Petrarca, compiango prima la povertà dell'intelletto, e poi quella dell' animo di chi si lascia fuggire di bocca questa bestemmia. La smania di volere apparire più che uomini, spesso ci fa meno che bestie, e il cuore umano, a volere che sia veramente intero e perfetto, bisogna che risponda pronto a tutti gli inviti dell' amore. Oltre a questo, l'amore ha dettati i primi versi italiani, e Dante non avrebbe scritta mai la Commedia se non avesse veduta Beatrice. Amare, patire, sospirare e sdegnarsi, ecco il nostro destino, e bisogna piegare il capo e seguitarlo, per non ismentire la nostra natura.

NARRAZIONE

DI ALCUNI FATTI ACCADUTI IN LIVORNO

NELL' ESTATE DEL 1847.

Da due mesi circa, qui in Livorno, tutte le sere di festa, dopo il suono della Banda, si veggono qua e là per la Piazza Grande formarsi de gruppi più o meno numerosi, dai quali a volte partono voci, fischi o applausi, a volte non parte nulla, e attori e spettatori se ne stanno li a guardarsi in viso, fino a tanto che la noia non manda tutti a casa tranquillissimamente.

Dalle prime sere que' gruppi sono andati sempre in consunzione, e di centinaia che erano gli aggruppati, sono ridotti oramai a serque e mezze serque; se non che i curiosi che s' affollane da ogni lato, fanno parere un popolo ciò che non è neppure una famiglia. Dapprima si adunavano per festeggiare a modo loro la legge sulla stampa e il compleannos di Pio nono, ora s' adunano perchè hanno preso il dirizzone d'adunarsi, ma in sostanza, se ne domandate il perchè, gli adunati nè gli accorsi vedere non sanno rispondervene un ette.

Pure questa cosa dà ombra, e dà ombra con ragione. Då ombra al Governo, perchè teme o gli fanno temere che vi sia sotto qualche cosa di grave; dà

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